Una distorsione cognitiva molto diffusa ma troppo poco conosciuta è l’effetto ancoraggio, con il quale Il cervello cerca riferimenti a cui ancorare le proprie stime su ciò che deve interpretare.
Per “ancoraggio” si intende la tendenza del nostro cervello, nell’esprimere giudizi sulla base di informazioni incerte o ambigue, a utilizzare dei punti di riferimento ai quali “ancorare” le proprie stime.
Proprio in funzione del rifiuto del caos e del disordine mentale, non funzionale alla sopravvivenza, il nostro cervello fa fatica ad esprimere giudizi senza uno schema al quale riferirli e per questo cerca incessantemente di collegare ciò che osserva di ignoto a qualcosa di a lui noto.
Alcuni esempi di ancoraggio
Ad esempio: se qualcuno vi chiede “Quanto costa questo cellulare?” il vostro cervello troverà difficoltà a fare una stima, poiché non ha alcun punto di riferimento a cui ancorarsi; se invece qualcuno vi chiede “Questo cellulare costa più o meno di € 100,00?” il vostro cervello avrà un appiglio a cui attaccarsi e intuitivamente risponderà usando una cifra di poco superiore o di poco inferiore a quell’ancora, costituita in questo caso dai 100 euro della domanda.
Nella tabella riportata qui sopra, ad esempio, Kahneman ha tentato un esperimento di questo tipo: ha chiesto a dei soggetti, divisi in due gruppi, di stimare l’altezza della sequoia più alta del mondo: prima di fare quella domanda, ad alcuni aveva chiesto se fosse più o meno alta di 365 metri, ad altri di 54 metri. In tabella trovate la media delle risposte date dai due gruppi: come vedete, chi ha ricevuto un’ancora “alta” ha mediamente sovrastimato l’altezza della sequoia (256 metri), mentre chi ha ricevuto un’ancora bassa ha fornito una risposta molto più bassa (56 metri)
Questa dinamica si porta dietro anche un’altra conseguenza importante: se una simile ancora non ci viene fornita– come nella prima domanda sul costo del cellulare –, il nostro cervello cercherà comunque di individuarne una; e in effetti, molto probabilmente per rispondere alla mia domanda precedente il vostro cervello avrà istintivamente cercato di ricordare quanto avete pagato il vostro cellulare, per usare quel riferimento come “ancora” per rispondere. Ma la cosa ancora più interessante è che se una simile ancora non è così facilmente ricavabile, il cervello la individuerà nell’informazione più prossima che trova, anche se in molti casi non ha alcun legame con ciò che dobbiamo effettivamente valutare.
Questo porta sia a fenomeni di apofenia, sia a fare in modo che le prime informazioni ricevute su qualcosa condizionino irrimediabilmente la nostra valutazione e il nostro giudizio su quelle cose.
In sostanza quel che accade è che, nel momento in cui questo punto di riferimento iniziale viene fissato, il giudizio viene preso per differenza da quest’ultimo. Insomma: se la prima informazione che riceviamo su un qualcosa è fortemente negativa, tutte le altre informazioni su quel qualcosa, anche se positive, verranno sempre parametrate a quella prima informazione, per il solo fatto che quella è stata la prima.
Immaginate di andare a comprare un’auto usata; l’ordine nel quale riceveremo informazioni sull’auto modificherà la nostra valutazione dell’auto stessa. Se ad esempio l’auto ha numerosi pregi e vantaggi, ma un prezzo molto alto, se il prezzo sarà la prima informazione che riceveremo su di lei tenderemo a non procedere all’acquisto nonostante le ottime qualità della vettura che ci saranno mostrate subito dopo, perché il prezzo sarà la nostra ancora; se invece conosceremo prima tutte le qualità e solo alla fine il prezzo, potremmo essere indotti ad acquistarla perché in quel caso i pregi prevarranno sul prezzo.
Chi si occupa di marketing conosce bene questo stratagemma: parlare dei difetti alla fine è meglio che farlo subito, perché alla fine l’interlocutore si sarà già creato una sua idea, e se riesco a convincerlo prima (grazie all’ancoraggio) le informazioni negative avranno minor peso se rese note alla fine.
L’ancoraggio funziona anche nelle trattative sui prezzi: a dispetto di quanto si possa ritenere, parlare per primo durante una trattativa non è affatto uno svantaggio: la trattativa, infatti, si baserà necessariamente su un’ancora comune, che sarà costituita dal primo prezzo proposto. Se voglio venderti il mio cellulare a non meno di 100 euro, potrei cioè proporti il prezzo di 200 euro; a te non starà bene e giocherai al ribasso ma prendendo a riferimento la mia proposta di 200 euro, offrendomi (per ipotesi) 150 euro. Di certo nessuno, di fronte alla mia prima offerta di 200 euro, farebbe una controproposta di 20 euro. Questo perché la tua offerta si baserà sulla mia, che una volta enunciata costituirà, consciamente o inconsciamente, l’ancora di riferimento.
Ancore “inconsce”
Abbiamo visto quindi che Il cervello cerca riferimenti a cui ancorare le proprie stime. Ho precisato che lo fa “consciamente o inconsciamente” perché in effetti l’effetto ancoraggio si manifesta in due modi diversi: quando l’ancora è un dato effettivamente riferito all’oggetto del mio giudizio (come il prezzo dell’auto o la mia prima offerta per il cellulare), oppure quando l’ancora è un dato completamente avulso dall’oggetto del giudizio, ma il nostro sistema intuitivo ci si appiglia perché non ha altri riferimenti.
L’esistenza di questa seconda ipotesi è dimostrata da un esperimento condotto da Daniel KAHNEMAN e Amos TVERSKY: ad un gruppo di persone è stato chiesto di stimare in percentuale quanti degli Stati che fanno parte delle Nazioni Unite fossero africani. Ad alcuni, poco prima della domanda, con una specie di ruota della fortuna “truccata” veniva precedentemente mostrato il numero 10 e ad altri il numero 65, risultati che, è evidente, nulla hanno a che fare con gli Stati africani nell’ONU. Bene: la percentuale di Stati stimata da chi vedeva il numero 10 (in media 25%) era sempre inferiore a quella stimata da chi vedeva il 65 (in media 45%), come se la visione di quel numero offrisse al cervello un riferimento, un’ancora appunto, alla quale appoggiarsi per dare una risposta.
L’effetto può essere anche molto potente, tanto che si manifesta talvolta la tendenza a far aderire “forzatamente” altre informazioni all’ancora prestabilita. In sostanza, Il cervello cerca riferimenti a cui ancorare le proprie stime e in seguito riadatta tutte le altre informazioni a quei riferimenti.
Questo capita, ad esempio, a chi si approccia ad una teoria complottista prima di verificare quella ufficiale: i dati della versione complottista assurgono, essendo i primi, a “paradigma” dell’intera valutazione che farà delle altre versioni, tendendo sempre a preferirla anche quando le considerazioni contrarie saranno maggiori o più consistenti. Una volta individuata un’ancora, infatti, tenderemo ad adattare tutte le informazioni che otteniamo a quell’ancora, al punto da storpiare le informazioni stesse in modo che siano coerenti con l’ancora in questione. In tal caso, sono anche il bias di conferma e il WYSIATI a contribuire ad alterare la nostra percezione della realtà, dando luogo a quello che definisco “principio di riadattamento” che è infatti una delle procedure logiche dell’antimetodo.
Ma facciamo un esempio concreto. Scie chimiche: mi sono avvicinato al tema leggendo i siti complottisti, le cui deduzioni mi forniranno un’ancora per la valutazione di tutte le altre prove; in questo modo, costruirò una realtà coerente con quell’ancora (ancoraggio e WYSIATI), riadattando le prove che man mano scoprirò (principio di riadattamento) e cercherò di fidarmi e di prendere per vere solo le informazioni che effettivamente sono coerenti con quell’ancora, tacciando di false tutte le altre (bias di conferma) per non dover abbandonare lo schema acquisito.
Si tratta di un procedimento inconscio, che come tale prescinde dalla competenza in materia e dalla mala fede: è il Sistema 1 a fare tutto, e trattandosi di un procedimento logico del nostro cervello noi non ci accorgeremo mai dell’errore se non attivando consapevolmente il Sistema 2, cioè la riflessione e l’analisi.
Ed è per questo che i complottisti sono così convinti di ciò che dicono al punto da farci dubitare delle loro capacità cerebrali, dal momento che non si accorgono della palese fallacia e dell’illogicità delle loro affermazioni: trattandosi di dinamiche istintive, loro danno per scontato di avere ragione perché la “storia” creata dal loro cervello è così sensata e logica che loro non saranno mai disposti ad accettare l’errore, perché in questo modo smonterebbero completamente una sovrastruttura mentale estremamente ben congegnata e coerente. Tanto coerente che saranno loro, invece, ad accusare te di dire cose illogiche, proprio perché le tue affermazioni contrastano con la sovrastruttura logica da loro creata.
Sta in questo la gravità degli errori indotti dai bias cognitivi: non li vediamo,non siamo in grado di rilevarli e riteniamo impossibile che esistano, perché per noi la fallacia della nostra deduzione è un’ipotesi contraria alla (nostra) logica.
P.T.
- Salomi / Biases
- Kahneman / Pensieri lenti e veloci
- http://www.rentalblog.it/gli-errori-cognitivi-leffetto-ancoraggio/