Come certamente avrete sentito o letto sui principali canali di informazione, la Procura di Agrigento ha impugnato l’ordinanza di non convalida dell’arresto di Carola Rackete di fronte alla Suprema Corte di Cassazione.

Siccome avevo già analizzato a suo tempo la suddetta ordinanza (qui il link al mio articolo per gli opportuni approfondimenti), ho pensato che poteva interessarvi conoscere gli sviluppi e quindi quali fossero le doglianze e le motivazioni specifiche del ricorso contro l’ordinanza di Carola Rackete.

Trovate nelle fonti al fondo dell’articolo il pdf del ricorso, per chiunque voglia verificarlo personalmente.

I motivi del ricorso

Il ricorso contro l’ordinanza di Carola Rackete si fonda su diversi motivi di natura formale e sostanziale; uno di essi è quello più importante e lo analizzeremo meglio alla fine. Prima, elenchiamo almeno in generale gli altri motivi.

Sul potere del GIP di decidere nel merito della valutazione operata dalla polizia giudiziaria

In primo luogo, i PM contestano in via formale le modalità con le quali il GIP di Agrigento ha condotto i ragionamenti volti a giudicare e interpretare le leggi in base alle quali la polizia giudiziaria avrebbe messo in stato di arresto la comandante; in sostanza, i PM rilevano che in sede di giudizio di convalida il GIP sia tenuto unicamente a

“valutare l’operato della polizia giudiziaria effettuando un controllo di ragionevolezza, essendo precluso, in quella fase, svolgere approfonditi apprezzamenti relativi alla responsabilità penale ovvero alla gravità indiziaria di colpevolezza”

Invece, a parere dei PM il GIP si sarebbe spinto oltre i suoi poteri, “svolgendo una autonoma valutazione dei dati in suo possesso e pervenendo ad un giudizio sostanziale sulla gravità indiziaria“. Insomma, per dirla non in “legalese”, non stava a lui decidere se la motovedetta della GdF fosse qualificabile o meno come nave da guerra, poiché una simile valutazione attiene al più al merito, ed è quindi devoluta ad altre sedi e altri giudici.

Come detto è una questione procedurale, la cui analisi sarebbe tediosa anche per me che faccio l’avvocato di mestiere. Quindi andiamo oltre.

Sulla natura di nave da guerra della motovedetta della GdF

Oltre agli errori formali, i PM rivelano anche delle inesattezze nella valutazione concreta della fattispecie, laddove il GIP ha stabilito che la motovedetta della GdF non sia da considerare “nave da guerra” quando opera all’interno dei confini nazionali.

Tale soluzione era stata proposta in base all’interpretazione di una sentenza della Corte Costituzionale (la n. 35/2000). La Procura, invece, sostiene che la statuizione di suddetta sentenza avesse un mero carattere esemplificativo e non esaustivo. In sostanza, la sentenza della Corte Costituzionale forniva un elenco di mezzi che erano da considerarsi “navi da guerra” anche in territorio nazionale, ed evidentemente non citava le motovedette della GdF. Se questo, per il GIP di Agrigento, stava a significare che esse fossero escluse dalla classificazione, secondo i PM la Corte Costituzionale non aveva alcuna intenzione di escluderle, ma di fornire un elencazione che fosse utile a chiarire la questione oggetto di quella sentenza, che non aveva attinenza alcuna con quella oggetto dell’ordinanza del GIP.

Al contrario, a dimostrazione di ciò la Procura fornisce una serie di pronunce della Cassazione che qualificano le motovedette della GdF quali navi da guerra anche quando si trovano in acque territoriali (ad esempio questa).

La scriminante dell’adempimento del dovere

Ma veniamo al principale motivo di ricorso nel merito. I PM contestano la decisione del GIP di Agrigento nell’aver attribuito alla comandante la scriminante dell’adempimento del dovere.

Come potete leggere dal ricorso contro l’ordinanza di Carola Rackete, le motivazioni poste a sostegno delle doglianze della Procura sono essenzialmente quelle che avevo già rilevato nel mio precedente articolo.

Quando i migranti sono “al sicuro” secondo la legge?

Infatti, i PM contestano il fatto che il GIP abbia fatto una valutazione tutta sua delle norme internazionali in vigore, confondendo i concetti di “porto sicuro” e quello di “posto sicuro”. Come precisato nel mio precedente articolo, infatti, la normativa internazionale non parla di “porto” sicuro, ma solo di “place of safety“.

Di conseguenza, la convinzione, che sta alla base della decisione del GIP, per cui il salvataggio comporti immancabilmente che i naufraghi debbano essere portati necessariamente a terra per poter essere considerati al sicuro, non trova riscontro nelle leggi citate dallo stesso GIP.

In effetti, si legge nell’ordinanza del GIP che:

ricorso ordinanza carola rackete

In sostanza, a parere dei PM, alla luce di quanto indicato dalla normativa, il GIP non avrebbe fatto le dovute valutazioni. Precisa infatti la Procura che:

Pertanto, così come in effetti avevo già paventato nel precedente articolo, il ricorso contro l’ordinanza di Carola Rackete fa proprio leva sul fatto che, in base alla legge, i naufraghi a bordo della Sea Watch 3 fossero già fuori pericolo una volta a bordo della nave (che configurava cioè un “place of safety“); pertanto, il dovere della comandante fosse già stato adempiuto. I PM rilevano infatti che:

ricorso ordinanza carola rackete

E in effetti, anche i PM sottolineano che le condizioni dei migranti a bordo della ONG fossero sotto controllo e continuo monitoraggio; circostanza che doveva escludere la condizione di pericolo:

L’inapplicabilità della scriminante dell’adempimento del dovere

In definitiva, dalle precedenti considerazioni ne deriverebbe che la comandante non potrebbe usufruire della scriminante dell’adempimento del dovere di cui all’art. 51 c.p., dal momento che i migranti erano già al sicuro da 15 giorni e dunque Carola Rackete non aveva alcun diritto o necessità di forzare il posto di blocco della GdF; invocava infatti la scriminante per adempiere ad un dovere che aveva già adempiuto da giorni.

Gli stessi PM rilevano infatti che:

ricorso ordinanza carola rackete

Per le suddette ragioni, il ricorso contro l’ordinanza di Carola Rackete chiede alla Cassazione di annullare la decisione del GIP e convalidare l’arresto della comandante della Sea Watch 3.

Motivazioni prevedibili e, in punto di diritto, anche condivisibili, come avevo già rilevato nel precedente articolo: l’ordinanza, infatti, forzava troppo la normativa, interpretandola in modo errato e non pertinente al caso in specie.

Vedremo ora quale sarà l’opinione della Cassazione.

P.T.