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Parlando di cannabis e alcol ho già affrontato la questione del ruolo della cultura e della tradizione nel condizionare e alterare i nostri giudizi sulla realtà. Oggi, vorrei affrontare un altro argomento che si muove sulla stessa linea, pur sapendo che molto probabilmente non attirerà le simpatie di molti di voi.

L’articolo prende spunto da un servizio delle Iene di qualche mese fa che mostrava i mercati cinesi nei quali scuoiano e cucinano senza problemi cani e gatti. Delle immagini brutali che mi hanno dato il voltastomaco e fatto venire i brividi, sia chiaro: io stesso ho avuto tantissimi animali domestici nella mia vita e ancora oggi mio padre ha due cani e mia madre un gatto ai quali sono affezionatissimo. Proprio per questo, non credo che sarei mai in grado di assaggiare carne di cane o di gatto, come immagino la maggior parte di voi. 
Ma non per questo considero i cinesi degli “incivili assassini”.

Come la cultura influenza le nostre percezioni

Perché? Perché, che ci piaccia o no, quali animali mangiamo o meno non dipende da una questione di “giustizia assoluta“, ma solo dalle singole culture. Gli europei sono secoli che considerano gatti e cani animali da compagnia, e quindi ritengono aberrante l’idea di mangiarli; ma in altre culture non è così: i musulmani non mangiano il maiale perché è un animale sporco, gli indiani non mangiano le mucche perché le ritengono sacre, i cinesi mangiano i cani perché li ritengono commestibili, gli europei mangiano il maiale perché lo considerano buono. Chi ha ragione? Nessuno di loro.

Per questo apprezzo i vegetariani: loro non mangiano nessun animale perché ritengono sia sbagliato farlo. Io, da assiduo consumatore di carne animale, non condivido il loro pensiero, ma ne apprezzo la coerenza: mangiare animali è eticamente sbagliato dunque non ne mangiano neanche uno.

Perché certi animali sì e altri no?

Chi invece mangia carne quotidianamente e si indigna e si disgusta nel vedere altre culture mangiare i cani, accusandole di inciviltà per come fanno soffrire quei poveri animali, dà un giudizio completamente scorretto e ricolmo di pregiudizio. Certo che fa venire i brividi vedere come vengono scuoiati degli animali che siamo abituati a coccolare sul nostro divano e considerare parte integrante della nostra famiglia; forse, però, dovreste farvi un giro nei mattatoi di mucche e di maiali qui in Europa per vedere come quegli animali vengano trattati prima di essere uccisi, o ad esempio informarvi su come si faccia il paté di fegato d’oca.

Vi risparmio lo schifo: nello stesso modo, se non peggio.
Se vi indignate per queste pratiche dovreste dunque farlo per tutti gli animali, altrimenti siete “razzisti” verso le mucche e i maiali: perché infatti questi animali meriterebbero quello stesso trattamento che condanniamo per cani e gatti?

La scelta su quali animali mangiare e quali no non ha niente a che fare con una legge “scientifica” o “etica” assoluta, capace di porre una linea che separi definitivamente gli animali che è giusto usare come cibo e quelli che invece non dovrebbero essere toccati. Una linea del genere, infatti, non può che essere messa o all’inizio o alla fine dell’elenco: se mangiare e maltrattare animali è sbagliato, allora è sbagliato per tutti; se invece è giusto, allora è giusto per tutti. Quali mangiare davvero e quali no non può che essere una semplice scelta personale che non da’ diritto ad alcun carnivoro (me compreso) di accusare altri carnivori di essere incivili.

E’ solo la nostra percezione, influenzata dalla nostra cultura, a suggerirci che alcuni animali siano mangiabili e altri no.

Quindi, da carnivoro convinto io continuerò a mangiare carne di maiale, di mucca, di pollo, di coniglio, di cinghiale e di cavallo e continuerò a schifare quella di cane o di gatto, ma mai nella vita mi sognerò di dare dell’incivile a chi sceglie una dieta carnivora diversa dalla mia. A malincuore, ma lo accetto. Quando smetterò di mangiare ogni tipo di carne, solo allora potrò a ragione arrogarmi questo diritto.

La cultura non è la verità: è solo una questione di “gusti”.

P.T.