Come ho raccontato nella mia biografia, da alcuni anni mi sono avvicinato al tema delle credenze, delle pseudoscienze e dei complotti attraverso i social e le piattaforme web.

In questi anni, non sono nemmeno più in grado di contare quante conversazioni io abbia sostenuto con i vari complottisti e pseudoscientisti che contaminano il web con le loro astruse teorie.

Se inizialmente ero convinto  – come molti nel settore – che il problema stesse semplicemente nell’ignoranza di questi soggetti nelle materie di cui parlavano, col tempo ho imparato a capire che mi sbagliavo, che c’era qualcosa di più sotto che aveva a che fare con vere e proprie carenze logiche di quei ragionamenti e con banali errori metodologici nell’approccio a quelle teorie. Essendo sempre stato amante della logica e della sua perfezione, non riuscivo a capire come fosse possibile, anche al di là dell’effettiva conoscenza di quelle materie, che quei soggetti non si avvedessero dell’assoluta illogicità delle loro affermazioni, neppure quando gliele facevo notare loro.

Sono state queste domande ad avvicinarmi ad un altro tema affascinante e complesso allo stesso tempo, che inevitabilmente si intreccia con la diffusione di teorie antiscientifiche, complotti ma anche di fake news: i bias cognitivi.

Con queste nozioni, ho affinato la mia esperienza con l’analisi di altre centinaia e centinaia di conversazioni dalle quali sono riuscito ad evincere le dinamiche che, attraverso quei bias, ci inducono ad adottare un approccio metodologico che si rivela non solo fallace, ma contrario alla stessa logica.

Si tratta di una metodologia di ricerca della verità che si fonda su almeno tre assunti essenziali:

  • l’ignoranza nella materia considerata;
  • la non conoscenza dei principi del metodo scientifico;
  • i bias cognitivi.

Questi tre fattori, uniti insieme, contribuiscono a strutturare nel nostro cervello un vero e proprio metodo di analisi della realtà che è quello su cui si basa il nostro cervello primordiale per esprimere giudizi su ciò che lo circonda in assenza di nozioni e competenze tecniche. Una metodologia che, come cerco di spiegare con questo blog e con il libro di prossima uscita – che raccoglie un po’ l’esito di tutti i miei studi ed analisi di quelle conversazioni e di quelle teorie e che starà alla base del corso che si terrà nelle scuole – ha una sua precisa procedura e si basa su determinati principi argomentativi che si ripetono uguali a se stessi per tutte le tesi pseudoscientifiche, complottiste ed anche per la post-verità che imperversa nel web attraverso le bufale.

A questa metodologia ho dato un nome: antimetodo.

Si tratta di un metodo che risponde ai bias cognitivi e che quindi segue una procedura non logica e non scientifica, ma intuitiva ed associativa: tuttavia, è così radicato nel nostro cervello come “modello standard” per interpretare la realtà sin dagli albori dell’evoluzione che non siamo in grado di riconoscerne la fallacia e l’illogicità, semplicemente perché non lo mettiamo mai in dubbio (è estremamente difficile imparare a mette in dubbio il proprio intuito).

Ed è questo il mio obiettivo: analizzare e spiegare le dinamiche dell’antimetodo, dimostrarne l’esistenza ricorrendo ad esempi concreti nei più svariati campi, dai complotti alle pseudoscienze, alle fake news alle credenze, fino all’alterazione dell’opinione pubblica e del divario tra percezione e realtà; il fine sarà quello di valutarne l’applicazione metodologica nelle singole teorie e situazioni e mostrarne in questo modo la struttura e le falle, al fine di aiutare chi mi legge a riconoscerlo e prevenirne le conseguenze.

P.T.