In questi giorni è alla ribalta dell’opinione pubblica la questione degli smart shop che vendono cannabis a basso contenuto di THC; ma perchè Salvini vuole chiudere i negozi di cannabis light?
Senza voler entrare nel merito della questione, per la quale rimando a questo interessante video di Shy di Breaking Italy e ad altre fonti che trovate nel testo, volevo piuttosto sfruttare la questione per parlare di nuovo degli argomenti più cari a questo blog. tratteremo infatti, a dispetto del tema, bias cognitivi e manipolazione dell’opinione pubblica.
Come vedrete, l’episodio in questione è eloquente ed è anche un ottimo esempio per una breve lezione.
Il tema delle sostanze stupefacenti è uno dei più sensibili per l’opinione pubblica. Come tutte le questioni che coinvolgono l’emotività delle persone, anche questa innesca inevitabilmente dei meccanismi nel cervello per mezzo di euristiche e bias cognitivi, allo scopo di aiutare il cervello a prendere una posizione ed esprimere un giudizio. E lo fa anche se siamo convinti di approcciarci al problema in modo assolutamente razionale.
Proprio il caso in questione ne è l’esempio emblematico.
Schemi mentali e incongruenze logiche: l’esempio dell’alcol
Il punto da cui partire è la tendenza del nostro cervello a creare schemi e associazioni di idee per catalogare la realtà e renderla intellegibile. Si tratta di schemi costruiti dall’intuito e dall’esperienza, che non sempre hanno una reale valenza scientifica. Come tali, rischiano di comportare una forte distorsione della realtà.
Le illogicità cui queste dinamiche spesso portano possono essere esemplificate chiaramente dal paragone tra la cannabis e l’alcol.
Partiamo da questo assunto: la Cannabis, nel sentire comune, è considerata una “droga”, l’alcol no.
Il termine “droga” indica qualunque sostanza capace di alterare lo stato psicofisico dell’uomo e la sua capacità di indurre assuefazione o dipendenza. Stando così le cose, dal punto di vista logico il cervello dovrebbe automaticamente inserire nella categoria “droga” qualunque sostanza che abbia quelle caratteristiche, come ad esempio l’alcol. Ma ciò non accade.
Questo perché la categorizzazione di cui sopra è influenzata anche da altri fattori e preconcetti già insiti nel nostro cervello, derivati dal radicarsi di alcune abitudini che traviano completamente l’esatta comprensione della realtà.
L’alcol è associato a tutt’altro nel nostro quotidiano. Se pensiamo all’alcol, ci vengono in mente la compagnia, le feste, la convivialità, gli amici e la famiglia. Fa parte del nostro bagaglio culturale e ne diamo una connotazione positiva.
Il nostro cervello inserisce cioè l’alcol in uno schema diverso da “droga”. E’ indotto a farlo per gli input che riceve quotidianamente dalla stessa società, che considera l’alcol una normale sostanza largamente consumata, prodotta e pubblicizzata.
Per questo, far rientrare una sostanza del genere sotto la categoria “droga”, renderebbe la correlazione totalmente illogica.
Il cervello crea uno schema…
Il radicamento di questo schema (alcol – no droga) è così forte da sfidare qualunque incongruenza logica che da esso deriva.
Sappiamo infatti che l’alcol è una sostanza dannosa, che causa diverse malattie; sappiamo che i decessi direttamente o indirettamente legati all’alcol superano i 3 milioni l’anno nel mondo e i 50 mila circa in Italia (dati WHO); siamo consapevoli, perché ne sentiamo parlare ogni giorno, che l’alcol è una delle principali cause degli incidenti stradali; che in diversi casi porta a dipendenza, a violenza; che causa malattie al fegato, ai reni, allo stomaco.
Insomma: sappiamo perfettamente che l’alcol è una sostanza molto pericolosa; ma nonostante questa evidenza, lo schema già radicato nel cervello prevale e ci fa di fatto ignorare qualunque dato negativo su di esso.
Alcol = convivialità, festa, amici; concetti che non sono coerenti con quei dati, quindi il cervello ignora questi ultimi per tenere in piedi il suo schema che gli serve per interpretare la realtà.
…e poi lo “difende”
Non solo. Proprio allo scopo di difendere lo schema e non dover mandare in crisi le categorie preconfezionate dal nostro cervello, esso tenderà a individuare tutte le argomentazioni possibili per non dover abbandonare lo schema. Se lo abbandonasse, dovrebbe traslare infatti il concetto di “alcol” verso lo schema “droga”, creando delle incongruenze logiche nel suo sistema di ragionamento.
Argomenti quali giustificare il consumo di alcol negando che abbia effetti gravi quanto le altre droghe; difenderne la produzione facendo notare che l’Italia è tra le eccellenze nella produzione di vino, grappe e amari; illustrare i gravi danni economici che il proibizionismo causerebbe alle migliaia di aziende coinvolte nel mercato dell’alcol; preventivando che il proibizionismo altro non farebbe che alimentare il mercato illegale e quindi i guadagni delle mafie.
Queste argomentazioni, corrette o meno che siano, non sono frutto di una analisi razionale del problema, come si potrebbe pensare; esse vengono usate dal cervello al solo scopo di conservare lo schema, azione che il cervello svolge tipicamente attraverso il bias di conferma. Infatti, come stiamo per vedere, queste stesse argomentazioni sarebbero valevoli anche per la cannabis, ma nei suoi confronti non vengono svolte.
Lo schema “Cannabis – Droga”
Di contro, il nostro cervello si approccia alla cannabis in modo diametralmente opposto. A differenza dell’alcol, la cannabis non è parte delle nostre più antiche abitudini e tradizioni, quindi non ci sono elementi esperienziali radicati nel nostro sentire comune che possano influenzare la nostra valutazione del fenomeno.
Proprio per questo, l’unico collegamento che il nostro cervello sa fare quando parla di cannabis è quello che è già parte del suo sentire comune: associarla alle droghe.
Come abbiamo detto, il termine “droga” scatena subito l’emotività delle persone, avendo una forte accezione negativa. Questa accezione finisce così per diventare il parametro di valutazione di tutto ciò che riguarda la cannabis, attraverso un effetto ancoraggio. Infatti, ogni volta che si parla di cannabis il nostro cervello parte dal presupposto che si sta parlando di una droga, e questo presupposto condiziona inevitabilmente ogni ragionamento o giudizio su di essa.
Insomma: la cannabis è una droga, la droga è pericolosa e fa male; di conseguenza, ne va impedita ogni forma di consumo, vendita, produzione. Un argomento perfettamente logico alla luce degli schemi mentali acquisiti.
Il cervello non mette in dubbio i suoi schemi
Di conseguenza, l’associazione mentale condiziona in modo così determinante il nostro giudizio su quella sostanza da maturare questa convinzione a prescindere dagli ulteriori dati che potremmo ricavare su di essa. E infatti, quei dati non vengono presi neppure in considerazione.
Addirittura, molti di coloro che si dichiarano contrari alla vendita di cannabis lo fanno senza neanche sapere cosa essa sia. Anzi, spesso la paragonano ad altre droghe come la cocaina o l’eroina, per il semplice fatto che rientrano sotto lo stesso schema mentale “droga”, anche se non hanno nulla da spartirsi quanto a natura, effetti e dannosità. Al punto anche da non paragonarla all’alcol, nonostante quest’ultimo sia estremamente più pericoloso della prima.
Cannabis e alcol: due pesi e due misure
Questa distorsione ci porta a valutare in modo opposto due concetti simili, producendo risultati illogici.
Ad esempio, non si prende in considerazione il fatto che, ad oggi, non esistono studi che dimostrino conseguenze gravi e permanenti derivate dal consumo di cannabis; non si considera il possibile indotto, in termini di guadagno e di offerta di lavoro, che questo nuovo mercato potrebbe portare al Paese; non si prende minimamente in considerazione il grave danno che invece la legalizzazione potrebbe causare al mercato mafioso, che oggi detiene di fatto il monopolio della vendita di droga.
Queste considerazioni non vengono fatte non per semplice “ignoranza” della questione; lo dimostra il fatto che quando si parla di alcol le stesse vengono invece analizzate con molta cura. Il motivo di questa evidente incongruenza è invece lo schema di partenza da cui il cervello prende le mosse per ragionare. Il cervello cerca infatti di confermare gli schemi; di conseguenza, farà uso di quelle argomentazioni solo rispetto agli schemi che vuole confermare e non anche per gli altri.
Ecco perché ci approcciamo ai due problemi in modo così diverso, nonostante necessitino razionalmente del medesimo approccio. Il nostro intuito non prende mai in considerazione l’idea che le due ipotesi siano simili, perché stanno su due schemi diversi e contrapposti. In due cassetti del cervello molto distanti tra loro.
Come la Politica sfrutta i bias per orientare i consensi
Date queste premesse importanti, proviamo ora a guardare al tema di questo articolo.
Cercheremo infatti di entrare nel caso concreto e rispondere alla domanda: perché Salvini vuole chiudere i negozi di cannabis light? Ma alla luce delle considerazioni svolte. E verificheremo come la politica sfrutti queste dinamiche per alterare la percezione del pubblico e condizionarne le preferenze elettorali.
Partiamo da qui: il sistema più efficace per spostare i consensi è la polarizzazione. Questo effetto distorsivo, di cui ho parlato in questo articolo, consiste nella tendenza del cervello a semplificare le questioni per consentirgli di prendere una posizione.
In tal senso, ridurre le soluzioni a due, che stanno agli antipodi l’una dall’altra, rende più semplice scegliere tra esse.
Posso non cogliere l’esatta sfumatura di grigio, ma so distinguere tra bianco e nero. Quindi fingerò che io debba scegliere tra bianco e nero.
Bisogna poi notare che più una questione suscita emotività, più la polarizzazione sarà radicale. E la droga è sicuramente un argomento molto polarizzante.
Polarizzare il dibattito per attirare consensi
Come sfruttarlo a fini elettorali? Ponendo la questione sul piatto dell’opinione pubblica in modo da renderla polarizzante e indurre il pubblico a prendere una posizione radicale (nella logica del “tutto o niente”); soprattutto, a farlo basandosi su schemi e preconcetti che hanno ben poco a che vedere con il problema specifico, ma che sono più sensibili per l’opinione pubblica e più semplici da affrontare.
L’iniziativa di Salvini ha proprio questo scopo. Egli sottopone all’opinione pubblica il problema dei negozi che vendono cannabis light, utilizzando argomentazioni polarizzanti, per spingere le persone a prendere una posizione su un argomento che suscita maggiore emotività e che è solo parzialmente connesso con quello in dibattito.
Cerco di spiegarvelo meglio.
Perché Salvini vuole chiudere i negozi di cannabis light? I suoi argomenti
Salvini giustifica l’iniziativa come “tutela della salute dei giovani” e come “contrasto alla diffusione della droga“.
Entrambi gli argomenti hanno una forte tendenza polarizzante. Essi ci spingono a prendere una posizione su due argomenti così sensibili come la salute dei giovani – e il rischio che finiscano nel tunnel della droga – e la lotta alla droga stessa. Argomenti sui quali, mi pare ovvio, non si può non essere d’accordo in linea di principio.
Tuttavia, si tratta di argomenti generalisti che nulla hanno a che fare con la circostanza specifica, ossia il consentire o meno la produzione e la vendita di una sostanza “depotenziata” per creare lavoro, introiti allo Stato e contrastare le mafie.
Perché Salvini vuole chiudere i negozi di cannabis light? Il vero dibattito
In effetti, un dibattito pubblico serio dovrebbe impostarsi su tutta una serie di argomenti specifici e complessi, quali:
- considerare le leggi vigenti e la giurisprudenza sul punto;
- stimolare la ricerca scientifica a fornire maggiori dati sull’effettiva pericolosità della sostanza;
- valutare seriamente se esistono studi che attestino l’automaticità del ricorso a droghe pesanti partendo da quelle leggere;
- valutare il rapporto “costi – benefici” tra gli introiti che creerebbe questo nuovo mercato sotto forma di tasse, rispetto alle eventuali spese e/o conseguenze;
- considerare i posti di lavoro, guadagni e le prospettive di crescita che questo nuovo mercato potrebbe garantire a nuovi e giovani imprenditori;
- considerare quanto questo mercato possa incidere nella diminuzione degli introiti alla mafia.
Come visto, non è per ignoranza che Salvini non affronta alcuno di questi temi. Questa è invece una strategia precisa e ben congegnata, volta a premere su istanze emotive anziché razionali e in questo modo indurre la gente a prendere una posizione (la sua).
Ma sono le modalità con cui questo accade che vorrei approfondire meglio: quello che ci induce a fare è semplicemente traslare il problema concreto, che necessita di analisi e argomentazioni razionali, verso un problema emotivo, che facilita il cervello a dare una risposta.
Farsi domande più semplici per rispondere a quelle complesse
Per spiegare questa particolare dinamica, che costituisce anch’essa un bias cognitivo, mi rifarò ancora una volta a Kahneman.
Il premio Nobel ha infatti notato, durante i suoi studi, che il cervello umano (al fine di produrre risposte di fronte a quesiti complessi che necessitano di nozioni, dati e analisi ragionate) tende a fare una cosa molto particolare. In pratica, sostituisce quel quesito complesso con un altro più semplice, ma sempre attinente, e usa la risposta al secondo quesito per rispondere al primo.
Una spiegazione è fornita dalla tabella qui a fianco, tratta proprio dal libro di Kahneman. Come vedete, per rispondere alla domanda “bersaglio” – più complessa – il cervello la sostituisce con una domanda “euristica” – più semplice perché favorisce una risposta intuitiva, basata sull’emotività – e usa la risposta alla seconda domanda per rispondere alla prima.
Proporre quesiti più semplici per orientare la risposta
Cosa c’entra tutto questo con il perché Salvini vuole chiudere i negozi di cannabis light?
La strategia propagandistica di Salvini è quella di indurre più facilmente il cervello del pubblico a sostituire la domanda con un’altra studiata appositamente per farci dare una risposta predeterminata.
Ponendo il dibattito di fronte all’opinione pubblica favorendo lo schema “cannabis – droga”, agendo su concetti emotivi come la salute dei giovani e la diffusione dello spaccio, si porta il cervello a elaborare le seguenti associazioni.
Domanda “politica”: perché Salvini vuole chiudere i negozi di cannabis light?
–
Domanda bersaglio: è opportuno consentire o no la vendita di cannabis light?
–
Schema di base: La cannabis è una droga
–
Domanda euristica: cosa ne pensi della droga e dell’idea che lo spaccio proliferi tra i giovani?
–
Deduzione indotta: essere favorevole alla vendita di cannabis light significa essere favorevoli alla droga.
La risposta logica sarà naturalmente quella favorevole alla chiusura.
Perché Salvini vuole davvero chiudere i negozi di cannabis light
Non solo: essendo lo schema indotto da quella certa parte politica, il cervello tenderà ad associare il voto a Salvini alla lotta alla droga, e il voto all’opposizione al favore verso l’illegalità (polarizzazione). Di conseguenza sarà spinto a prendere le parti di Salvini, identificandosi con la sua battaglia e rinnegando quella avversa. Si entra così nella logica del tutto o niente: se voti Salvini sei contro la droga; se voti chi lo contesta sei favorevole alla droga.
E tutto questo accadrà nell’assoluta convinzione di aver preso una decisione consapevole, perché coerente con i nostri schemi mentali.
Non è dunque tanto l’episodio in sé a interessare chi l’ha portato alla ribalta dell’opinione pubblica. A Salvini non interessa davvero chiudere quei negozi. Lui vuole solo usare l’occasione per indurre una polarizzazione nella maggioranza degli individui su un argomento, per accaparrarsi il favore di più persone possibili in vista delle elezioni.
Polarizzare la questione aiuta il cervello del pubblico a individuare due scelte diametralmente opposte, rendendogli più facile capire da che parte schierarsi.
E non è certo un caso che simile proposta sia stata posta sul tavolo proprio a pochi giorni dalle elezioni europee…
Ecco spiegato, in sostanza, perché Salvini vuole chiudere i negozi di cannabis light.
Antimetodo e manipolazione dell’opinione pubblica
Ho voluto sfruttare questo avvenimento proprio per ricordare che il ricorso all’Antimetodo e ai bias cognitivi non è un problema relegato all’antiscienza, ai complotti o in generale all’analfabetismo funzionale che dilaga nel web; esso è invece strettamente connesso con il tema della manipolazione delle coscienze da parte della politica, che sfrutta queste dinamiche per orientare i consensi e che dunque incide profondamente sulle scelte sociali di tutti i giorni.
Un sistema che adottano tutti i partiti, chi più e chi meno.
Spesso in effetti ho citato Salvini e quindi si potrebbe pensare che certe dinamiche riguardino una sola parte politica; in realtà, il motivo per cui uso spesso Salvini per i miei esempi è che l’attuale Ministro dell’Interno, ci piaccia o no, è di gran lunga il più abile a farne uso, e i risultati elettorali ne sono la dimostrazione più chiara.
La vera forza di questo metodo, esattamente come accade per le credenze antiscientifiche e i complotti globali, non sta nel semplice sfruttamento dell’ignoranza dei più; più importante è la sua capacità di agire estremamente a fondo dei nostri meccanismi cerebrali, creando schemi inconsapevoli – e spesso indotti – capaci di polarizzare il nostro stesso approccio cognitivo; e di farlo illudendoci oltre ogni ragionevole dubbio che le nostre convinzioni siano assolutamente coerenti.
Non esiste alcun modo per guardarsi da queste dinamiche, se prima non impariamo a conoscerle.
P.T.
- Kahneman / Pensieri lenti e veloci
- Shermer / Homo credens
- Schumpeter / Capitalismo, socialismo e democrazia