Dal fronte della guerra in Siria continuano a giungere novità. L’ultima in particolare, riportata da diversi quotidiani come il Sole24ore, annuncia la chiusura di un accordo tra i curdi e il regime di Assad in prospettiva anti-turca, al fine di frenare l’avanzata delle milizie di Erdogan.

Un’alleanza inedita che appare un paradosso privo di ragioni logiche. Ma è davvero così? In realtà non si tratta di una circostanza così assurda come potrebbe sembrare; ma per comprenderne davvero le ragioni è necessario conoscere l’intricato intreccio di alleanze e interessi che caratterizzano la guerra in Siria, senza conoscere la quali è del tutto impossibile capire cosa stia davvero accadendo nel Paese Medio-Orientale in queste delicatissime settimane.

Si tratta di una trama così complessa da fare invidia alla soap “Beautiful” e che ritengo necessario riuscire a riassumere affinché tutti comprendano cosa stia accadendo davvero. Dovrò, per ovvie ragioni, semplificare molto, ma sarà l’unico modo efficace per spiegare la situazione a chi non la conosce.

L’intreccio delle alleanze nella guerra in Siria

Per comprendere la Guerra in Siria e quindi il complesso delle alleanze dei vari attori internazionali, è necessario partire dall’inizio e cioè iniziare individuando i protagonisti “interni” della guerra civile siriana.

I protagonisti

Molto approssimativamente, la Siria è composta da 3 etnie principali: il 71% della popolazione è musulmana sunnita, il 16% è musulmana sciita e il 9% circa è di etnia curda.

Nonostante la stragrande maggioranza del Paese sia sunnita, il governo della Siria è da quasi un secolo in mano alla famiglia Assad, che è sciita. Di conseguenza, l’etnia sciita – il 16% – governa il Paese da decenni, sottomettendo con le buone o con le cattive le altre etnie. E la famiglia Assad è uno storico alleato dell’Unione Sovietica e quindi, oggi, della Russia.

Quando, all’inizio del decennio in corso, in Siria hanno iniziato a diffondersi gli ideali della cosiddetta “primavera araba”, diversi attori internazionali – USA in primis – hanno colto l’occasione per destabilizzare il Paese e trasformare la ventata di proteste in guerra civile, allo scopo di destituire Assad e sostituirlo con un governo di stampo sunnita, affidando cioè la Siria all’etnia di maggioranza.

Gli attori “esterni”

Di fronte allo scoppio della guerra civile, le potenze internazionali hanno immediatamente preso una posizione, data l’importanza strategica della zona. Cerco allora di schematizzare la situazione esistente allo scoppio della guerra in Siria.

guerra in Siria

Da un lato avevamo gli Stati Uniti e l’Europa, che supportavano le milizie sunnite per destituire Assad, appoggiati anche dall’Araba Saudita, che è anch’essa di maggioranza sunnita ed è ormai storico alleato americano nella zona.

Dall’altro avevamo invece la Russia, storico alleato di Assad, che sosteneva il governo legittimo con l’aiuto dell’Iran – per ragioni ideologiche, essendo l’Iran a maggioranza sciita – e la Turchia – per ragioni strategiche, poiché la destabilizzazione della Siria poteva portare, come poi ha fatto, ad una prepotente rinascita del nazionalismo curdo.

I curdi, invece, rimanevano inizialmente a metà tra i contendenti, poiché il loro interesse era sia destituire Assad che impedire ai sunniti di andare al governo, volendo unicamente realizzare i loro propositi nazionalisti ed eventualmente operare una vera e propria secessione dallo Stato siriano.

Guerra in Siria: l’arrivo dell’ISIS

La situazione era quindi abbastanza chiara, con due schieramenti ben delineati. Tuttavia, nel bel mezzo della guerra in Siria presto un nuovo attore sarebbe arrivato sulla scena a sparigliare le carte.

Come detto, gli USA supportavano i sunniti, che avevano costituito sia un esercito regolare – l’ESL – sia vari movimenti indipendenti come Al-Nusra. Gli americani adottarono quindi la strategia di finanziare e supportare con armamenti le forze sunnite affinché combatterssero Assad.

Tuttavia, una di queste forze, dal nome Daesh e comandata da Al-Baghdadi, decise di sfruttare quel caos per realizzare propositi diversi e più grandi della semplice cacciata di Assad: la creazione di uno Stato islamico sunnita indipendente che conglobasse Iraq e Siria. Sfruttando proprio i finanziamenti americani, questo movimento armato, che dal 2014 prese il nome di ISIS o Stato Islamico, modificò completamente la situazione costringendo le varie potenze a rivedere totalmente le alleanze e le strategie.

guerra in Siria

Dopo iniziali tentennamenti e difficoltà diplomatiche, le due grandi potenze – USA e Russia – riuscirono a trovare un accordo per mettere entrambe come priorità la distruzione dello Stato Islamico e rimandare la lotta per il trono siriano ad un secondo momento.

L’ISIS – che ricordo essere sunnita -, come già spiegato, prese di mira non solo gli sciiti, ma anche i curdi, per espandersi a nord della Siria e dell’Iraq. Questo comportò automaticamente l’ingresso dei curdi nell’alleanza Occidentale, che si batteva in favore dei sunniti “buoni” – perdonate la semplificazione – contro gli sciiti ma anche contro i sunniti “cattivi” dell’ISIS.

La fine della guerra in Siria e la “vittoria di Pirro” di Assad

Tralasciando le vicende nel dettaglio – per le quali rimando al mio libro – l’unione delle forze contro il terrorismo sunnita riuscì a portare i suoi frutti e fiaccare ogni sacca di resistenza dello Stato Islamico.

A quel punto, però, restava ancora aperta la questione della guerra in Siria e su quale etnia dovesse assumere il controllo del Paese. Gli USA, però, non riuscirono a costruire una valida alternativa sunnita ad Assad, che di fatto resta ancora oggi l’unico soggetto in grado di prendere le redini del potere.

Di fatto, quindi, la coalizione pro-sunnita è uscita sconfitta, mentre quella pro-sciita – seppur con una vittoria di Pirro – è uscita vincitrice.

guerra in Siria
Bashr- al Assad

Infatti, Assad continua ad essere di fatto il sovrano legittimo della Siria, ma con una evidente differenza rispetto al passato: la Siria, oggi, non esiste più.

Al suo posto abbiamo un territorio dilaniato, distrutto e privo di un’autorità solida; non a caso, i curdi hanno nel frattempo consolidato il loro controllo sul nord del Paese, nel quale le milizie sciite non mettono più piede da anni. Ma anche in altri luoghi del Paese continuano a sussistere sacche di resistenza sunnite – buone e cattive -, rendendo la Siria un mosaico incontrollabile di popolazioni e autorità indipendenti, dai confini estremamente fragili. Come tali, esposti all’invasione di altre potenze vicine.

La strategia turca nella guerra in Siria

Nel mezzo di questa complessa situazione, Trump ha pensato bene, in queste settimane, di abbandonare il teatro siriano, lasciando al loro destino i sunniti – ormai sconfitti – ma soprattutto i curdi, che erano appena riusciti a crearsi il loro enclave in territorio siriano in cui costruire la loro repubblica curda indipendente.

Un’ipotesi, quest’ultima, che ovviamente non andava giù ai turchi, che hanno da sempre visto i curdi come il loro principale nemico. Motivo per cui, sfruttando l’isolamento in cui i curdi si sono ritrovati con la dipartita americana, Erdogan ha avviato una vera e propria invasione del nord della Siria – il Kurdistan siriano – per operare rastrellamenti, pulizia etnica e garantirsi così, a suo dire, un “territorio cuscinetto” per tenere lontani i terroristi curdi dai confini turchi.

guerra in Siria
Erdogan

Ma in realtà, almeno a mio parere – e non solo mio – il vero obiettivo di Erdogan pare essere un altro: del resto, la sua operazione non è limitata a raid aerei e bombardamenti mirati per fiaccare la resistenza curda; si tratta di una vera e propria operazione di terra, condotta con uomini e carri armati che avanzano in territorio siriano. E’ cioè un’invasione in piena regola, che non escludo abbia l’obiettivo reale di annettere i territori del Kurdistan siriano alla Turchia, sfruttando proprio l’assenza di autorità solide in Siria capaci di impedirglielo.

Di fronte a questo rischio, risulta così abbastanza normale che gli sciiti di Assad, ormai ex alleati turchi, che proprio ora hanno la possibilità di riacquistare il controllo dei territori perduti, si oppongano alla strategia turca. Ed è altretatnto normale che lo facciano appoggiandosi agli unici alleati possibili rimasti in prospettiva anti turca: i curdi, appunto.

Ecco perché questa alleanza è meno paradossale di quello che potrebbe sembrare di primo acchito.

La Turchia “ago della bilancia”

In queste ore, la Turchia ha avuto il lasciapassare del principale alleato, la Russia, la cui inerzia è di fatto un segno di complicità. Un gesto che va chiaramente contro l’altro alleato russo, la Siria sciita di Assad, il quale però ha le mani legate e che, non potendo permettersi di fare “la voce grossa” con Putin, si vede costretto a mordersi la lingua e cercare almeno di salvare il salvabile. Anche l’Iran, ideologicamente più vicino alla Siria che alla Turchia, ha espressamente condannato il gesto di Erdogan.

Perché allora la Russia sembra preferire gli interessi turchi su quelli di altri alleati?

Perché la Turchia è un alleato potente e prezioso, che da decenni sia occidentali che russi cercano di portarsi dalla loro parte; ricordate sicuramente l’idea – e le conseguenti polemiche – sull’opportunità di inglobare la Turchia nell’UE, il che dimostra che c’è una grande attenzione alla posizione della Turchia sullo scacchiere internazionale, che costituisce oggi un vero e proprio ago della bilancia nello scontro endemico tra Occidente e Oriente del mondo.

Ed ecco perché tutti la corteggiano e nessuno la colpisce veramente.

Le sorti del conflitto siriano, soprattutto di questa nuova fase, sono determinanti per il futuro geopolitico del pianeta e se ad oggi nessuno è ancora in grado di dire come andrà a finire, tutti restano col fiato sospeso ad osservare gli sviluppi.

La Turchia è pericolosa?

. La Turchia è il terzo esercito del mondo per numero di coscritti, ha un arsenale bellico invidiabile ed è oggi governata da un mitomane sanguinario che a seguito del colpo di Stato farsa di qualche anno fa gode oggi di pieni poteri nella gestione del Paese. E che sembra avere le idee molto chiare su quello che intende fare.

Per questo va fermato prima che sia troppo tardi.

Non temo in proposito di chiudere con un paragone che non è affatto esagerato: l’occidente si trova oggi a discutere sull’opportunità di intervenire o meno contro Erdogan e con quali modalità; si fatica a trovare un accordo, una linea comune, si sottovaluta il problema, si perde tempo. E nel frattempo Erdogan macina chilometri in terra siriana.

La stessa cosa successe quando, mentre inglesi e francesi discutevano sul da farsi, la Germania nazista rompeva gli indugi e invadeva la Polonia.

P.T.

Tutte queste dinamiche sono state naturalmente trattate più nel dettaglio nel mio libro Terrorismo Islamico: storia di un complotto europeo, che trovate su Amazon.