La morte di Qassem Suleimani, Capo del Quds, le Forze speciali delle Guardie Rivoluzionarie Iraniane, ha alzato enormemente la tensione tra USA e Iran in questi giorni.

morte di Suleimani

Sulle circostanze della morte di Suleimani, su chi fosse e cosa rappresentasse si è già detto abbastanza; quello che vorrei fare io in questo articolo, invece, è provare a fare un po’ di chiarezza sulla questione generale dei rapporti tra Usa e Iran, così da chiarire il contesto nel quale questo particolare avvenimento si inserisce, provare a comprenderne le ragioni e soprattutto ragionare un po’ sulla situazione geopolitica che fa da sfondo alla morte di Suleimani e a questo aumento di tensioni tra USA e Iran.

Tensioni USA e Iran: i precedenti

In primo luogo, è necessario chiarire una questione: la morte di Suleimani per mano americana non è un caso isolato né un “fulmine a ciel sereno“; il fatto che negli ultimi tempi i media non abbiano parlato di particolari tensioni tra USA e Iran non significa che episodi di scontro non ci siano stati.

Tutto è partito, in realtà, l’8 maggio 2018, quando Donald Trump aveva dichiarato che l’accordo sul nucleare, stipulato dopo una faticosa trattativa diplomatica condotta da Obama con l’Iran, non fosse vantaggioso per gli Stati Uniti e quindi aveva deciso di defilarsi dallo stesso.

La scelta aveva già allora sconvolto le precarie relazioni tra i due Paesi, suscitando peraltro perplessità nella stessa amministrazione americana per una scelta di cui non si comprendevano esattamente le ragioni (ma sulle modalità con cui Trump sta gestendo la sua politica estera, torneremo a breve).

Da lì, iniziò un’escalation di tensione fatta di azioni più o meno dimostrative da parte dell’Iran nei confronti degli Stati Uniti: già nell’estate del 2019 l’Iran aveva messo a segno diversi attacchi alle petroliere americane sul Golfo Persico; in seguito, abbatterono un drone americano, inducendo in un primo momento Trump a minacciare una forte rappresaglia, poi ritirata all’ultimo momento.

Nelle ultime settimane, poi, un bombardamento delle forze Hezbollah – sciite, quindi filo-iraniane – aveva causato la morte di un contractor americano in Iraq e, sempre in Iraq, all’inizio dell’anno, le milizie iraniane e alcuni manifestanti erano riusciti ad assediare l’ambasciata Statunitense a Baghdad.

Insomma: la morte di Suleimani si inserisce come epilogo di questa lunga serie di azioni perpetrate dall’Iran a danno degli USA, derivate in buona parte proprio dalla scelta di Trump di interrompere l’accordo sul nucleare con l’Iran e di riprendere con le sanzioni precedentemente annullate dall’amministrazione Obama.

Anzi, almeno ufficialmente, l’attacco coi droni al Generale iraniano era giustificato proprio da questa escalation di violenze e da presunte – ma ancora non dimostrate – azioni militari in programma da parte del Quds a danno di altri obiettivi americani.

La situazione geopolitica in Medio-Oriente

Dimostrato che la morte di Suleimani non è una circostanza improvvisa ed isolata, le domande a cui preme ora rispondere è: perché questa tensione? Perché assassinare un esponente di spicco dell’esercito iraniano, perché proprio ora e soprattutto cosa c’entra Baghdad con l’Iran?

Tutte le risposte a queste domande vanno ricondotte ad un’unica questione generale, che è quella di cui voglio occuparmi in questo articolo. Dovrò per ovvie ragioni semplificare molto per non farvi perdere il filo di un discorso molto complesso.

Partiamo da qui: il Medio-Oriente, come ho spiegato più volte, è una delle aree geopoliticamente più strategiche del pianeta e come tale suscita da sempre l’interesse delle grandi potenze.

In particolare, l’interesse principale delle grandi potenze è sempre stato quello di scongiurare la nascita di una potenza egemone nell’area, che potesse accedere a tutte le risorse, controllare il territorio e tutti i suoi sbocchi strategici e quindi insidiare le altre potenze.

Per il Medio-Oriente è sempre stato questo l’obiettivo delle potenze soprattutto Occidentali, a partire dagli Accordi di Sykes-Picot. La suddivisone delle aree amministrative senza un effettiva coerenza etnica, che avrebbe portato alla creazione di Stati etnicamente frammentati e perennemente instabili, rispondeva esattamente a questa logica, come ho cercato di spiegare anche nel mio saggio (in vendita su Amazon a questo link).

Come si lega questo principio con la situazione dell’Iran?

Le forze sullo scacchiere medio-orientale

Cerchiamo di capirlo facendo un piccolo ripasso sulle forze presenti in Medio-Oriente. Innanzitutto, va tenuto presente – ci servirà – che nel mondo arabo in generale la religione ha una forte componente, capace di influenzare anche le dinamiche geopolitiche. In Medio-Oriente, dunque, una forte influenza esercita la distinzione tra sunniti e sciiti.

Tensione tra Usa e Iran

Le maggiori potenze regionali dell’area, capaci quindi di esercitare un’influenza militare, politica, economica, religiosa e culturale sono 3:

  • La Turchia, (sunnita);
  • L’Arabia Saudita, (sunnita);
  • L’Iran, (sciita).

Ora: in un mondo geopolitico ancora strutturato sull’esistenza della bomba atomica, e quindi sul mondo M.A.D., l’impossibilità per le grandi potenze di scontrarsi in modo diretto una contro l’altra comporta l’adozione di altre strategie per mantenere il controllo e l’influenza sulle aree strategiche. 2 In particolare.

A- Consolidare una o più alleanze con le potenze regionali

Questa strategia consente alle grandi potenze di manifestare indirettamente la loro influenza nell’area per mezzo di quella – politica, economica o culturale – di una potenza intermediaria presente in loco, e di mantenere il controllo delle vicende interne alla regione; essa può costituire anche una valida testa di ponte da sfruttare per l’invio di uomini e mezzi in caso di esplosione di crisi militari.

Nello specifico caso del Medio-Oriente, gli USA hanno adottato questa strategia stringendo alleanza, seppur per motivi diversi tra loro, con due potenze regionali: Israele e l’Arabia Saudita.

Sull’altro fronte, L’Unione Sovietica prima e la Russia poi si sono affidate ad altre due potenze regionali: la Turchia – soprattutto con Erdogan – e, a partire dalla rivoluzione Khomeinista del 1979, che ha portato al governo una forza dichiaratamente anti-occidentale, proprio l’Iran.

B- Adozione di strategie di guerra asimmetrica e di altro tipo con le potenze regionali rivali

Questa strategia consente alle potenze esterne di fiaccare l’influenza e il potere delle potenze regionali rivali al fine di impedire loro di acquisire l’egemonia regionale e quindi divenire un nemico abbastanza potente da insidiare i propri interessi, senza affrontare uno scontro diretto che causerebbe un’escalation di violenza che condurrebbe alla guerra atomica (mondo M.A.D.).

Si tratta di strategie che non riguardano quindi l’intervento bellico diretto contro il nemico, ma di altre soluzioni come:

  • la guerra diretta ad attori minori della regione, per ostacolare l’influenza della potenza regionale nemica potenzialmente interessata ad acquisire territori limitrofi;
  • azioni volte ad isolare la potenza nemica sul piano diplomatico;
  • azioni economiche – sanzioni, embarghi – finalizzate ad ostacolare la crescita economica della potenza regionale rivale;
  • azioni contro obiettivi strategici e mirati, per sottrarre alla potenza regionale rivale influenza, potere, credibilità (assassini di persone influenti, attacchi mirati e circoscritti ad obiettivi strategici).

Queste sono sostanzialmente le azioni adottate dagli USA nei confronti delle possibili aspirazioni egemoniche delle potenze regionali rivali come appunto l’Iran: vi ritroviamo infatti il tentativo di isolamento diplomatico, l’utilizzo di sanzioni economiche e l’attacco ad obiettivi strategici, come appunto la morte di Suleimani.

L’azione geopolitica americana in Medio-Oriente

Verifichiamo quanto esposto analizzando le strategie utilizzate in Medio-Oriente dalle varie amministrazioni americane degli ultimi 30 anni.

Uno dei primi obiettivi dell’agenda di intervento in Medio-Oriente è stato Saddam Hussein. Il Raìs era esponente del partito Ba’th, ossia un movimento trasversale – abbraccia sia sunniti che sciiti che socialisti – che aveva proprio lo scopo di realizzare una Repubblica Panaraba nel Medio-Oriente, promessa e poi negata dagli europei con Sykes-Picot; esso costituiva come tale il principale nemico americano nell’area negli anni ’90 per le sue aspirazioni egemoniche. E’ stato infatti attaccato prima nel 1991 e poi nel 2003, allo scopo di destituirlo e porre in Iraq un governo più affine agli interessi americani.

Poi è stata la volta della Siria: governata dagli Assad, che da un lato erano anch’essi membri del partito Ba’th, e dall’altro erano sciiti – ossia forze antagoniste del loro principale alleato arabo nella zona, l’Arabia Saudita, che è sunnita – costituiva anch’essa un potenziale problema, soprattutto da quando le dinamiche geopolitiche nell’area avevano spinto la Siria tra le braccia della Russia e, in quanto sciiti, nell’area di influenza dell’Iran. L’esplosione di proteste contro Assad è stata quindi sfruttata dalla potenza americana per far degenerare la situazione e far decadere il governo sciita filo-iraniano, per sostituirlo con uno sunnita.

Queste dinamiche hanno così portato alla creazione di due fazioni principali: da un lato gli sciiti, appoggiati alla potenza regionale iraniana e supportati dalla potenza esterna russa, che hanno finito per assumere un atteggiamento filo-russo e anti-americano: parliamo principalmente della Siria di Assad e del Libano, governato da una maggioranza sciita e sede di una delle principali organizzazioni militari anti-occidentali: gli Hezbollah (la cui consistenza militare supera per uomini e mezzi quella dello stesso esercito regolare libanese).

Dall’altra parte le forze sunnite, sotto l’influenza dell’Arabia Saudita e in aperto contrasto sia con la potenza regionale iraniana che contro il governo di Assad, che governa un paese – la Siria – a forte maggioranza sunnita pur essendo sciita (gli sciiti in Siria sono circa il 13%).

Sarebbe bello, per semplificare, poter dire che gli sciiti stanno con l’Iran e i russi mentre i sunniti stanno con i sauditi e gli americani, ma purtroppo non è così semplice.

L’ISIS e il suo ruolo nelle dinamiche geopolitiche

In mezzo a questo intreccio di alleanze, infatti, nel bel mezzo della guerra in Iraq e agli albori dello scoppio della crisi siriana, si è insinuata una terza forza: il terrorismo islamico di matrice sunnita che faceva capo all’ISIS.

L’ISIS, infatti, è sunnita e allo stesso tempo anti-americano (ed è stato combattuto anche dagli stessi sauditi). Ciò ha complicato un po’ la sistemazione delle alleanze, come potete capire: infatti, dovete considerare che il nucleo principale dei miliziani dell’ISIS derivava dai veterani dell’esercito di Saddam – sunnita – che una volta caduto il regime per mano americana – combattuti non in quanto sunniti, ma per le aspirazioni egemoniche dell’Iraq ba’thista – si sono riorganizzate per contrastare l’instaurazione di un governo sciita in Iraq, voluto proprio dagli USA per scalzare il Ba’th.

Si tratta di un elemento di complicazione che è però fondamentale per comprendere le dinamiche in corso in questi giorni, legate alle tensioni tra USA e Iran.

I (pessimi) risultati della strategia americana

Guardando alla situazione odierna in Medio-Oriente, lo scenario che ci si palesa di fronte è il seguente.

Libano

Il Libano continua ad essere in mano alle forze sciite, anti-americane e alleate sia di Assad che dell’Iran;

Siria

In Siria la strategia americana di imporre un governo sunnita al posto di quello sciita di Assad è fallita miseramente e in buona parte proprio a causa dell’ISIS, che ha sottratto agli USA numerose forze sunnite siriane che, invece di combattere Assad per conto degli Stati Uniti, si sono messe a combattere sia Assad che gli Stati Uniti allo scopo di creare uno Stato unico siro-iracheno – lo Stato Islamico – contro qualunque altra potenza, regionale o esterna, interessata all’area. Questo ha fatto sì che le forze sunnite alleate americane nella guerra civile siriana – confluite nell’ESL, Esercito Siriano di Liberazione – fossero del tutto insufficienti a spodestare Assad, che è di fatto rimasto l’unico soggetto in grado di tenere in mano le redini del potere. Di contro, Assad è stato fortemente supportato non solo dai russi, ma dagli Hezbollah e dallo stesso Iran, con il quale condividevano l’orientamento religioso (sciita);

Iraq

In Iraq, infine, l’azione americana ha avuto successo nella misura in cui è riuscita a spodestare i sunniti ba’thisti dal potere e di conseguenza l’ISIS, ma la loro sostituzione con forze sciite – in Iraq, al contrario che in Siria, sono proprio gli sciiti ad essere in forte maggioranza – ha creato una situazione anomala.

Il fatto che nel Paese si sia progressivamente imposta una forza sciita ha infatti inevitabilmente portato l’Iraq ad orbitare sotto l’influenza iraniana. Il nuovo governo sciita, infatti, nonostante sia stato in qualche modo indicato dagli USA, è stato di fatto supportato in ogni modo sia dall’Iran che dal Libano, secondo una strategia molto lungimirante.

Lo scopo dell’Iran era chiaramente quello di fare in modo che nell’area il controllo politico fosse assunto da forze sciite – in Libano, Siria e Iraq – così da creare un vero e proprio corridoio sciita che, finendo per rientrare nell’orbita iraniana per ragioni religiose, avrebbe fortemente aumentato la forza e l’influenza iraniana in Medio-Oriente, e di conseguenza la sua egemonia.

Perché la morte di Suleimani?

Ecco la corretta chiave di lettura per comprendere la morte di Suleimani.

Il generale iraniano era infatti impegnato in Iraq per consolidare il controllo del Paese da parte della fazione sciita, e di conseguenza per rafforzare l’influenza iraniana in Iraq. Per questo, Suleimani costituiva un pericolo concreto per gli Stati Uniti, che rischiano in questo modo, dopo aver perso la Siria, di perdere di fatto anche l’Iraq nonostante tutti gli sforzi profusi per scacciare le milizie ba’thiste.

La morte di Suleimani per mano americana, dunque, aveva il preciso scopo di lanciare un chiaro messaggio all’Iran, mostrandogli che gli Stati Uniti sono ancora in grado di decidere le sorti del Medio-Oriente e di ostacolare, con un semplice atto militare, le aspirazioni egemoniche iraniane.

il problema è che questa scelta si è rivelata un clamoroso autogol.

Un ribaltamento della situazione

Quello che probabilmente Trump, con la sua politica estera istintiva e non progettuale, non ha considerato, è che l’uccisione di uno dei più carismatici esponenti della fazione sciita, impegnata in Iraq nel consolidamento dell’influenza iraniana nella zona, ha costretto i cittadini e le istituzioni irachene a fare per la prima volta una scelta tra i loro potenziali alleati: gli Occidentali, che hanno posto in essere le condizioni per la vittoria della maggioranza sciita, e gli iraniani, che stanno tutt’ora supportando il passaggio di consegne dal vecchio regime sunnita a quello nuovo sciita.

morte di Suleimani

Il solo fatto che il governo in carica in Iraq abbia fortemente condannato il gesto, considerando la morte di Suleimani il presupposto per una grave escalation di violenza, e che una grande folla di cittadini iracheni si sia stretta intorno alla salma del generale iraniano ai suoi funerali, dovrebbe chiarire abbastanza quale scelta sembrano aver fatto gli iracheni…

E così, da che all’inizio del decennio, con lo scoppio della crisi siriana e la guerra in corso in Iraq, sembrava che gli Stati Uniti potessero con un solo colpo cancellare ogni forma di antagonismo nell’area – ossia gli Assad e il regime di Saddam – per creare due governi filo americani o comunque influenzabili dagli USA ed eliminare ogni rischio di egemonia della loro potenza regionale rivale – L’Iran – oggi la situazione è totalmente ribaltata: la Siria è ancora in mano ad Assad e l’Iraq è sostanzialmente sotto controllo sciita, con una forte influenza iraniana che le ultime vicende non hanno fatto che accrescere e consolidare.

Di fatto, oggi, gli sciiti controllano il Medio-Oriente – pur essendo la minoranza – e i principali Paesi dell’area – Siria, Libano e Iraq – sono sotto l’influenza iraniana.

Quello che dunque Trump deve temere non è tanto la rappresaglia iraniana per la morte di Suleimani – che certamente ci sarà – quanto la circostanza che, oggi, è stato posto un ulteriore tassello per la sconfitta occidentale in Medio-Oriente. E credo anche che la poca lungimiranza di Trump in politica estera ne sia una delle principali cause.

P.T.