Oggi cercheremo di tornare a parlare di coronavirus tra teoria del salto di specie e teoria del virus di laboratorio; lo scopo sarà quello di paragonare il metodo delle due teorie e capire perché, anche se non abbiamo competenze specifiche, dovremmo “credere” alla prima ipotesi e non alla seconda, ed anzi perché alla prima, diversamente dalla seconda, non c’è bisogno di credere.
L’analisi servirà anche come lezione per chiarire la differenza che sussiste tra il Metodo Scientifico e l’Antimetodo.
Come ho già avuto modo di chiarire nella guida apposita, il metodo scientifico non è semplicemente una “cosa da scienziati”, ma una forma mentis, un metodo di approccio alla realtà che ci permette di giungere a conclusioni non semplicemente “coerenti” – come fa l’Antimetodo -, ma frutto di un procedimento logico e di una raccolta di “prove provanti”. Usiamo quindi l’esempio del virus di laboratorio per dimostrare questo assunto e ricapitoliamo brevemente come si articola il metodo scientifico:
- Osservo un fenomeno;
- Elaboro un’ipotesi che possa spiegare il fenomeno;
- conduco delle analisi e degli esperimenti per raccogliere dati e informazioni sul fenomeno;
- Raccolgo i dati e verifico se l’ipotesi è confermata da essi;
- Sottopongo ad altri le mie analisi perché le replichino e verifichino i miei risultati.
La teoria del salto di specie e il Metodo Scientifico
Vediamo come è nata e come è stata elaborata la teoria del salto di specie.
1. Osservo un fenomeno
Tutto è cominciato quando gli esperti hanno preso atto della diffusione di una pandemia, causata da un virus sconosciuto sul quale nessuno aveva qualche forma di immunizzazione. Da dove arriva questo virus?
2. Elaboro un’ipotesi
Era necessario elaborare un’ipotesi da verificare; per farlo, gli scienziati partono ovviamente da alcuni fatti di base, che potremmo definire “notori”, ossia da una serie di informazioni di cui siamo già in possesso, su cui basarsi per elaborare un’ipotesi plausibile. La più plausibile, in genere si comincia da quella (Rasoio di Ockham).
Semplificando, i fatti già a conoscenza degli esperti erano:
- i virus sconosciuti possono avere un salto di specie da animali a uomo oppure essere elaborati in laboratorio;
- in passato ci sono state diverse pandemie causate da virus animali passati all’uomo, ad oggi non risulta alcuna epidemia scatenata da virus artificiali;
- la tradizione dei “mercati di animali vivi” in Cina è già stata in passato causa di salti di specie (SARS, MERS, Aviaria);
- A Wuhan, dove è nato il focolaio, c’è uno di quei mercati;
- A Wuhan c’è anche un laboratorio batteriologico dove analizzano virus;
- La Cina ha già fatto esperimenti su quella famiglia di virus (Coronavirus).
Dunque: alla luce delle informazioni in nostro possesso, entrambe le ipotesi sarebbero plausibili. Dal momento però che quella del salto di specie è già capitata altre volte, per il Rasoio di Ockham è quella da preferire.
Ma attenzione: questo non significa che quella ipotesi sia “vera”, significa solo che è più probabile dell’altra, quindi conviene verificare prima quella.
3. Raccogliere dati e informazioni
Per poter escludere che il virus sia artificiale e confermare che sia naturale, è necessario condurre un esperimento o un’analisi che mi permetta di raccogliere i dati necessari per discernere tra le due ipotesi.
Cosa si potrebbe usare? Potrei affidarmi ad altre notizie, fatti, eventi che si sono verificati, e usarli per andare a rendere più probabile un’ipotesi di un’altra. Ad esempio, potrei scandagliare nel dettaglio tutte le ipotesi passate di salto di specie, per capire quanto effettivamente sia probabile. Oppure verificare quanti esperimenti in laboratorio siano stati fatti dai vari Stati sui virus, per capire quanto sia probabile che un virus possa essere creato in vitro. Il problema è che nessuna di queste informazioni può permetterci di escludere categoricamente l’altra ipotesi: potrei cioè scoprire che gli spill over sono stati tantissimi, ma anche gli esperimenti di laboratorio sono stati numerosi; ma se anche rilevassi una maggior frequenza di virus naturali rispetto a quelli artificiali, comunque anche questa informazione non sarebbe sufficiente a escludere l’ipotesi avversa. Se anche i virus creati in laboratorio fossero uno solo, infatti, comunque questo dimostrerebbe che l’ipotesi è possibile, quindi non la potrei escludere.
Sono però consapevole del fatto che un virus creato in laboratorio – così come quello naturale – ha determinate caratteristiche a livello di genoma, caratteristiche che ho gli strumenti per individuare. Quello che devo fare è dunque analizzare il genoma di quello specifico virus, per poter capire che tipo di origine abbia avuto.
Ecco che dunque, in base al metodo scientifico, l’esperto conduce un’analisi sul genoma del virus in questione, cercando di individuarne la struttura genomica e ricostruirne l’evoluzione. Analisi che è stata fatta, e che ha rilevato con ogni probabilità la sua provenienza naturale. L’esperto ha quindi raccolto i dati e stabilito che il virus è compatibile con uno spill over e non con una creazione artificiale.
Ma questo, ovviamente, non basta. Un solo studio non fa una prova scientifica.
4. Ripetibilità e peer review
Pertanto, l’esperto pubblica uno studio in cui espone le sue analisi e le condivide con gli altri esperti mondiali, i quali faranno due cose:
- Analizzare quello studio per controllare se ci siano stati errori o mancanze nel modo in cui è stato condotto, nel calcolo dei risultati, nella raccolta dei dati;
- Condurre altri studi dello stesso tipo per rianalizzare in genoma del virus e verificare se i risultati sono gli stessi.
Queste due operazioni corrispondono alla ripetibilità dell’esperimento e alla peer review (revisione tra pari).
Anche queste operazioni sono state fatte, e hanno portato a una conferma degli studi che sostenevano la derivazione animale e alla pubblicazione di altri studi che hanno prodotto gli stessi risultati (per visionare i principali di essi, si vedano questo pubblicato su Lancet, questo su Nature e questo su Science).
Tutto ciò basta a confermare l’ipotesi? Ancora no.
5. Verifica delle altre ipotesi
Anche se tutti gli studi pubblicati attestano un’origine naturale e ad oggi non esistano nell’intera comunità scientifica mondiale studi accreditati che smontino questa ricostruzione, ciò non significa necessariamente che qualunque esperto non possa comunque provare a verificare anche l’altra ipotesi.
Accade così che altri esperti ignorino il rasoio di Ockham e partano dall’ipotesi meno probabile. Ad esempio, potrebbero dare maggior risalto, tra i fatti notori elencati prima, al fatto che proprio la Cina avesse fatto un esperimento su quel tipo di virus, e voler verificare se corrisponde a quello oggi in diffusione.
Così, quell’esperto prenderà lo studio in questione, analizzerà la composizione genomica di quel virus artificiale e la paragonerà a quella del virus attuale.
Anche questo è stato fatto, nello studio di cui avevo già parlato in questo articolo, ed è stato confermato che i due virus sono assolutamente diversi.
6. Ancora peer review
Non è finita qui. Potrebbe infatti accadere che altri studi, partendo da altri presupposti, giungano a conclusioni diverse. Anche questi studi finiranno nel circolo della peer review, per verificarne i risultati e paragonarli con quelli degli altri studi.
Anche questo è stato fatto: era in effetti uscita una pubblicazione di alcuni esperti indiani – ne ha parlato David Puente qui – che ipotizzava una possibile manipolazione artificiale del virus. Lo studio sosteneva in particolare che la proteina spyke del Sars-Cov-2 – quella che il virus usa per penetrare nelle cellule umane – fosse la stessa usata anche dal virus dell’HIV, ipotizzando quindi che il virus fosse una “combinazione artificiale” di un Coronavirus e un virus HIV.
Anche questa pubblicazione è stata visionata e verificata dall’intera comunità scientifica mondiale del settore, che ha obiettato che quella proteina è tipica non solo del virus dell’HIV, ma anche di altri virus come Dengue, Ebola e anche alcuni virus influenzali. Quindi, la struttura di quella proteina non era affatto una prova dell’origine artificiale del virus. Lo studio è stato quindi bocciato dalla peer review.
7. Elaborazione della teoria
Alla luce di tutte le verifiche, le analisi e i controlli di tutti gli esperti, il metodo scientifico ci dice che, salvo prova contraria che ad oggi nessuno è ancora stato capace di fornire, il virus deriva da un salto di specie, come conferma il genoma, la sua struttura molecolare, la sua evoluzione ricostruita dalle analisi, la ricostruzione dei fatti e l’assenza di qualunque prova contraria.
La teoria del virus di laboratorio e l’Antimetodo
Vediamo invece come è stata elaborata la tesi del virus artificiale.
Partendo dai fatti notori indicati all’inizio, l’Antimetodista sceglie tra le varie ipotesi possibili quella che lui – ossia i suoi schemi acquisiti – ritiene più plausibile. Se alcuni dei fatti possono rendere plausibile quella ipotesi, tanto basta a preferirla su qualunque altra.
Badate bene: quello che fa l’antimetodista sulla base di quei fatti non è elaborare un’ipotesi da sottoporre a verifica analitico/sperimentale, ma elaborare una tesi, saltando direttamente all’ultima fase del metodo scientifico. Infatti, per lui i fatti notori iniziali, accuratamente selezionati, sono più che sufficienti per suffragare direttamente la sua tesi.
Da questo momento, la procedura mentale dell’antimetodista si distacca totalmente dal metodo scientifico per seguirne una concentrata sul bias di conferma, secondo queste fasi:
- Cherry picking: una accurata selezione delle prove fondata sul principio di coerenza. Le prove, cioè, vengono selezionate non in base ad una loro verifica/controverifica come abbiamo visto accadere nel metodo scientifico, ma in base al principio di coerenza: tutte le prove che sono coerenti con la mia ipotesi sono per ciò stesso valide, quelle che non sono coerenti sono per ciò stesso false, quindi non vengono smentite ma semplicemente ignorate.
- Principio di riadattamento: alcune prove vengono poi riadattate alla tesi che si vuole dimostrare. La circostanza che i cinesi avessero in passato elaborato un virus in laboratorio viene presa automaticamente come un elemento a favore della teoria, senza verificare l’effettiva corrispondenza dei due virus. Se una prova può avere più interpretazioni, si sceglie quella più coerente con la tesi.
- Compartimenti stagni: la raccolta delle prove a favore è fatta senza una analisi incrociata delle stesse: ad esempio, vengono usate come prove a favore della tesi prove incompatibili tra loro, come il video di Mazzucco che ipotizza che il virus sia stato diffuso dagli americani – ne ho parlato qui -, lo studio che attesta l’esperimento del virus di laboratorio fatto dai cinesi – ne ho parlato qui – e la circostanza che a Wuhan esista un laboratorio di ricerca, che però è dell’OMS. Tutte e tre le prove vengono proposte come favorevoli alla tesi, senza considerare che in realtà si escludono l’un l’altra (il virus o è opera degli USA, o dei cinesi o dell’OMS, non possono essere contemporaneamente vere tutte e tre le ipotesi).
- Totale assenza di prove scientifiche: in tutto questo, l’antimetodista non fornisce alcuna prova scientifica né alcuna analisi specifica sul genoma del virus, basandosi unicamente su fatti notori e congetture riadattate ad arte; allo stesso tempo, ignora del tutto le prove scientifiche che smentiscono apertamente la tesi del virus di laboratorio, sul semplice presupposto che le loro risultanze sono incoerenti con quella tesi (coerenza inversa).
Attraverso questi artifici e concentrandosi unicamente su un approccio confermativo, l’antimetodista elabora così una tesi nella convinzione di aver raccolto numerose prove in suo favore, quando in realtà si è limitato a selezionare quello che gli serviva e spesso senza neanche accorgersi che la mole di prove in suo favore è in realtà in contraddizione intrinseca. Inutile dire che il risultato cui giunge in questo modo è totalmente privo di valore.
Questa è la sostanziale differenza tra metodo scientifico e antimetodo. Qui non si tratta cioè di scegliere tra due opinioni diverse, ma di scegliere tra una tesi fondata su un metodo di ricerca razionale, logico e rigoroso, e un’altra tesi fondata su nulla di diverso dei preconcetti di chi la sostiene.
Quindi no: le due teorie non stanno sullo stesso piano.
P.T.