Parliamo di Presidenzialismo.

Tra le proposte del Centro Destra c’è quella, più volte preventivata in passato, di riformare la Costituzione in senso Presidenzialista e avere finalmente il tanto agognato “Governo eletto dal popolo”.

Di per sé, la proposta non ha nulla di scandaloso: si tratta di propendere per una struttura costituzionale diversa ma perfettamente lecita e democratica. Mi sembra dunque il caso di spiegare meglio di cosa si tratti, sia per tranquillizzare chi vede nel presidenzialismo una sorta di anticamera della dittatura, sia per chi ritiene che sia sufficiente scrivere nella Costituzione “Il Presidente del Consiglio è eletto dal Popolo” e “voilà”, ecco il Presidenzialismo.

Il passaggio da un sistema parlamentare a uno presidenziale non comporta automaticamente una perdita di livello di democrazia, ed anzi alcune delle più forti democrazie del mondo hanno un sistema presidenziale, ma comporta comunque un totale stravolgimento delle dinamiche politiche cui siamo abituati e una totale riscrittura dell’attuale struttura dei poteri dello Stato. Stravolgimenti che vorrei provare a spiegare in modo chiaro e semplice per i profani della materia.

I tipi di Presidenzialismo

In primo luogo, per capire cosa cambierebbe a livello costituzionale sarebbe importante capire che tipo di presidenzialismo intendono introdurre. Sì, perché i sistemi presidenziali sono almeno 2: Presidenzialismo e Semi presidenzialismo, il primo che ha come esempio scolastico gli USA, il secondo la Francia.

Entrambi prevedono, accanto all’elezione diretta dei membri del Parlamento (elezione che quindi rimane, perché la sovranità popolare si esercita essenzialmente attraverso il potere legislativo) un’altra elezione nazionale diretta per la carica di Presidente della Repubblica; ma i due casi presentano differenze sostanziali.

Presidenzialismo

Nel sistema Presidenziale (USA) il Presidente della Repubblica è il diretto detentore del potere esecutivo. E’ lui ad incarnare quello che da noi è il ruolo del Presidente del Consiglio, ossia il capo dell’esecutivo; è lui a nominare i ministri e revocarli, è lui a dirigere la politica nazionale.

Questo ha delle ripercussioni sostanziali sul sistema, rispetto a quello in vigore da noi oggi. Conseguenza centrale di questo cambiamento è che nel sistema presidenziale viene meno il meccanismo della fiducia. Questo perché l’istituto della fiducia ha lo scopo di garantire una sorta di “autorizzazione” per l’esecutivo da parte del popolo sovrano, per fare in modo che il potere che è diretta emanazione del popolo possa influire nella nomina anche degli altri poteri. Nel nostro caso, dunque, il Governo deve essere “autorizzato” dal Parlamento, perché è il Parlamento l’organo direttamente eletto.

Ma se il capo dell’esecutivo è egli stesso diretta emanazione del popolo sovrano, allora quell’autorizzazione non ha più senso di esistere (è già in re ipsa nell’elezione diretta).

La perdita del meccanismo di fiducia ha sostanziali ripercussioni sul sistema costituzionale. Primo fra tutti, il fatto che, così come il Parlamento non può porre la fiducia al governo, allo stesso modo non può nemmeno sfiduciarlo; quindi, il Parlamento non può fare cadere il Governo. Questo rende i governi presidenziali estremamente stabili, infatti arrivano sempre a fine mandato (salvo casi di impeachment o attentati alla Costituzione).

Questa cosa vale però anche al contrario: nemmeno il Presidente, infatti, può sciogliere le camere. Un limite logicamente ovvio, dal momento che, se potesse, il sistema sarebbe profondamente squilibrato verso l’esecutivo, che sarebbe immune dalle azioni del Parlamento ma potrebbe a sua volta sciogliere le Camere a piacimento. Inoltre, il potere di scioglimento delle camere ha senso solo nel sistema parlamentare, in quanto il Governo è emanazione del Parlamento e se il Parlamento è incapace di individuare una maggioranza, è necessario che si rivoti l’assemblea legislativa; oltretutto, nel sistema parlamentare il potere di sciogliere le camere non spetta al capo dell’esecutivo (il Presidente del Consiglio) ma al Presidente della Repubblica, che è un organo di garanzia col compito di “mediare” tra i due poteri. Un ruolo, quest’ultimo, che nel sistema Presidenziale non serve, per le ragioni già viste, e quindi viene sostanzialmente assimilato a quello di capo dell’esecutivo.

Un sistema del genere appare dunque decisamente più stabile (i governi non cadono e i parlamenti finiscono sistematicamente le legislature) e questo sarebbe un vantaggio per un Paese come il nostro, dove riuscire a finire una legislatura è un miracolo; ma non è detto che tali sistemi siano automaticamente anche più efficienti. Potrebbe infatti capitare (avvenendo le due elezioni in tempi diversi, nelle quali le preferenze possono mutare) che una fazione politica vinca le elezioni presidenziali mentre quella opposta ottenga la maggioranza in Parlamento. A quel punto, si rischia una profonda stasi politica, perché il Governo farebbe fatica a fare approvare le leggi del suo programma a un Parlamento di opposizione. Si parla, in questi casi, di “coabitazione”. In tale contesto, nel quale il Presidente non può sciogliere le camere e il Parlamento non può sfiduciare il Governo, la stasi rischia di durare per l’intera legislatura senza che esistano i correttivi tipici del sistema parlamentare, che su questo aspetto è decisamente più flessibile (in genere il Presidenzialismo prevede altri correttivi, come le elezioni di metà mandato che possono fornire al Presidente un “aggiornamento” delle preferenze dell’elettorato e adeguarsi di conseguenza).

Questo è il motivo per cui i sistemi presidenziali vengono usati principalmente in contesti bipolari o bipartitici, nei quali il Parlamento è sostanzialmente diviso solo tra due fazioni ed è quindi più facile evitare la stasi politica dovuta alla coabitazione rispetto a un sistema, come il nostro, che ha addirittura 4 poli.

In USA, anche in caso di coabitazione il partito minoritario arriva sempre almeno al 40-45% e serve trovare pochi voti per tenere in piedi una maggioranza che arrivi a fine legislatura.

Nel caso italiano, invece, potrebbe diventare molto complesso: immaginate infatti che avessimo avuto il Presidenzialismo, con un Presidente votato nel 2018 del partito M5S (allora il più votato): oggi per tenere su la baracca avrebbe in Parlamento appena il 15% dei seggi, quindi sarebbe impossibilitato a realizzare qualsivoglia riforma.

Semipresidenzialismo

Una via di mezzo tra i due sistemi è invece il semipresidenzialismo. In esso, come nel presidenzialismo, anche l’elezione del Presidente della Repubblica è diretta, ma il Presidente della Repubblica non è il capo dell’esecutivo, bensì solo il capo dello Stato. Svolge cioè una funzione di garanzia simile al Presidente della Repubblica italiana, ma con qualche particolarità in più. In quanto eletto dal popolo, quindi legittimato direttamente dal basso, detiene infatti una serie di poteri importanti, primo fra tutti la nomina del capo dell’esecutivo, ossia il Primo Ministro.

La sostanziale differenza con il Presidenzialismo è che il Primo Ministro, essendo nominato solo indirettamente da un potere eletto, dovrà avere la fiducia delle camere. Quindi nel semipresidenzialismo c’è il meccanismo della fiducia.

In tal senso l’esecutivo ha una sorta di doppia legittimazione: sia quella del Capo dello Stato, sia quella dell’assemblea legislativa. In questo modo, tale sistema mira a contemperare i rischi della coabitazione, in quanto il Capo dello Stato, nella scelta del Primo Ministro, dovrà tenere conto delle maggioranze parlamentari, pena la sfiducia e la caduta del Governo. E non è infatti raro il caso in cui, in Francia, sia accaduto che un Presidente della Repubblica di destra nominasse Primo Ministro un esponente di sinistra, perché l’assemblea legislativa era a maggioranza di sinistra (e viceversa).Si tratta quindi di un sistema a metà tra i due, che da un lato appare meno stabile perché il governo può essere sfiduciato, ma potenzialmente più efficiente in caso di coabitazione, prevedendo un correttivo per evitare la stasi di governo.

La proposta della Destra

Compresi in generale i due sistemi, veniamo ad analizzare la proposta della destra.

A quanto pare, il Centro Destra avrebbe scelto una forma Semi-Presidenziale, sulla falsariga del modello francese (e non americano, quindi).Questo significa che avremmo un Presidente della Repubblica eletto ogni 5 anni (non più 7) direttamente dal popolo, il quale a sua volta presiederebbe il Governo – quindi non è più un organo di garanzia – e avrebbe, tra gli altri, il potere di nominare il Primo Ministro (ex Presidente del Consiglio) che dovrà poi ottenere la fiducia del Parlamento.

La riforma prevede dunque il mantenimento del “rapporto” tra esecutivo e legislativo secondo il vincolo della fiducia (che manca nel Presidenziale puro). Questo ha a mio avviso sia vantaggi che svantaggi.

I vantaggi

Il vantaggio è che in questo modo si evita un Governo totalmente svincolato dal Legislativo, che quindi non potrà fare a meno di evitare di considerare le maggioranze parlamentari sia per scegliere il Primo Ministro, sia per portare avanti il suo programma politico; in questo modo si eviterebbe che, nel caso di coabitazione, ci si ritrovasse con un Governo di colore diverso del Parlamento e, a fronte dell’impossibilità di far cadere il Governo, ne nascesse una stasi politica che rischierebbe di durare per l’intera legislatura (il Governo vuole fare x, il Parlamento preferisce fare y, nessuno dei due può far cadere l’altro quindi ci teniamo una Legislatura in stallo per 5 anni).

Un vantaggio accresciuto da un altro correttivo – assente in Francia – che il Centro Destra sembra voler introdurre: la c.d. “sfiducia costruttiva”: onde evitare cioè che, nel caso di coabitazione (quindi Governo di un colore e Parlamento a maggioranza opposta) il Parlamento faccia una mera opera ostruzionistica al solo fine di tenere in stallo il Governo o farlo cadere “per principio”, sarebbe previsto che il Parlamento, nel momento in cui decide di sfiduciare il Governo, debba necessariamente proporre un “nome alternativo” alla carica di Primo Ministro, assicurando al Presidente della Repubblica che, se nomina quel soggetto, il Parlamento avrà i numeri per dargli la fiducia.

Una soluzione che esiste in altri Paesi come la Germania, ma che – come appunto la Germania – è tipica dei sistemi parlamentari, mentre non mi pare esista in un sistema Semi-Presidenziale già conosciuto (né Presidenziale, dove la fiducia non esiste). Potrebbe quindi fornire dei vantaggi in linea teorica, ma si tratta di una incognita, dato che non abbiamo esempi di questo tipo per fare paragoni.

Gli svantaggi

Quanto agli svantaggi, ne trovo almeno due.

Il primo è che un simile sistema non mi pare risolva l’endemico problema del sistema parlamentare italiano, ossia l’impossibilità oggettiva di arrivare a fine legislatura. Il Presidente della Repubblica, in quanto eletto direttamente, non potrà essere sfiduciato, ma il meccanismo della fiducia resta in piedi per il Primo Ministro, che si ritroverebbe dunque con lo stesso problema di oggi, ossia avere i numeri in Parlamento. E nel sistema politico italiano, estremamente frastagliato, dove difficilmente un partito riesce a superare da solo il 30% delle preferenze (e lo abbiamo appena visto), sarà inevitabile avere ancora un Parlamento estremamente composito, dove è difficile individuare e soprattutto mantenere in piedi a lungo una maggioranza, col rischio che il ricorso alla “fiducia costruttiva” diventerebbe non un’extrema ratio ma una prassi.

In questo senso, non mi pare che la riforma ottenga il risultato che dovrebbe ottenere, ossia la stabilità dei Governi.

Il secondo svantaggio riguarda invece il fatto che, a fronte del mancato scioglimento del nodo “stabilità”, il sistema perderebbe anche un fondamentale ruolo di garanzia nella gestione del rapporto tra i due poteri e soprattutto nel controllo della legittimità costituzionale del loro operato. E non è una cosa di poco conto, perché equivale a giocare una partita senza l’arbitro. Una cosa che si potrebbe anche fare, ma quando si è tutti amici e si gioca per divertirsi…In particolare, se oggi il Parlamento varasse una legge incostituzionale, l’attuale Presidente della Repubblica, nel suo ruolo di garanzia costituzionale, può rifiutarsi almeno una volta di controfirmare la legge, impedendone l’entrata in vigore. Nel passaggio al Semi-Presidenziale questa facoltà verrebbe ovviamente meno.

Qualcuno potrebbe obiettare che in realtà questa è una caratteristica comune a tutti i sistemi Semi-Presidenziali; il che è vero, ad esempio è così anche in Francia. Tuttavia, la Francia prevede dei correttivi a questa mancanza che probabilmente dovremmo inserire anche noi; non tanto sul lato della gestione dei rapporti tra i due poteri (che in definitiva vengono gestiti dai poteri stessi, attraverso il meccanismo di fiducia-sfiducia) quanto sul possibile controllo di legittimità costituzionale: in Francia, infatti, il Conseil Constitutionel (l’equivalente della nostra Corte Costituzionale), ha la possibilità di operare il “sindacato preventivo di costituzionalità”: in sostanza, una legge scritta dal Parlamento, prima di essere promulgata, viene controllata dal Consiglio che ne verifica la conformità alla Costituzione e può impedirne l’approvazione. In Francia, la Corte ha quindi un ruolo politico rilevante, che in Italia non ha.

Senza tale correttivo, nel caso in cui Parlamento e Governo fossero dello stesso colore politico, non ci sarebbe alcuna figura in grado di svolgere questa funzione, con un potenziale rischio per la stabilità costituzionale. Ma non so quanto la destra – questa destra – sarebbe disposta, per ovviare a questo rischio, a conferire un tale potere alla Corte Costituzionale.

In ultimo, la riforma presenta anche una criticità: non pare che precisi in quali condizioni il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere. E dovrebbe dirlo, perché tale potere mi pare necessario in un sistema altrimenti sbilanciato verso il Parlamento; soprattutto perché capire in che termini il capo dell’esecutivo possa agire contro il Parlamento è fondamentale per verificare l’effettivo rispetto degli equilibri tra i poteri.

Attualmente, dunque, la mia valutazione della riforma resta abbastanza neutra. Avendo la destra già dichiarato di voler portare avanti tale riforma, avremmo a breve nuove delucidazioni su come intendano farla.

P.T.

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