Nel pieno della seconda ondata di Covid-19, e nell’attesa di un vaccino ormai prossimo, si discute parecchio delle possibili cure – avevamo già parlato ad esempio dell’idrossiclorochina in questo articolo – e della loro potenziale efficacia, e in particolare di una: il plasma iperimmune funziona davvero? Perché non viene promosso abbastanza? Cosa c’è dietro?

Viste le numerose polemiche scatenate sull’argomento da alcuni ricercatori come Giuseppe De Donno e da alcuni programmi televisivi, primo fra tutti Le Iene, che dopo i servizi sulla diatriba tra Burioni e De Donno, stanno in queste settimane mandando in onda degli interessanti servizi girati nei reparti Covid per provare a fare luce sulla vicenda.

Per ulteriori approfondimenti, vi consiglio la visione di questo video del nostro canale YouTube, che tratta proprio del tema del plasma iperimmune:

Cos’è il Plasma Iperimmune?

Cominciamo allora con il capire cosa sia il plasma iperimmune. Il plasma è semplicemente la parte liquida del sangue.

In sostanza, quando un soggetto contrae un virus, nel giro di 10-15 giorni inizia a sviluppare gli anticorpi. Questo significa che, una volta sconfitto il virus, il suo sangue ha al suo interno gli anticorpi per quel virus, che si trovano appunto nella parte liquida; pertanto, prelevando il plasma dei soggetti appena guariti e iniettandolo nei pazienti attualmente malati, è possibile sfruttare quegli anticorpi per scongiurare il decorso della malattia e in estrema ipotesi guarire prima che il suo sistema immunitario riesca a sviluppare i giusti anticorpi, poiché soprattutto in soggetti già debilitati o con altre patologie quei 10-15 giorni potrebbero essergli fatali.

Quindi, il primo punto da considerare è che l’efficacia del plasma iperimmune per le malattie virali è arcinoto alla scienza da quando conosciamo l’esistenza degli anticorpi. Non c’è quindi nessuna scoperta particolare. Certo è che ogni malattia fa storia a sé, e quindi l’efficacia del plasma per questa particolare malattia va valutata nello specifico.

plasma iperimmune

Attualmente, gli studi appaiono piuttosto discordanti: se da un lato emergono ricerche che ne attestano l’efficacia – come quello di De Donno, di cui parleremo tra poco – ve ne sono anche altri – qui un link e qui un altro studio randomizzato – che invece non hanno dato risultati incoraggianti. Come sempre accade, serve tempo al metodo scientifico per arrivare a conclusioni solide, soprattutto quando si parla di argomenti nuovi come il Covid; è perciò ancora difficile stabilire con certezza se il plasma iperimmune funziona contro il Covid.

Possiamo però fare delle considerazioni generali utili ad inquadrare meglio il problema.

Le criticità del plasma iperimmune

Anche a voler considerare la sua efficacia, come i servizi delle Iene fanno, in alcuni casi facendo una sorta di Cherry Picking – hanno infatti sottolineato con enfasi tutti i casi di guarigione ma si sono guardati bene dal rilevare uno dei casi da loro intervistati che, nonostante la cura al plasma, è morto, come potete verificare a questo link – il vero problema sta nel comprendere le criticità che questo tipo di cura ha.

Il Plasma iperimmune, infatti, è una terapia di emergenza: viene cioè usata in mancanza di altro. E le motivazioni sono semplici:

  • Non tutto il plasma è efficace. Bisogna infatti considerare che il plasma serve a fornire anticorpi a chi è grave, e quindi ha un’alta carica virale in corpo. Per poter affrontare una malattia in stadio avanzato è necessario un alto numero di anticorpi che possiedono solo coloro che hanno avuto a loro volta una carica virale abbastanza alta da far loro sviluppare sufficienti anticorpi. Chi ad esempio ha fatto la malattia in forma asintomatica – che sono la maggioranza, come ho spiegato in questo articolo – non ha un plasma efficace per curare i malati gravi. Per questo, il numero di donatori validi si riduce parecchio rispetto al generale numero di guariti;
  • Non tutti possono donare il plasma. Sussistono infatti gli stessi limiti della donazione del sangue: non puoi donare se sei troppo anziano, se hai problemi di peso o se hai patologie pregresse. E questo costituisce un problema non da poco, dato che la maggior parte di soggetti che si ammalano gravemente, e quindi sviluppano più anticorpi, sono proprio quelli che hanno meno probabilità di poter donare il plasma;
  • Il plasma va raccolto subito. Gli anticorpi infatti degradano nel tempo, quindi un valido donatore è tale solo se dona non appena è guarito, mentre se aspetta qualche mese rischia di non avere più un plasma efficace anche se aveva avuto una alta carica virale;
  • Il plasma ha le stesse criticità connesse con le trasfusioni di sangue, con conseguente rischio di rigetto o effetti collaterali, anche se il livello di anticorpi è adeguato.

Per questo, anche se di fatto i guariti dal Covid sono circa 400 mila in Italia, solo una piccola percentuale di loro è effettivamente in grado di fornire sacche di plasma davvero efficaci.

Quanto plasma serve?

C’è poi un problema logistico. A quanto pare, per curare un malato è sufficiente una sola, al massimo due sacche di plasma. Il che sembra poco considerato il numero di guariti e il costo di ogni sacca – che si aggira intorno agli 86 euro – rispetto ad eventuali altre cure “artificiali” ben più costose.

Questo è vero; c’è tuttavia un rovescio della medaglia. Chiaramente, più malati ci sono, più plasma serve: se anche bastasse un solo donatore per ogni malato, con l’aumentare dei malati è necessario trovare altri donatori, e questo in una situazione di emergenza ospedaliera come quella odierna può costituire un problema, perché è necessario continuare ad approvvigionarsi di plasma man mano che i malati aumentano.

Quindi, per quanto l’utilizzo del plasma appaia più economico rispetto a una cura che necessita di ricerca e sperimentazioni, di fronte a un gran numero di malati rischia di diventare antieconomico. Infatti, una volta individuati gli anticorpi sviluppati dal nostro sistema immunitario e presenti nel plasma iperimmune, la tecnologia odierna ci permette di replicarli in laboratorio, producendone quantità potenzialmente infinite. Per quanto la ricerca in merito abbia un costo superiore a una sacca di plasma, una volta individuato il modo di riprodurre artificialmente quegli anticorpi il costo di produzione non varia poi così tanto in base al numero di anticorpi prodotti, nel senso che se ogni sacca di plasma in più costa 86 euro, produrre 100, 1.000 o un milione di anticorpi non fa poi così tanta differenza dal punto di vista economico.

Per questo, anche l’accertata efficacia del plasma suggerirebbe di sviluppare degli anticorpi monoclonali in laboratorio, di modo da produrne quantità sufficienti, a basso costo, per curare tutti.

Plasma iperimmune o monoclonali?

E questo è in realtà quello che sosteneva Burioni quando, in una intervista da Fazio presto contestata dai sostenitori del plasma, De Donno in primis, aveva appunto dichiarato che il plasma “è più costoso rispetto ad altre terapie come i monoclonali“.

Certamente, dal momento che Burioni si occupa proprio di monoclonali, è facile vederci un “conflitto di interesse” del Professore che potrebbe portarlo a screditare il plasma per favorire i monoclonali, come dedotto tra l’altro dalle Iene e da Codacons in un servizio di cui ho parlato qui.

Eppure, ci terrei a far notare che è lo stesso studio sull’efficacia del plasma condotto da De Donno e colleghi a dire questa medesima cosa. Come potete verificare leggendo lo studio di De Donno – qui il link originale – quello stesso studio conclude dicendo:

plasma iperimmune

In conclusion, we were able to show a promising benefit of hyperimmune plasma in COVID-19 patients, both through a reduction of mortality, an improvement in respiratory function and decreases in inflammatory indices. This was a proof-of-concept study, thus these findings should not be over-interpreted and efficacy cannot be advocated yet. Nevertheless, the results pave the way for future developments including the rigorous demonstration of hyperimmune plasma efficacy in a randomized clinical trial, and possibly, the need for hyperimmune plasma banking to anticipate a potential second wave of the pandemic, the development of standardized pharmaceutical products made from the purified antibody fraction (concentrated COVID-19 H-Ig) and last, but not least, the production of monoclonal antibodies on a large scale.

Insomma: i risultati dello studio sul plasma aprono la strada allo sviluppo futuro, tra le altre cose, della produzione di anticorpi monoclonali su larga scala.

Curioso che lo stesso soggetto che accusa Burioni di voler promuovere i monoclonali a discapito del plasma dica nel suo studio che l’efficacia del plasma pone le basi per lo sviluppo dei monoclonali, non trovate?

P.T.

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