Anche oggi parleremo di Coronavirus, ma questa volta ragioneremo su una tesi complottista sempre più diffusa: il Coronavirus è creato in laboratorio?

Quello che cercheremo di fare in questo articolo è analizzare:

  • le origini di questa teoria,
  • l’esistenza e consistenza delle prove a supporto;
  • le argomentazioni sui si fonda alla luce delle consuete fallacie logiche e bias cognitivi in cui incappa chi la sostiene;
  • le varie versioni della teoria.

Coronavirus creato in laboratorio: l’origine della teoria

Prima di entrare nel merito della teoria e delle presunte prove a sostegno, la cosa più importante da fare è cercare di capire chi sia stato il primo a diffonderla. Individuare l’origine della teoria può infatti aiutarci a capire se il soggetto che per primo l’ha diffusa fosse effettivamente credibile e se avesse una qualche evidenza per poterla sostenere.

Chi è stato il primo a condividere la notizia del Coronavirus creato in laboratorio? Il Washington Times a gennaio 2020 in questo articolo.

coronavirus creato in laboratorio

La testata in questione è già nota per la diffusione di diverse teorie complottiste – la più famosa quella per cui Obama non sarebbe americano – e oltretutto si è data un nome che può palesemente indurre in errore i lettori, che potrebbero confonderla con la più accreditata Washington Post. E’ una tecnica utilizzata da moltissimi siti bufalari per disorientare gli utenti.

Potrebbe bastare questo a screditare in radice la teoria, ma noi continuiamo ad approfondire.

Come detto, oltre alla credibilità della fonte è necessario capire anche sulla base di quali prove essa sostenga questa ipotesi. E in base a cosa il Washington Times sostiene che il Coronavirus è stato creato in laboratorio? Parliamo di analisi scientifiche, testimonianze dirette, documentazione inequivocabile? No.

Lo sostiene perché così dice un ex militare dei servizi segreti israeliani, tale Dany Shoham.

Parliamo cioè di un tizio che non è cinese, non ha alcuna competenza in virologia e epidemiologia, non ha mai lavorato in un laboratorio di analisi virali, non è mai fisicamente stato nel laboratorio di Wuhan e non ha alcuna documentazione, prova o studio che possa attestare le sue affermazioni. E’ quindi evidente che questa non costituisca una prova: questa è solo l’opinione personale di un tizio qualunque.

Non a caso, è da notare come lo stesso titolo dell’articolo usi la formula dubitativa – “may have” – segno che si tratta di una mera ipotesi senza prove. Ed è una formula che ritroveremo in tutte le altre testate che hanno fatto eco alla notizia.

La diffusione della teoria

coronavirus creato in laboratorio

Nonostante la teoria fosse inizialmente fondata sull’opinione di uno che non aveva alcuna competenza né alcun elemento per poter suffragare la sua ipotesi, la notizia ha comunque fatto il giro del mondo ed è stata ripresa da altri siti e testate, anche in Italia.

coronavirus creato in laboratorio

Peraltro, non sono mancate alcune di esse – come Il Fatto Quotidiano – che hanno sfruttato questa notizia per fare un po’ di clickbait, scrivendo un titolo sensazionalistico per poi precisare nell’articolo – che il 50% della gente non va a leggere – che in realtà si tratta di un’ipotesi senza fondamento, che è stata già esclusa da alcuni studi scientifici (come vedremo a breve).

La diffusione della notizia è stata tale che ha anche spinto alcuni politici in Italia a richiedere addirittura un’interrogazione parlamentare per fare luce sulla vicenda.

Ecco dunque come la notizia di un sito di bufale, fondata sulle opinioni personali di un non addetto ai lavori, sia riuscita a diventare virale e “contagiare” l’opinione pubblica.

La documentazione scientifica sulla tesi del virus di laboratorio

Oltre ai giornalisti, anche alcuni scienziati si sono prodigati per analizzare i fatti allo scopo di capire se il Coronavirus potesse essere stato creato in laboratorio o meno. In effetti, col tempo è uscito uno studio scientifico che attesterebbe questa ipotesi, e che come tale è stato subito usato dai complottisti per avvalorare la loro tesi.

Difficile dire se il bias di conferma abbia colpito più gli scienziati che hanno condotto quello studio o i complottisti che l’hanno letto. Vediamo perché.

Lo studio in questione è stato diffuso sul web e in particolare dal TGCOM24 di Liguori (a questo link), che da sempre sostiene questa teoria come avevo già precisato qui. Ma cosa dice veramente lo studio? Vediamolo.

In primo luogo getta dubbi e perplessità sulla ricostruzione “ufficiale” per un motivo molto semplice.

coronavirus creato in laboratorio

Quindi: in base a questo “studio”, il fatto che la probabilità che i pipistrelli potessero volare sopra il mercato sia molto bassa – in base a cosa però non si sa -, unito al fatto che proprio lì vicino ci sarebbe un laboratorio di ricerca, in automatico dovrebbe sia smentire la versione ufficiale che avvalorare quella del Coronavirus creato in laboratorio.

Chiariamo la validità di questa argomentazione con un esempio banale.

Muore ammazzata una ragazza per strada.

Nonostante ci siano diverse prove che conducono verso un possibile sospettato – Tizio – io ignoro ogni evidenza e mi baso invece sul fatto che incontrare un killer per strada sia “abbastanza difficile”; rilevo poi che a 300 metri dal luogo del delitto vive Caio, soggetto già condannato per omicidio in passato. Da questo, ne deduco che il reo è sicuramente Caio e va arrestato.

Secondo voi questa argomentazione è valida in un processo?

La ricostruzione dello studio non è una prova, ma quella che è definita congettura. Si limita a seminare dubbi sulla versione ufficiale e a fornire una versione alternativa che non è basata su alcunché: nessuna prova, nessun documento, nessuna analisi in loco, nessuno studio, nessuna verifica. Nulla. Ma ovviamente, questo per i complottisti – e per l’Antimetodo – è più che sufficiente…

Teorie del complotto tra plausibilità e probabilità

Insomma: il problema dell’ipotesi del Coronavirus creato in laboratorio risente di tutti i problemi delle altre teorie del complotto: la tendenza del cervello a confondere plausibilità con probabilità, coerenza con validità.

E’ plausibile che un virus possa fuggire da un laboratorio e scatenare un’epidemia? . E’ coerente una ricostruzione simile? (al netto dei ragionamenti che faremo a breve…). Questo basta a ritenere dimostrata la tesi? No, nel modo più assoluto.

Come visto parlando della distorsione cognitiva chiamata WYSIATI – la tendenza a costruire storie coerenti in base alle sole informazioni in possesso – non basta che una ricostruzione sia plausibile perché sia anche vera. Lo dimostra il fatto che ad essere plausibile non è solo la tesi del Coronavirus creato in laboratorio, ma anche quella dello spill over – ossia l’accidentale passaggio dall’animale all’uomo sostenuto nella versione ufficiale -, così come molte altre ipotesi che potremmo creare ad arte: un attentato terroristico, un piano strategico dei nemici della Cina, un esperimento finito male, ecc…

Ma se ad essere plausibili sono almeno 5 tesi diverse, è evidente che non possono essere tutte contemporaneamente vere.

Se un argomento è sufficiente per dimostrare più tesi diverse, significa che non ne sta dimostrando nessuna.

Per validare una tesi non basta una ricostruzione coerente e plausibile: servono prove, analisi specifiche, verifiche, testimonianze dirette. Tutti elementi che mancano totalmente nella tesi del Coronavirus creato in laboratorio: essa infatti si basa sulle dichiarazioni di un tizio qualunque e su meri dubbi – banali – volti a screditare la versione avversa, senza dare alcuna conferma concreta alla tesi che si sta sostenendo. Ma il fatto che io possa creare dubbi su una versione ufficiale non rende automaticamente valida la mia ipotesi alternativa, al punto da esimermi dall’obbligo di provarla concretamente.

Il problema del complottista è che mette sullo stesso piano tutte le versioni possibili sulla base della loro mera plausibilità, e poi sceglie quella che preferisce non in base alle prove, ma alla corrispondenza della tesi ai suoi pregiudizi acquisiti (bias di conferma).

Coronavirus creato in laboratorio: le carenze logiche

Per quanto le argomentazioni di cui sopra sarebbero sufficienti da sole a smontare la tesi del Coronavirus creato in laboratorio per assoluta assenza di prove, dobbiamo dare atto che in realtà di questa ipotesi ne esistono numerose versioni – come di tutte le tesi complottiste, del resto – ed è mia intenzione non tralasciare nulla.

Andando oltre la carenza probatoria di questa teoria, vorrei concludere facendo alcune considerazioni logiche sulle varie possibili versioni che ho letto sul web.

A) Il coronavirus è un’arma batteriologica creata apposta dai cinesi

Questa tesi non sta in piedi logicamente. Le armi batteriologiche in circolazione sono capaci di uccidere un uomo in 72 ore e hanno generalmente una letalità del 90%. Perché mai la Cina avrebbe dovuto investire miliardi in ricerca per creare un virus che provoca il raffreddore, che nell’80% non causa alcun danno e che uccide, se va bene, appena il 2% della popolazione colpita? Non bastava usare le armi batteriologiche già esistenti, che sono estremamente più efficaci? Oppure studiarne una che si basasse su un virus più letale come l’Ebola, che uccide il 45% dei contagiati, o il Nipah, che ne uccide il 77%?

B) Il Coronavirus è stato diffuso apposta dai cinesi per colpire le economie occidentali

Questa ipotesi, se possibile, ha ancora meno senso. La Cina vuole creare un virus per colpire le economie occidentali, e cosa fa? Lo diffonde a casa sua, uccidendo migliaia di cittadini, obbligando il Governo a disporre blocchi, quarantene, chiusure forzate che arrecano un danno economico gigantesco alla propria economia? Ricordo infatti che, attualmente, i casi di Coronavirus sono concentrati per oltre il 95% in Cina. Sarebbe dunque la strategia più idiota della storia dell’umanità.

E se fosse sfuggito ai laboratori per errore? A quel punto bisognerebbe chiedersi perché la Cina avrebbe immediatamente allertato l’OMS, comunicato il genoma del virus, avvisato il mondo intero di quello che era appena accaduto svelando la loro arma segreta e rischiando di farsi scoprire da tutti i loro nemici, invece di infangare tutto e nascondere ogni dettaglio, come del resto è solita fare. Non avrebbe alcun senso.

C) Il Coronavirus è un virus creato dagli americani per colpire la Cina

Questa tesi è ipoteticamente più plausibile delle altre due, ma comunque priva di senso. Essa va infatti incontro a numerosi problemi logici.

  • Un virus non può essere indirizzato. Quindi, se decido di diffondere un virus in Cina, non ho alcun modo per impedire che lo stesso valichi i confini asiatici e arrivi anche qui, come infatti è accaduto. Sarebbe dunque un strategia estremamente controproducente, soprattutto se non dispongo di un vaccino per evitare l’epidemia. In questo caso, infatti, sarebbe bene prima creare un vaccino e poi diffondere l’epidemia. Ma ciò non è accaduto.
  • Se, a quanto dicono i complottisti, è così facile capire che il virus è stato diffuso dagli USA tramite quel laboratorio – in cui lavora l’OMS – con una semplice ricerca su Google, è inevitabile che anche il Governo cinese se ne sia accorto: esso infatti si trova in loco, ha accesso a tutta la documentazione, può fare tutte le verifiche del caso e dispone di tutta la capacità e la strumentazione per verificarlo. Ma se è così, come è possibile che non abbiano denunciato nulla?
  • Non solo. Come è possibile che, anzi, si siano rivolti proprio all’OMS – complice dell’attentato – per scongiurarne le conseguenze? E perché si sarebbero adoperati, con enormi danni economici, per contenere il virus dentro il proprio Paese? Perché non ne hanno approfittato per denunciare la cosa, screditare il nemico, pretendere dei danni e addirittura lasciare che il virus uscisse in massa dai confini, così da danneggiare tutti e non solo la Cina?

D) Il virus è effettivamente frutto di uno spill over, ma non a causa dei pipistrelli al mercato di Wuhan, bensì a causa dei pipistrelli del laboratorio di Wuhan che hanno contagiato un ricercatore che ha poi diffuso il virus

Tra tutte, questa è la tesi più plausibile. Tuttavia, oltre a ricordare che plausibile non significa vera, è bene fare delle precisazioni.

In primo luogo, se effettivamente il contagio fosse partito dal laboratorio con tali modalità, si sarebbe trattato di un errore dovuto a negligenza, ossia di un incidente, e quindi non sarebbe un complotto tale da scatenare l’indignazione dei complottisti. Ma soprattutto, se questa fosse la ricostruzione non si potrebbe neppure parlare di virus creato in laboratorio, perché di fatto quel virus sarebbe “naturale”, ossia diffuso da un pipistrello.

In secondo luogo, in ogni caso questa versione andrebbe provata: quali prove abbiamo che il virus arrivi da un pipistrello di laboratorio e non da uno che volava sul mercato di Wuhan? Sono state condotte analisi specifiche che confermano la prima ipotesi ed escludono la seconda? Abbiamo analisi del DNA che riconducono quel virus ai primi pipistrelli e non ai secondi? E’ stato fatto un riscontro tra il Coronavirus che ha contagiato gli umani e quello di cui erano affetti quei pipistrelli? Abbiamo un qualche elemento verificato sperimentalmente che possa far escludere categoricamente che lo spill over sia avvenuto da pipistrelli liberi, e qualcosa che ci confermi invece che arrivi da quelli del laboratorio di Wuhan? No, non abbiamo nulla di tutto ciò.

Anzi, è piuttosto la versione ufficiale ad essere suffragata da ipotesi vagliate sperimentalmente, frutto di analisi specifiche – come questa del Lancet, citata nello screenshot -, e dalle opinioni degli esperti.

La versione complottista invece si basa sul niente. Non c’è nulla – né una prova, né un’analisi, né un documento, né una testimonianza, niente – che possa farci prendere per valida questa ipotesi (a parte le opinioni personali di chi la sostiene).

Coronavirus e rasoio di Ockham

Non ci resta dunque che il rasoio di Ockham: da un lato abbiamo l’ipotesi che un pipistrello libero, entrando in contatto con un cittadino di Wuhan al mercato, possa averlo contagiato scatenando l’epidemia.

Dall’altra che un pipistrello in laboratorio abbia morso un ricercatore, che il ricercatore abbia eluso tutti i controlli di protocollo che inevitabilmente ci sono in laboratori del genere e che abbia continuato a fare avanti e indietro dal laboratorio al mondo esterno, nonostante manifestasse sintomi e sapesse di essere stato morso; tutto questo senza che nessuno – neppure lui stesso, che ben poteva conoscere rischi e conseguenze del contagio – prendesse provvedimenti, favorendo il sorgere del focolaio.

Entrambe le versioni, come detto, sono plausibili. Ma:

  • la prima è decisamente più probabile e soprattutto gode di un supporto scientifico accertato da test e analisi condotte in loco che hanno analizzato il genoma del virus, oltre che dalle considerazioni di numerosi esperti;
  • la seconda è non solo meno probabile, ma si basa unicamente sulle affermazioni, diffuse da un noto sito di bufale, fatte da un israeliano che non sa nulla di virologia e non è mai stato a Wuhan, unite al fatto che secondo alcuni è “poco probabile che un pipistrello possa volare sopra un mercato” e “combinazione c’è un laboratorio proprio lì vicino“, senza alcuna prova scientifica di rilievo.

Sono probabili allo stesso modo? A voi le conclusioni.

P.T.