Parte V di IX


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Lo spunto per l’elaborazione della mia personale teoria sulla giustizia assoluta me l’ha offerto un filosofo contemporaneo a dire il vero non molto conosciuto al di fuori dell’ambiente giuridico, ma del quale ho una grande stima: John Rawls.

La “giustizia procedurale”

John Rawls

Come gli altri neocostituzionalisti, anche Rawls ha cercato di individuare la natura dei principi di giustizia che sorreggono la società umana, ma adottando un approccio diverso dai suoi colleghi: non si è concentrato sul contenuto di quei principi, ma sulle procedure per individuarli.

Quella che ha elaborato Rawls è infatti definita una teoria di “giustizia procedurale”. Cosa significa? Il concetto è facilmente sintetizzabile con un esempio da lui stesso proposto.

Siamo una decina di persone di fronte ad una torta: come facciamo ad assicurarci che ad ognuno di noi sia consegnata una fetta di torta il più possibile uguale alle altre, che ci sia cioè una suddivisione “giusta” della torta?

Un principio di giustizia procedurale ci suggerirebbe di stabilire che, a prescindere dalla grandezza delle fette, chi sarà incaricato di tagliare la torta sia poi l’ultimo a poter scegliere la fetta per sé. Questa procedura, infatti, assicura un taglio il più giusto possibile, perché l’incaricato, sapendo che dovrà accontentarsi dell’ultima fetta rimasta e presumendo che gli altri cercheranno di scegliere le fette più grandi, cercherà sicuramente di tagliare le fette nel modo più uguale possibile. Ecco un esempio di giustizia procedurale.

“Una teoria della Giustizia” di John Rawls: la posizione originaria e il velo d’ignoranza

Partendo da questa impostazione, Rawls elabora una teoria della giustizia applicata alle società.

Per farlo, il filosofo ipotizza una posizione originaria in cui i membri della società ancora non sanno né quante siano le risorse disponibili della società stessa, né tanto meno quale sarà il loro posto nelle gerarchie sociali. Come lui stesso afferma, i consociati sono coperti da “un velo d’ignoranza” che impedisce loro di capire quali effettivi vantaggi e svantaggi avranno nella società a cui si stanno per unire.

In questa situazione, i consociati stabiliscono le regole della futura convivenza. Ebbene, non avendo idea se nella società ricopriranno un ruolo importante o infimo, saranno ricchi o poveri, sani o malati, anziani o giovani, e non sapendo neppure se la società sarà ricca o povera di risorse, con un clima mite o torrido, con uno stato tecnologico molto evoluto o ancora primitivo, i principi di giustizia procedurale suggeriranno ai consociati di stabilire delle regole che possano andare bene anche nella peggiore delle ipotesi, e quindi considerando che ognuno di loro potrebbe ad esempio ritrovarsi ad essere un povero in uno Stato privo di risorse; per questo, tenderanno a stabilire delle regole che possano offrire vantaggi anche per quella ipotesi (magari prevedendo una più equa distribuzione delle risorse, un più sostenuto supporto alla povertà, più investimenti nella sanità, ecc…).

Per Rawls, dunque, porre gli esseri umani in quella “posizione originaria” con indosso quel “velo dell’ignoranza” assicurerebbe la statuizione di principi di giustizia validi “in assoluto”.

Le critiche alla visione di Rawls

Una teoria molto affascinante che, però, non è andata esente da forti critiche, anche da parte degli stessi neocostituzionalisti. In effetti, per molti di loro la teoria di Rawls non appare di alcuna utilità per il fatto che

“dove questa posizione originaria debba mai verificarsi, però non viene detto”

G. Zagrebelsky

Si tratta infatti di una situazione solo ipotetica, che non esiste nella realtà: chiunque faccia parte della società è perfettamente consapevole della sua posizione, del suo ruolo e delle risorse disponibili, pertanto la posizione iniziale sarebbe una mera utopia.

Di conseguenza, anche il velo d’ignoranza appare mera speculazione filosofica priva di alcuna utilità concreta.

Insomma: una teoria affascinante, che tuttavia non ha alcuna applicazione pratica.

In effetti, non posso non essere d’accordo anche io, in linea di principio; tuttavia, l’impostazione e l’approccio di Rawls mi hanno illuminato sulla possibile soluzione che stavo cercando: e se questa “posizione originaria” in realtà fosse davvero esistita? Se si potesse cioè riuscire a ricavare i principi di giustizia non guardando allo stato attuale né ad una ricostruzione solo ipotetica, ma andandoli a cercare concretamente nel ciclo evolutivo delle società umane?

Per comprendere meglio ciò che intendo, ho però bisogno di fare l’ultima premessa e parlare un po’ dell’ultimo filosofo (questa volta un giusnaturalista) che mi ha dato gli elementi che ancora mi mancavano per addivenire alla mia conclusione: Jean Jaques Rousseau.

P.T.