Questione Israelo-Palestinese: chi ha ragione?

Se avete seguito con interesse e attenzione questa breve disamina degli accadimenti che hanno interessato la questione più spinosa della storia geopolitica mondiale, vi sarete certamente resi conto che la domanda “chi ha ragione?”, su cui si regge l’intero dibattito dell’opinione pubblica sulla questione israelo-palestinese, sia assolutamente fuori luogo e senza senso.

Di certo, per il nostro cervello è molto più semplice individuare una parte con cui stare – andando più a simpatia che ad analisi dei fatti – e poi difendere quella posizione a prescindere, prendendo in considerazione solo le circostanze che danno ragione alla nostra posizione e ignorando tutte le altre – ed anzi spesso senza nemmeno conoscerli, i fatti –. Bisogna però comprendere, come sempre cerco di spiegare, che un problema complesso ha necessariamente delle motivazioni complesse e delle soluzioni, se possibile, ancora più complesse, e che nulla può essere liquidato semplicemente scaricando la colpa sulla parte che ci piace di meno e sperare che questo basti a mettere un punto fermo alla questione.

Le colpe del conflitto

La realtà dei fatti, per come raccontata dalla storia, dai documenti e dalle testimonianze, ci dice che, in questa annosa faccenda, le colpe stanno in realtà da tutte le parti.

Ne ha una parte consistente l’intera Comunità Internazionale – inglesi in primis, che sono i veri creatori del danno – ma anche le altre forze e potenze mondiali interessate, che hanno sempre ragionato mettendo in cima alla lista i propri interessi specifici e cercando, in ogni occasione, di trarre il proprio guadagno più che trovare una soluzione condivisa.

Ne ha una buona parte anche Israele, che troppo a lungo ha ignorato i bisogni delle popolazioni sottomesse, e in particolare dei palestinesi, approfittando della situazione favorevole, della potenza militare e dell’appoggio delle potenze mondiali – soprattutto gli USA – per fare il buono e il cattivo tempo, fare concessioni solo quando gli faceva comodo e molto spesso ignorando sistematicamente i termini degli accordi e delle Risoluzioni internazionali – basti pensare a Gerusalemme, ancora di fatto in mano israeliana nonostante l’ONU richieda la consegna della zona est ai palestinesi sin dal 1967.

Infine, ne ha una parte considerevole anche il blocco dei Paesi arabi anti-israeliani – Egitto, Siria, Iraq e Giordania – che hanno strumentalizzato la questione per il proprio tornaconto ideologico e politico, lamentandosi della questione umanitaria per fare leva sulla Comunità Internazionale e stigmatizzare Israele come criminale di guerra, per poi abbandonare i rifugiati al loro destino quando c’era bisogno di aiutarli nelle loro terre; oppure opponendosi a qualunque proposta, anche se di parziale favore per i palestinesi, solo perché avrebbe impedito di portare avanti la loro guerra ideologica contro il nemico. In questo senso, si sono infatti ostinati nel sostenere una posizione del tutto irrealistica – la cancellazione dello Stato di Israele, ormai legittimatosi nell’arco di un intero secolo – rifiutandosi di riconoscerlo a costo di impedire loro per primi l’apertura di una trattativa per la concessione di uno stato palestinese (perché, come detto, riconoscere lo stato palestinese deve passare dal riconoscimento di Israele).

Insomma: pensare che la questione israelo-palestinese abbia un solo colpevole è davvero ingenuo.

Le soluzioni del conflitto

Allo stesso modo, ingenuo sarebbe pensare che il tutto possa risolversi con un colpo di spugna, trovando soluzioni che non tengano minimamente conto di un secolo intero di accadimenti che hanno inevitabilmente segnato l’area, le persone e la situazione politica.

Mi riferisco, in particolare, all’idea che l’unica soluzione possa essere quella di cancellare Israele dalle carte geografiche (idea che ancora in tanti, soprattutto negli ambienti arabi, continuano a paventare): si tratta di un’utopia irrealizzabile, il cui perseguimento impedisce, di fatto, di adoperarsi per una soluzione seria.

Quali che siano state le nefandezze di Israele, quello Stato oggi è lì da 70 anni e si è guadagnato la sua esistenza, che ci piaccia o no, con la forza delle armi. Pretendere che scompaia dall’oggi al domani equivale a pretendere che la Francia ci riconsegni Nizza, la Corsica e la Savoia.

La storia fa sempre il suo corso, e non si può tornare indietro.

Un concetto che trovo ben espresso nelle stesse parole di Ben Gurion, in una intervista in cui affermò:

Si sforzano di ignorare la nostra esistenza (…) anche se, nel 1948, quando ci hanno attaccati, devono pur averne tenuto conto (…) insomma: si guardi intorno e mi dica se esistiamo o no!

DANIEL J., Intervista a Ben Gurion in “La Guerra e la Pace”, cronache 1956-2003, p. 20.

Del resto, il diritto all’autodeterminazione dei popoli è uno dei fondamentali principi della Dichiarazione delle Nazioni Unite, e come tale deve valere per tutti.

Per tutti, appunto. Anche per i palestinesi.

La mia posizione personale, insomma, non è che la soluzione vada ricercata nella cancellazione di Israele, ma nella parità di trattamento: gli ebrei hanno diritto ad uno Stato esattamente come i palestinesi, ma solo i primi ne hanno uno. Non esiste dunque altro modo per appianare questa infinita questione che non sia far applicare i principi del diritto internazionale e concedere, in un modo o nell’altro, il diritto al popolo palestinese ad autodeterminarsi.

Ma anche questa soluzione deve passare dai problemi e dalle colpe già analizzate: non basta infatti che i palestinesi ne abbiano diritto – e ce l’hanno! -, è anche necessario che le forze internazionali maturino l’interesse a far valere quel diritto e che si muovano per trovare il modo di riconoscerglielo, anche scavalcando le illegittime resistenze di Israele e bieche resistenze degli Stati arabi.

Una soluzione semplice solo sulla carta, certo: soprattutto alla luce del racconto appena esposto. Ma l’ho detto: un problema complesso necessita di una soluzione complessa e non di palliativi che, come dimostra un secolo intero di diatribe, non portano da nessuna parte e anzi peggiorano la situazione.

P.T.