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In questo articolo farò alcune considerazioni sul divario tra percezione e realtà partendo da un esempio che ci permetterà di valutare come sia possibile alterare la nostra percezione manipolando i dati statistici: le percentuali delle etnie in carcere.

Detenuti nelle carceri italiane

L’esempio è quindi quello, risaputo e molto “politicizzato”, della percentuale delle etnie in carecere, ossia l’incidenza della nazionalità sulla propensione al crimine. Come vedete dal grafico, nel 2017 c’erano 37 mila detenuti italiani e 19 mila stranieri.

Rapportato al fatto che in Italia ci sono 55 milioni di italiani e 6 milioni di stranieri, apparirebbe evidente che l’incidenza al crimine sia estremamente più alta per gli stranieri.

percentuali delle etnie in carcere

Questa conclusione potrà mai essere contestabile? , e ora vi spiego perché (chiedete a chi fa statistica se non volete credere a me).

Il dato ovviamente non è falso; il problema qui è il bias di conferma, ossia il voler utilizzare come premessa dell’analisi quella che dovrebbe essere la conclusione cui voglio arrivare.

In sostanza, partendo dal presupposto inconscio che “vogliamo dimostrare che gli stranieri delinquono di più” il nostro cervello tenderà sicuramente a raccogliere qualunque dato che, preso così da solo, possa sostenere quella tesi; e la usa come prova (ragionamento a compartimenti stagni). Non preoccupandosi, però, del fatto che i dati devono essere contestualizzati prima di trarre conclusioni.

E nel caso di questa statistica la contestualizzazione del dato è, come vedremo, fondamentale.

Come l’Antimetodo analizza una statistica

Mi spiego meglio. Se voglio capire l’incidenza dell’etnia sulla propensione al crimine, non posso partire dal presupposto che l’etnia incida effettivamente e cioè verificare solo quel dato, perché così è inevitabile che io la individui (sto già presupponendo che esista); invece, per condurre una analisi “asettica” e scientifica dovrei preliminarmente valutare quali fattori in generale incidano su quella propensione e far partire l’indagine da quelli, a prescindere dal dato che voglio considerare io (cioè l’etnia).

Se parto dall’etnia, infatti, il mio cervello tenderà a riadattare ogni dato a quel presupposto; perché in sostanza è questo che chiedo di fare al cervello.

Quello che invece dovrei fare, in nome del metodo scientifico, è prendere quei dati e fare le dovute valutazioni a prescindere dal risultato cui voglio giungere (l’etnia), per capire se essa incida davvero e in che proporzione.

Come il metodo scientifico analizza una statistica

Proviamo a farlo partendo dalle considerazioni più elementari.

Il 95% dei carcerati è dentro per reati comuni (spaccio, violenza, furto, rapina). Il primo dato che devo considerare è dunque provare a ipotizzare quale sia la causa più incidente sulla commissione di quel tipo di reati.

Chi è più propenso a commettere questi reati? I bianchi, i neri? No: i poveri.

Chi non ha sostentamento, e generalmente ha anche un basso livello di istruzione, è naturalmente più incline a commettere quei reati (per ignoranza o esigenza); chi invece ha una buona posizione, un lavoro fisso e un’istruzione di base sarà ovviamente molto meno propenso a fare rapine in banca, derubare gli anziani e spacciare la droga. E questo a prescindere che sia italiano o straniero.

Statisticamente parlando, dunque, le condizioni sociali incidono molto di più rispetto al colore della pelle e per questo non possono essere del tutto ignorate nel condurre l’analisi che sto facendo; anzi: devono necessariamente essere messe a sistema per interpretare i dati relativi alle etnie, che sono logicamente secondari.

E’ necessario, cioè, partire da un dato di probabilità a priori, come sostiene anche Kahneman nei suoi studi.

A priori, infatti, la commissione e dei reati comuni è legata alla condizione sociale del reo. Il corretto calcolo sull’incidenza dell’etnia, dunque, va fatto sul numero di poveri o disagiati sociali per ogni etnia, e non sul totale.

Perché la stragrande maggioranza della gente benestante in Italia è, per ovvie ragioni, italiana, e non commette quei reati in quanto benestante, non in quanto italiana. Non possiamo sapere se commetterebbero reati comuni per esigenza, se fossero poveri e disagiati.

Il dato delle condizioni sociali è dunque imprescindibile.

Percentuali delle etnie in carcere in base alla probabilità a priori

Ebbene, proviamo a considerare questo dato.

Secondo il CENSIS in Italia ci sono 5 milioni di persone sotto la soglia di povertà. Di esse, 3.5 milioni sono italiane e 1.5 milioni sono straniere. La povertà per gli stranieri ha infatti un’incidenza in Italia pari al 30,3%, contro il 6,4% degli italiani (dati ISTAT).

Se rapportiamo questo nuovo dato al numero di carcerati, ecco che abbiamo 37 mila detenuti italiani su 3 milioni e mezzo di poveri italiani, e 19 mila detenuti stranieri su 1 milione e mezzo di poveri stranieri.

L’incidenza diventa dunque dell’1% circa per entrambe le etnie, dal che devo concludere che l’etnia non è un dato significante sulla propensione al crimine. Significa cioè che i benestanti stranieri sono onesti tanto quanto quelli italiani, mentre i poveri stranieri sono propensi al crimine tanto quanto quelli italiani. Tutto nella norma.

Il cervello intuitivo non sa fare valutazioni statistiche

Le percentuali delle etnie in carcere sono dunque insignificanti sulla valutazione della propensione al crimine.

Affidandomi unicamente al bias di conferma e ragionando in Antimetodo, è molto probabile che i dati a mia disposizione siano traviati da ciò che già penso essere vero; userò infatti quel presupposto come ancora per interpretarli, giungendo alla conclusione che il mio cervello ha già inconsciamente deciso essere quella corretta..

Il cervello è una macchina estremamente potente e magnifica, ma non è perfetta: per questo non dobbiamo fidarci sempre ciecamente di ciò che ci suggerisce. Anche quando si tratta di semplici dati statistici, che ci sembra bastino a se stessi presi così come sono.

P.T.