Parte II di IX


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Il concetto di giustizia ha assunto numerose forme e, in realtà, si è già parlato di giustizia assoluta in un determinato momento storico, spesso assimilato al diritto naturale e alla giustizia divina. Ed è questo aspetto che tratteremo un questo articolo, parlando del c.d. “giusnaturalismo”.

Nella filosofia, a partire dal medioevo, il concetto di giustizia ha risentito di due spaccature storiche che l’hanno fortemente condizionato: l’illuminismo (che ha portato alla Rivoluzione Francese) e i totalitarismi. La prima spaccatura ha creato il positivismo giuridico, la seconda il neocostituzionalismo (ho riassunto 80 pagine di tesi in tre righe, merito un applauso…).

Il medioevo aveva a sua volta risentito della nascita e morte dell’impero romano e in particolare della diffusione del cristianesimo, che avevano progressivamente allontanato il concetto di giustizia dal rispetto delle tradizioni romane (il mos maiorum e le leggi delle dodici tavole), come tale legato a qualcosa di vicino e disponibile all’uomo, per arrivare ad un concetto astratto e lontano dagli esseri umani, identificato con il “disegno di Dio” impresso alla natura e come tale indisponibile dall’uomo.

Se l’intero cosmo era un disegno di Dio, allora anche il concetto di giustizia non poteva che esserlo allo stesso modo: Dio, dando un senso alla natura, aveva cioè anche impresso dei principi di giustizia, che come tali erano assolutieterni, indisponibili e immodificabili dall’essere umano, il quale non potendo agire su di essi doveva solo limitarsi a riconoscerli attraverso le sacre scritture ed applicarli in ossequio al volere di Dio. Questa corrente di pensiero è appunto conosciuta come “giusnaturalismo”, e in base ad essa il diritto e la giustizia derivano dalla natura (e quindi nella visione cristiana da Dio, essendo lui il creatore della natura) e come tali nessuno può agire su di essi per modificarli.

Per i giusnaturalisti, dunque, si può parlare di “giustizia assoluta”, nel senso che quei principi sono stati imposti dalla natura delle cose e tali resteranno in eterno, non dipendendo da fattori culturali, sociologici, giuridici o morali di sorta.

C’era però un evidente problema: chi stabiliva quali fossero questi principi? Le sacre scritture indicano effettivamente dei principi di giustizia (si pensi ai dieci comandamenti) ma spesso può non essere semplice interpretarli e applicarli ai casi concreti. Simile compito di applicazione della volontà divina alla realtà concreta, nel medioevo, spettava in primo luogo ai giudici, soggetti nominati dai sovrani (che incarnavano l’ordine divino) e che come tali, inevitabilmente, interpretavano il diritto rielaborando quei principi anche in funzione della volontà contingente delle forze al potere (il re), che avendoli nominati pretendeva anche che la giustizia fosse amministrata “come voleva lui”. E infatti, in presenza di un ordine cosmico non meglio specificato e di principi molto (troppo) generali, interpretabili a capriccio in base alle esigenze e soprattutto non scritti se non in sporadici casi, il risultato era un diritto fortemente incerto, iniquo e in balia della volontà dei giudici e dei sovrani.

Ma non solo: a stabilire le leggi e interpretare il diritto non c’erano solo il sovrano e i giudici, ma anche i feudatari, i comuni e le istituzioni ecclesiastiche, al punto che per il medioevo, dal punto di vista giuridico, si parla di “particolarismo giuridico” cioè dell’esistenza di più “fonti del diritto” tutte egualmente legittimate a interpretare la legge; mancando di un’unica autorità che avesse il potere per interpretare quella volontà divina, l’incertezza aumentava esponenzialmente e spesso si creavano veri e propri contrasti tra le varie autorità che in certi casi avevano anche gravi conseguenze (si pensi alla lotta per le investiture, ad esempio).

In ogni caso, il risultato era che le decisioni e le leggi erano sempre fortemente svantaggiose per i poveri e vantaggiose per i ceti più alti (nobili e clero), perché si trovava sempre un modo per riadattare quei principi astratti alla volontà cogente del sovrano (per la serie: voglio alzare le tasse? Dico al popolo che ciò fa parte del disegno di Dio e quindi nessuno può farci niente).

Insomma, la pretesa universalistica del concetto di giustizia, che voleva una giustizia assoluta e applicabile a tutto e tutti, si rivelava in realtà un gigante di argilla, che come risultato creava solo ulteriore incertezza e ingiustizia.

Proprio questa profonda iniquità sarà la molla che, insieme al diffondersi degli ideali illuministi, farà scattare il desiderio di libertà e giustizia e le rivolte che porteranno alla celebre Rivoluzione Francese, che avrebbe profondamente mutato la concezione del diritto e della giustizia, come illustrerò nel prossimo articolo.

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P.T.