La Militarizzazione del Conflitto – I Fase

La nascita dello Stato di Israele (1948)

La tensione era salita alle stelle, al punto che i britannici furono costretti a lasciare la Palestina addirittura prima del tempo (la partenza era prevista per il 1 agosto 1947, ma avvenne il 15 maggio dello stesso anno) lasciando l’area nella più completa anarchia.

Frattanto, il progetto sionista proseguiva a gonfie vele nonostante le proteste, le rivolte palestinesi e le minacce della Lega Araba; e così, ad un anno esatto dalla dipartita inglese, il 14 maggio 1948, senza alcun ulteriore parere dell’ONU gli ebrei proclamarono nei territori loro assegnati e/o occupati lo Stato di Israele.

Prima delle conseguenze militari di questa proclamazione, è bene fare un cenno alle quelle geopolitiche ed evitare di fomentare facili complottismi: Israele era una nuova autorità che sorgeva nel bel mezzo dell’area più calda del pianeta, e come tale costituiva una testa di ponte sul Medio-Oriente strategicamente essenziale sullo scacchiere internazionale; tutto questo mentre, sul lato arabo, la situazione era ancora confusa: gli Stati come la Siria, L’Iraq e il Libano erano ancora entità – volutamente – fragili e soprattutto tutte le grandi potenze, con il voto del 29 novembre 1947, avevano perso ogni credibilità agli occhi degli arabi della zona. Per questo, le potenze del periodo compresero di non avere alcuna speranza di accaparrarsi la fiducia dei Paesi arabi nell’ottica di un’alleanza stabile in funzione di controllo ed influenza dell’area; motivo per cui rivolsero un po’ tutti le loro attenzioni proprio a Israele.

L’appoggio incondizionato che Israele ricevette all’inizio della sua esistenza non deve dunque essere letto alla luce di un qualche complotto sionista, quanto di un puro e semplice calcolo geopolitico delle grandi potenze.

Il nuovo Stato, infatti, fu immediatamente riconosciuto da tutti i principali attori internazionali (non solo le potenze europee, ma anche gli USA, addirittura appena 11 minuti dopo la proclamazione, e l’Unione Sovietica) e quegli stessi attori non mancarono di fornire supporto sia logistico che economico nell’imminente guerra che quella proclamazione avrebbe inevitabilmente scatenato.

Ancora una volta, i paesi arabi si resero conto di essere isolati e di dover affrontare Israele da soli. Iniziava ufficialmente la guerra tra arabi ed ebrei.

La prima guerra arabo-israeliana

Il risultato fu uno scontro profondamente impari: da un lato le forze israeliane, finanziate sia da USA che da URSS, forti di almeno 60.000 uomini, ben organizzate e con un chiaro obiettivo in mente; dall’altra sparute e disunite forze arabe, composte da qualche migliaio di uomini siriani, 10.000 soldati del contingente egiziano, circa 4.500 uomini forniti dalla Legione Araba e da quasi ininfluenti forze irachene.

Peraltro, gli israeliani riuscirono a trovare un’intesa segreta con la Transgiordania – unica ad avere delle forze considerevoli – in base alla quale, in cambio di una resistenza solo di facciata, Israele consentiva ai Giordani di occupare la zona a ovest del Giordano – l’odierna Cisgiordania – annettendola ai loro possedimenti.

Anche questa circostanza dimostra la forte disunità e disomogeneità di vedute degli arabi, incapaci di esprimere una strategia solida e univoca. Il che mostrò da subito una differenza di fondo, ben esplicata ancora una volta dal Di Nolfo:

 “da un lato gli israeliani combattevano per attuare un’idea maturata da decenni e divenuta ora un’idea nazionale; dall’altra gli arabi e la Palestina combattevano contro l’intrusione imperialistica e israeliana ma non ancora in nome di una “nazione” palestinese, che nessuno aveva ancora imparato a costruire”.

DI NOLFO E., Storia delle Relazioni Internazionali, p. 943.
questione israelo-palestinese

E così, in breve tempo fu chiaro non solo che Israele sarebbe riuscita a resistere, guadagnandosi il diritto di esistere e di esercitare giurisdizione all’interno dei confini delineati dalla proposta già fatta in sede ONU, ma addirittura di andare oltre ed occupare ulteriore terreno a discapito di una troppo fragile resistenza araba.

La guerra fu anche, come prevedibile, un disastro dal punto di vista umanitario: si parla infatti di quasi un milione di rifugiati (200.000 verso la striscia di Gaza, 465.000 in Giordania, 107.000 in Libano e circa 80.000 in Siria).

Ralph Bunche

Visto l’evolvere della situazione e di fronte all’ipotesi che Israele potesse davvero occupare larga parte dell’intero Medio-Oriente occidentale, la Comunità Internazionale cercò di correre ai ripari tentando una mediazione. Ci provò in prima battuta con il lavoro di Folke Bernadotte, le cui proposte furono rifiutate in toto sia dagli arabi – per questioni di principio – che dagli ebrei – nella prospettiva di non perdere l’occasione per spingersi fino al Negev. Il 17 settembre, poi, il conte Bernadotte fu assassinato da un terrorista ebreo. Al suo posto arrivò però Ralph Bunche, la cui enorme opera diplomatica gli valse il premio Nobel per la pace. Proprio prima dell’imminente invasione israeliana del Sinai, consapevole della diversità di vedute e di intenti dei vari attori arabi impegnati nel conflitto, egli riuscì a trovare la pace stringendo 4 accordi separati, uno con l’Egitto, uno con la Siria, uno con la Giordania e uno con il Libano. Mancò solo l’accordo con l’Iraq, che rifiutò categoricamente ogni accomodamento.

Fu così firmato l’accordo di pace di Rodi nel 1949.

L’esito della prima guerra arabo-israeliana

Gli accordi di Bunche, tuttavia, non riusciranno mai a tramutarsi in veri trattati di pace; gli arabi per primi, infatti, consideravano gli stessi dei semplici armistizi, utili solo a riorganizzare un’eventuale controffensiva.

Dall’altra parte, invece, per la prima volta negli ambienti ebrei prevalse finalmente la tendenza a favorire la chiusura di accordi definitivi, per ovvie ragioni: con la chiusura del conflitto, infatti, Israele era riuscita a guadagnarsi un riconoscimento non solo teorico, ma materiale, ottenuto militarmente e quindi incontrovertibile. Era quindi normale che ora i sionisti spingessero per il congelamento dello status quo.

Di tutt’altro avviso erano invece gli arabi, che non solo continuavano a vedere in Israele una realtà provvisoria da cancellare al più presto, ma che ancor di più vedevano ora, con il consolidamento dello Stato di Israele, palesato un rischio più grande, rappresentato dal fatto che

una volta cancellati i veti internazionali, uno Stato sovrano come Israele avrebbe rappresentato il punto d’approdo di una immigrazione il cui unico limite sarebbe stato determinato dalla capacità di assorbimento dell’economia israeliana

DI NOLFO E., Storia delle Relazioni Internazionali, p. 945

C’era poi un altro problema da non sottovalutare: quello dei rifugiati. Centinaia di migliaia di persone che Israele non aveva alcuna intenzione di lasciar tornare nei propri territori – essi costituivano un numero pari agli stessi ebrei, e come tali avrebbero minato la stabilità del Paese -, e che gli stessi Stati arabi non intendevano integrare nei loro confini, perché la loro integrazione avrebbe finito per far scemare le ragioni per tenere vivo lo scontro con gli ebrei. Fu così che i rifugiati palestinesi divennero più uno strumento di lotta politica che una comunità da aiutare dagli stessi Stati arabi. In altri termini: per poter continuare a rinnegare l’esistenza di Israele, i rifugiati dovevano continuare a costituire un problema, motivo per cui non andavano aiutati.

La questione israelo-palestinese si era così definitivamente consolidata in tutta la sua complessità. Ma come avrete intuito, questo era solo l’inizio.