La Gestione Europea della Questione Israelo-palestinese – Parte I

La disciplina dei “Mandati ONU” in Medio-Oriente

Torniamo alla gestione post-bellica dell’area Medio-Orientale. Caduto l’Impero Ottomano, le Nazioni Unite avviarono un progetto per la ri-designazione dei territori e la creazione di nuove entità amministrative per sostituire quelle turche, ormai decadute.

La gestione fu demandata, come ovvio, alle forze vincitrici della Guerra, e in particolare a Gran Bretagna e Francia; le modalità con le quali il passaggio di consegne fu architettato prevedeva appunto una delega della Comunità Internazionale alle due forze europee, secondo due diverse discipline a seconda delle zone specifiche loro assegnate. Vale la pena analizzare meglio queste due modalità, perché anch’esse avranno un ruolo determinate sul prosieguo della questione israelo-palestinese.

L’ONU aveva previsto due tipologie di mandato:

  • Mandato di tipo A: le aree geografiche che furono interessate da questa tipologia di mandato erano – o almeno dovevano essere – quelle zone nelle quali era già possibile identificare delle autorità stabili, riconosciute già come tali dalle popolazioni residenti e nelle quali, quindi, il passaggio di consegne poteva avvenire senza soluzione di continuità secondo un iter più snello;
  • Mandato di tipo B: le aree interessate da questa seconda tipologia erano invece quelle zone che non presentavano autorità stabili e uniformemente riconosciute, ad esempio per via della forte differenza etnica che le caratterizzava, e che come tali necessitavano di un iter più complesso, diviso in più fasi, che contribuisse ad individuare una più corretta suddivisione delle aree amministrative e di conseguenza il progressivo riconoscimento di una o più autorità idonee ad assumersi il compito di amministrarle.
questione israelo-palestinese

Il problema, secondo la dottrina più autorevole, era che la Gran Bretagna decise di inglobare la Palestina – che teoricamente doveva essere una “zona internazionale” – non semplicemente tra le aree di sua competenza, ma tra quelle che rientravano all’interno dei Mandati di tipo A, ossia quelli già pronti per l’indipendenza, nonostante non esistesse in quel territorio

né l’immediata possibilità di formare un governo locale basato su arabi di nazionalità palestinese né la possibilità di costituire un altro governo

DI NOLFO E., Storia delle relazioni internazionali, p. 937

Molto si è discusso su questa apparentemente inspiegabile scelta; non è però mia intenzione prendere una posizione o fare dietrologia, bensì solo esporre i fatti per come documentati dall’evidenza storica.

Da un lato, si può certo ritenere che questa scelta sia stata un mero errore di valutazione, dovuto al fatto che i britannici avrebbero in realtà sottovalutato la complessità della questione in Palestina. Dall’altro lato, però, appare alquanto inevitabile vedere un disegno pre-congegnato: in effetti, i britannici avevano già un accordo sulle aeree che sarebbero finite sotto la loro influenza risalente al 1916 – gli accordi di Sykes-Picot – nel quale era già previsto che la Palestina rientrasse nella loro competenza. Inoltre, si legge chiaramente nel carteggio tra Mc Mahon e Hussein che la proposta britannica per uno Stato arabo indipendente riguardasse

il territorio esteso a nord fino al 37° parallelo, a est fino al confine iraniano e ad ovest fino ai distretti di Damasco, Homs, Hama e Aleppo con la sola esclusione delle coste siriane”

Carteggio McMahon – Hussein

Come vedete, non si parlava della Palestina, il cui destino non venne apertamente determinato.

A ben vedere, riscontrare che i britannici avessero ipotizzato nel dettaglio l’estensione del futuro Stato arabo, lasciando “stranamente” nel limbo il destino della Palestina, per poi da un lato dichiarare per mano del suo rappresentante al Foreign Office la volontà di costituire proprio in Palestina un’entità sovrana ebraica e parallelamente affidare alla Palestina un mandato di tipo A, sembra davvero dimostrare che, in realtà, i britannici avessero le idee piuttosto chiare sin dall’inizio su quale volessero fosse il destino della “Terra promessa”…

Le prime rivolte

Di tutto questo, ovviamente, né l’emiro Hussein – nel frattempo dichiaratosi “re degli arabi” – né tantomeno la popolazione araba erano stati resi edotti; pertanto, con la presa in carico della gestione post-bellica e l’avvio del processo di colonizzazione della Palestina da parte dei coloni ebrei, mentre il progetto dello Stato arabo sembrava invece venire del tutto abbandonato – inglesi e francesi iniziarono infatti a spartirsi l’area a loro capriccio, in base agli accordi di Sykes Picot – il risentimento arabo esplose.

Gli arabi, infatti, rifiutarono categoricamente di riconoscere la legittimità del Mandato inglese in Palestina ed anzi iniziarono a cercare di ostacolare l’opera di colonizzazione che nel frattempo stava avvenendo sotto l’egida britannica e della Comunità Sionistica Mondiale. Al contrario, chiedevano la creazione di una Monarchia costituzionale democratica che garantisse la coesistenza di tutte le etnie e non certo un’entità sovrana ebraica.

Ma il progetto sionista proseguiva senza sosta e, alla lunga, iniziarono ad esplodere le prime rivolte arabe, databili già 1920-1921.

La questione israelo-palestinese cominciava così a tramutarsi in un latente conflitto tra le due etnie.

Le due fazioni ebraiche

E’ necessario a questo punto dell’analisi fare una doverosa precisazione. A prescindere da quale possa essere la vostra posizione su questo eterno conflitto, e magari vedere nell’atteggiamento ebraico un ingiusto modo di approfittarsi della situazione ai danni dei legittimi residenti su quelle terre, è sempre bene ricordare che non è corretto fare di tutta l’erba un fascio.

E’ certamente vero che gli ebrei hanno spesso avuto, a partire dagli anni ’20, un atteggiamento ben poco benevolo nei confronti degli arabi; ma non tutta la popolazione ebraica aveva in realtà queste intenzioni. Come sempre, in ogni situazione vi sono sempre più fazioni, alcune più moderate ed altre più intransigenti. E questa distinzione è valevole anche per la questione israelo-palestinese.

Per mostrarvelo riprenderò di nuovo le parole del Rabbino Yosef Tzvi Dushinsky, che nel 1947, all’alba della proclamazione dello Stato di Israele, disse di fronte all’ONU:

noi avevamo sperato che il vero scopo del Mandato britannico fosse di fornirci una casa dove gli ebrei della Diaspora avrebbero potuto tornare per viverci secondo i comandamenti dell’Onnipotente. Fu solo con la comparsa dei sionisti come entità politica che l’idea della fondazione di uno Stato ebraico nella Terra Santa fu per la prima volta ventilata. Sarebbero stati evitati molti guai e un infinito spargimento di sangue se il Mandato fosse stato gestito secondo gli intendimenti degli ebrei ortodossi

Le sue parole chiariscono come, in seno alla comunità ebraica, esistessero sostanzialmente due orientamenti: quello ebreo ortodosso, che vedeva la colonizzazione della Palestina in chiave religiosa e cioè come coronamento della profezia biblica del ritorno in Terra Santa, senza che ciò dovesse necessariamente preludere ad uno Stato indipendente ai danni dei residenti arabi; quello sionista più intransigente, che vedeva invece la questione in chiave politica e che aveva maturato espressamente il progetto di costituire uno Stato esclusivamente ebraico in Palestina, che come tale doveva prevedere la cacciata degli arabi.

Ciò dimostra ancora una volta che il degenerare della situazione non derivò da una impossibile convivenza a prescindere, ma dall’atteggiamento dell’ala ebraica più intransigente, che fece il possibile per sfruttare quell’occasione per realizzare il proposito di uno Stato ebraico che escludesse apertamente gli arabi. Un atteggiamento che contribuì enormemente a peggiorare la situazione, perché ogni concessione fatta agli ebrei veniva usata per gli scopi della causa sionista.

La diatriba sulla “proprietà” delle terre palestinesi

Ne è un esempio, su cui anche l’opinione pubblica occidentale ha sempre molto dibattuto, relativa all’effettiva proprietà delle terre concesse agli ebrei.

In effetti, non sono pochi coloro che difendono la causa sionista affermando che “gli ebrei quelle terre le hanno regolarmente acquistate”; in effetti è davvero così, ma la circostanza va contestualizzata. Cerchiamo allora di chiarirla meglio.

Mentre nella gestione del Mandato britannico gli inglesi iniziavano a delineare le zone geografiche da adibire alla colonizzazione secondo precisi limiti e accordi internazionali – quindi in maniera “legittima” -, le frange sioniste più intransigenti sfruttavano l’influenza e le risorse economiche in mano al Fondo Nazionale Ebraico per acquistare interi lotti di terra da proprietari arabi non residenti – la maggior parte dei quali viveva in Turchia – offrendo laute somme, così da convincere quei proprietari alla vendita; in seguito, proclamavano quelle terre – che erano escluse dagli accordi in sede di Mandato – “territorio Ebraico”, imponendo che solamente gli ebrei potessero lavorarle. Questo comportò, già dall’inizio, un allargamento delle colonie ebraiche oltre i confini stabiliti in sede internazionale, frustrando ulteriormente gli animi dei palestinesi.

Ma si tratta solo di alcune delle circostanze che, nel tempo, contribuirono a portare la situazione ad un punto di non ritorno.

Di lì a poco, infatti, avvenne un nuovo fatto, che non poteva essere previsto, che contribuì a porre un nuovo tassello alla questione israelo-palestinese: mentre in Palestina gli ebrei sionisti si mostravano disposti a passare sopra i diritti dei palestinesi pur di realizzare il loro piano, in Europa arrivò chi, al contrario, sembrava disposto a calpestare i diritti degli ebrei pur di realizzare il suo progetto della “Grande Germania”: Adolf Hitler.