La Gestione Europea della Questione israelo-Palestinese – Parte II

Il ruolo del nazismo nella questione israelo-palestinese

Ripercorrendo queste vicende si arriva così all’inizio degli anni ’30 con una situazione che appare sempre meno sostenibile e che sarebbe stata destinata ad aggravarsi ulteriormente a causa di ciò che, nel frattempo, stava accadendo in Europa.

Nel 1933, infatti, in Germania si assiste all’ascesa al potere del partito nazista. Non credo serva qui ribadire quale fosse l’atteggiamento dei nazisti nei confronti della comunità ebraica tedesca…

Quel che conta verificare in questa sede è piuttosto che l’ascesa del nazismo e l’inizio delle persecuzioni antisemite provocarono un forte aumento dell’esodo degli ebrei europei che, per fuggire dalle grinfie di Hitler – finché l’espatrio fu loro legalmente concesso -, cercarono rifugio proprio in Palestina, nel tentativo di ricongiungersi con gli altri ebrei. Questo comportò che, già nel 1935, il numero di ebrei in Palestina era salito a 400.000 unità, a fronte dei 600.000 arabi.

L’enorme e incontrollabile aumento dei coloni ebrei, causato dai vari accadimenti analizzati, non faceva che esasperare ulteriormente gli animi degli arabi, favorendo un progressivo consolidamento del nazionalismo arabo e costringendo sempre più spesso i palestinesi ad una vera e propria guerriglia strisciante.

Così come per gli ebrei, infatti, anche nelle fila arabe iniziavano a crearsi due schieramenti distinti: da un lato chi si mostrava più aperto al dialogo, a un componimento civile della situazione per la ricerca di un accordo largamente condiviso; dall’altro l’ala più intransigente, stufa dei sotterfugi europei ed ebrei, intenzionata ad ostacolare con ogni mezzo, compresa la violenza, ogni ulteriore proseguimento del progetto sionista, allo scopo di cacciare gli ebrei dall’area e costituire uno Stato arabo indipendente, così come promesso dagli europei.

Un risentimento nazionalista che iniziava anche a fondersi con quello religioso, che contribuiva a trasformare la lotta nazionalista contro l’invasore in vera e propria Guerra Santa. Era stato appena piantato il seme del futuro terrorismo islamico.

La Comunità Internazionale si rese conto che urgeva addivenire ad una soluzione condivisa, prima che la situazione degenerasse del tutto.

Il White Paper del 1939

Nel pieno delle rivolte arabe in prospettiva anti-sionista e del sempre più forte esodo degli ebrei dall’Europa sottomessa al Fuhrer, si arrivò così all’elaborazione del cosiddetto “White Paper” – il Libro Bianco – nel 1939.

Per completezza, è giusto precisare che quello del 1939 è stato il terzo documento redatto per la gestione delle terre palestinesi.

Il primo era del 1922 e seguì proprio ai moti arabi di rivolta visti nello scorso capitolo; era stato redatto su proposta di Winston Churchill. Esso, in soldoni, confermava la volontà di garantire il ritorno degli ebrei in terra santa ma escludeva in generale l’ipotesi di un’entità politica esclusivamente ebraica.

Il secondo fu del 1929 e seguì le rivolte arabe dello stesso anno. Esso rimetteva in discussione la prosecuzione dell’istituzione di una presenza ebraica in Palestina e favoriva la priorità all’impiego della popolazione araba, e questo anche in seno alle imprese ebraiche. Tale documento suscitò però una violenta reazione della Comunità Sionista Mondiale al punto che il governo britannico fu costretto ad annullarlo già nel 1931.

Il terzo fu però il più importante di tutti. L’aumento dell’esodo e la prassi di acquistare terre dai proprietari non residenti, che venivano poi affidate ad uso esclusivo degli ebrei, avevano scatenato nuove rivolte in Palestina, costringendo i britannici a porre un limite all’espansione delle colonie ebraiche e alla possibilità degli ebrei di acquistare e lavorare quelle terre.

In particolare, il White Paper sanciva che

“Tenuto conto della crescita naturale della popolazione araba e l’importanza delle vendite di terre arabe agli ebrei, in certi punti non resta più abbastanza posto per nuovi trasferimenti di terre arabe, mentre in altri punti questi trasferimenti devono essere limitati perché i coltivatori arabi possano mantenere il loro livello attuale di vita e non sia creata nelle vicinanze una corposa popolazione araba senza terre. In queste circostanze, l’alto commissario riceverà tutti i poteri per proibire e regolamentare i trasferimenti di terre”

Oltre alla questione territoriale, era da definire anche quella dell’immigrazione. Il Libro Bianco si propose di intervenire con queste modalità:

L’immigrazione ebraica è limitata a 75.000 persone per una durata di cinque anni, affinché la popolazione ebraica non superi il terzo della popolazione complessiva del Paese. Da questi 75.000 nuovi entrati sarà dedotto il numero d’immigranti illegali intercettati. (…) non si può negare che la paura d’una immigrazione ebraica indefinita sia largamente diffusa fra i ranghi della popolazione araba e che questa paura abbia reso possibili quei disordini prodottisi. (…) Perciò l’immigrazione sarà mantenuta nel corso dei cinque prossimi anni fintanto che la capacità economica d’assorbimento del paese lo permetterà, a un tasso che porterà la popolazione ebraica a un terzo circa della popolazione. (…) Al termine del quinquennio, alcuna immigrazione ebraica sarà più autorizzata, a meno che gli arabi di Palestina non siano disposti ad acconsentirvi

Infine, ma non certo meno importante, l’ultima questione da risolvere era quella amministrativa. L’idea britannica, almeno sulla carta, era quella di creare entro 10 anni un’entità sovrana indipendente che prevedesse un’amministrazione congiunta tra arabi ed ebrei. Si legge nel Libro Bianco:

Il governo di Sua Maestà [Britannica] dichiara oggi senza equivoco che non è assolutamente nelle sue intenzioni trasformare la Palestina in uno Stato ebraico (…) Il governo di Sua Maestà [ha il] desiderio […] di vedere stabilito infine uno Stato indipendente della Palestina (…) Se, al termine di dieci anni, si constati che l’indipendenza debba essere aggiornata, il governo britannico consulterà gli abitanti della Palestina e il Consiglio della Società delle Nazioni (…) Lo stato indipendente dovrà garantire una condivisione del governo tra arabi ed ebrei tale che siano salvaguardati gli interessi essenziali di entrambe le comunità.

Simile proposta voleva evidentemente venire incontro alle richieste dell’ala araba più moderata, che continuava a pretendere l’affidamento dei territori ad una amministrazione che prevedesse anche una presenza araba e soprattutto che non paventasse l’ipotesi di uno Stato ebraico indipendente, che gli arabi continuavano ad escludere categoricamente. La speranza era che simili rassicurazioni favorissero l’estinzione delle rivolte in corso in Palestina.

Gli effetti del Libro Bianco

Tuttavia, il Libro Bianco non ottenne affatto quanto sperato: le rivolte proseguirono senza sosta ed anzi contagiarono zone sempre più vaste dell’area, chiaro segno che la problematica iniziava, tra gli arabi, ad essere affrontata come una vera e propria questione di principio.

Più ancora, il Libro Bianco fallì anche nei confronti degli stessi ebrei, in particolar modo della frangia più dichiaratamente sionista, che rifiutò la proposta con la stessa veemenza con cui lo avevano fatto gli arabi.

Iniziava a diventare evidente che, nell’ottica dell’ala politica sionista, la creazione di uno Stato ebraico non era più solo un’eventualità, ma un imperativo categorico.

Ne derivò dunque una certa tensione anche tra britannici ed ebrei, nonostante entrambi fossero, in quel periodo, impegnati in una stretta alleanza nella Seconda Guerra Mondiale, in chiara prospettiva anti-nazista.

Ben Gurion

Per chiarire la contraddizione in essere, non c’è motto più eloquente di quello pronunciato proprio in quel periodo da uno dei principali esponenti dell’ala sionista, il futuro Primo Ministro dello Stato di Israele, Ben Gurion:

“Aiuteremo i britannici nella guerra come se non ci fosse il libro bianco e lotteremo contro il libro bianco come se non ci fosse la guerra”

Ben Gurion

A dimostrazione di questa “doppia faccia”, è proprio in questo periodo che diverse organizzazioni terroristiche e paramilitari ebree – Igrun su tutte – inizieranno a individuare come vittime proprio obiettivi britannici.

Verso la nascita dello Stato di Israele

Si arriva così agli anni ’40 nel caos più completo: la questione israelo-palestinese è già diventata un conflitto “tutti contro tutti” dove le diverse posizioni e i diversi interessi appaiono ormai inconciliabili.

A partire dal ’42-43, da un lato la Comunità Sionistica Mondiale proclamò suo obiettivo ufficiale la creazione di uno Stato ebraico, in contrasto con quanto proposto proprio nel Libro Bianco; questo spinse le comunità ebraiche di tutto il mondo a premere sui rispettivi governi – quello statunitense in primis, dove le lobby ebree avevano sempre avuto una particolare influenza – per la realizzazione di quell’obiettivo, anche alla luce del dramma in corso in Germania che proprio in quegli anni stava iniziando ad affiorare – La “soluzione finale” era appunto del 20 gennaio 1942 -.

Sull’altro lato della staccionata, anche gli arabi avevano iniziato a mobilitarsi: nel 1945 costituirono la Lega Araba e proposero la creazione di uno Stato esclusivamente arabo in Palestina come progetto alternativo a quello in essere nel Libro Bianco. Quindi, anche nei paesi arabi iniziava a prevalere l’ala intransigente, che non era disposta ad accettare un’amministrazione congiunta con gli ebrei.

La soluzione pacifica sembrava sempre più lontana; il punto di non ritorno era stato raggiunto.