Le Origini della Questione Israelo-Palestinese – Parte I

Cominciamo, come è giusto, con individuare la vera origine della questione israelo-palestinese. Il primo mito da sfatare riguarda infatti proprio questo aspetto preliminare (e fondamentale).

Soprattutto nel mondo occidentale, la narrativa degli eventi ha fatto in modo che buona parte dell’opinione pubblica, a seconda della reale preparazione sull’argomento, sia convinta che l’origine della questione sia da far risalire al 1948, data della proclamazione dello Stato di Israele, oppure al 1967, data di inizio della Guerra sei 6 giorni. Non manca poi chi, addirittura, ritiene che lo scoppio della questione israelo-palestinese sia da ricondurre all’esplodere della Prima Intifada, ossia ai primi anni ’80.

Si tratta di false convinzioni che non solo sono frutto di profonda disinformazione sul tema, ma che impediscono di individuare le ragioni più recondite di questo scontro e che quindi ostacolano una corretta comprensione degli accadimenti.

Non è infatti possibile comprendere a fondo la questione israelo-palestinese se non si conoscono le ragioni originarie della scelta di aprire la Palestina alla colonizzazione ebraica, gli attori internazionali che si sono fatti promotori e poi realizzatori di questo progetto, e più ancora il contesto geopolitico nel quale il progetto è stato avviato e poi implementato; tutte circostanze che vanno fatte risalire ad un periodo molto più lontano del 1948.

Il reale momento da cui partire con l’analisi è infatti addirittura la fine del 1800.

Il Sionismo

Un piccolo cappello introduttivo – e molto semplificato – è a questo punto necessario.

Il popolo ebreo ha avuto una storia del tutto sui generis nel romanzo dell’umanità; esso è infatti il “popolo senza Stato” per eccellenza.

questione israelo-palestinese
La Palestina nell’antichità

Sin dall’antichità, infatti, gli ebrei sono stati perseguitati, schiavizzati e cacciati dalle loro terre originarie – proprio la Palestina, e come vedremo non sarà un caso – finendo per disgregarsi e costituire comunità più o meno consistenti in giro per il mondo. Questa circostanza si è portata dietro almeno due conseguenze di rilievo per la comprensione dell’inizio della questione israelo-palestinese.

La prima è che un popolo che per antonomasia era senza terra ha dovuto imparare sin dai tempi più antichi e trovare fonti di sostentamento alternative; per questo, gli ebrei si sono visti spesso costretti a dirottare le loro aspirazioni economiche su settori diversi dalla proprietà terriera e in generale dal potere di imperium sui territori, che soprattutto nei tempi antichi, almeno fino al medioevo, costituiva il principale settore di produzione della ricchezza per una popolazione. Solo per questo le famiglie ebree più influenti, in un modo o nell’altro, avevano a che fare con la finanza. Così, ritroviamo ancora oggi il luogo comune per cui le principali famiglie ebraiche controllino il mondo della finanza, insinuazione che fa sempre presa nelle popolazioni (basti pensare a quanto accaduto nella Germania nazista, quando Hitler aveva sfruttato l’influenza degli azionisti ebrei nelle banche tedesche per indicarli come capro espiatorio della crisi post-bellica della Germania). Nulla di vero, chiaramente.

La seconda conseguenza, in parte derivata dalla prima, è che le comunità ebraiche hanno sempre suscitato una certa diffidenza nelle maggioranze etniche dei Paesi in cui si sono sviluppate, e sono state molto spesso invise, discriminate e non raramente ghettizzate dalle popolazioni che le ospitavano.

L’antisemitismo, insomma, è un problema che affligge gli ebrei dalla notte dei tempi. Questo endemico problema è sempre stato sensibile per la comunità ebraica internazionale, che per lungo tempo ha cercato di individuare delle possibili soluzioni; e ciò ben prima che le conseguenze si manifestassero in tutta la loro violenza nella Germania nazista.

A teorizzare per primo una soluzione concreta a questo annoso problema fu Theodore Hertzl, che già nel 1897 fondò la Comunità Sionistica Mondiale e ipotizzò che l’unico modo per porre fine alla discriminazione del popolo ebraico in giro per il mondo fosse che lo stesso potesse costituirsi in uno Stato sovrano anziché continuare ad essere dislocato in comunità ghettizzate in giro per il mondo.

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Theodore Hertzl

Un simile progetto, che aveva anche una chiara connotazione religiosa legata al ritorno del popolo ebreo alla “terra promessa da Dio”, prese proprio dalla Bibbia il nome di Sionismo (da “Sion”, il nome della terra promessa nell’Antico Testamento).

Ma non fu subito la Palestina ad essere individuata come luogo ideale per la realizzazione del progetto, nonostante già allora vi fosse in quelle terre una presenza ebraica; inizialmente la comunità ebraica aveva ipotizzato come obiettivo più papabile l’Africa, continente che, per via del colonialismo europeo, poteva garantire la possibilità di ricavare degli appezzamenti di terra per organizzare la colonizzazione. Si avviò in particolare un tentativo nell’odierno Uganda, che però non ebbe il successo sperato.

I Sionisti, in cuor loro, sapevano che il progetto, proprio perché fondato sui precetti biblici, non poteva fare una seria presa sul popolo ebraico se non individuando come luogo la vera terra promessa, ossia la Palestina; a fine 1800, però, quelle terre erano in mano agli Ottomani, il che rendeva la realizzazione del progetto del tutto impensabile.

Le cose iniziarono a cambiare, però, una decina di anni dopo, quando scoppiò la Prima Guerra Mondiale.

La caduta dell’Impero Ottomano e gli accordi di Sykes-Picot

Avevo già avuto modo di affrontare il tema relativo agli accadimenti che hanno interessato il Medio-Oriente alla fine della Prima Guerra Mondiale in questo articolo, ed ho approfondito più adeguatamente la questione nel mio libro, ai quali rimando. Dobbiamo però riprendere almeno in generale quelle vicende per rapportarle ora allo specifico caso della questione israelo-palestinese.

Questione israelo-palestinese

Come già spiegato in quelle sedi, nel pieno della Grande Guerra gli alleati europei – inglesi e francesi – presero contatto con le popolazioni arabe al fine di organizzare una resistenza interna all’Impero Ottomano che ne fiaccasse la potenza, così da farlo collassare dall’interno; in cambio del supporto offerto per la vittoria della guerra, gli europei promisero agli arabi la successiva creazione di uno Stato arabo autonomo e indipendente che abbracciasse l’intero Medio-Oriente. Preciso che questa circostanza non è una dietrologia o una semplice insinuazione complottista, ma un fatto ampiamente documentato di cui vi è anche prova diretta nel carteggio intercorso tra McMahon e Hussein – che trovate qui – col quale si individuarono i dettagli dell’accordo.

Parallelamente a questa trattativa, però, di fronte all’ipotesi del possibile crollo dell’Impero Ottomano, gli inglesi iniziarono anche a prendere in considerazione la fattibilità del progetto sionista, destinando almeno una parte del territorio palestinese alla futura colonizzazione ebraica.

L’intera origine della diatriba tra arabi ed ebrei sulla Palestina, quindi, si regge sostanzialmente su una scelta geopolitica doppiogiochista del governo britannico, che probabilmente sottovalutò sia la determinazione con cui gli ebrei colsero al volo l’opportunità concessa loro per trasformare quella che doveva essere una semplice colonizzazione in un progetto di Stato indipendente, sia la ferma reazione araba alla scoperta del tradimento perpetrato ai loro danni.

Una scoperta che in effetti non tardò molto ad arrivare…