Ultimamente, uno dei principali argomenti trattati dall’opinione pubblica riguardo il Covid è la questione delle terapie domiciliari. Le terapie domiciliari funzionano?

Ci tengo preliminarmente a precisare che, in linea generale, io non sono assolutamente contrario alle terapie domiciliari precoci, anzi sono assolutamente favorevole: se infatti le terapie domiciliari funzionano, esse possono costituire uno strumento essenziale per abbattere l’ospedalizzazione e quindi il principale problema di questa pandemia, che come hanno ormai tutti ripetuto all’infinito non è tanto la letalità del virus, ma proprio il rischio di saturazione del sistema sanitario.

Quindi non è mio intento cercare di screditare o denigrare i medici e gli infermieri che in questi mesi stanno dando l’anima per cercare di dare una mano al sistema sanitario, provando a curare più gente possibile da casa ed evitare che finiscano in ospedale.

Certo. Ma il problema resta uno solo: le terapie domiciliari funzionano davvero? Perché è chiaro che se sono efficaci costituiscono un’arma in più davvero essenziale, ma se non lo sono di fatto diventano inutili e addirittura controproducenti, perché possono togliere ai pazienti altre terapie che potrebbero essere maggiormente efficaci.

L’articolo di oggi è quindi rivolto non tanto a chi, come me, auspica che si possa trovare una soluzione di questo tipo, ma a chi è tutt’ora convinto del fatto che sì, le terapie domiciliari funzionano per certo, ma le Big Pharma o chi per loro cercano in ogni modo di screditarle per non perdere i loro vantaggi (come la campagna vaccinale di massa), e in questo modo impediscono ad un metodo “approvato” di salvare vite.

Da mesi ormai chiedo ai sostenitori di questa teoria di lasciar stare le ipotesi complottiste e di fornirmi delle prove che le terapie domiciliari siano davvero efficaci. Dopo mesi senza risposte, pare essere finalmente uscito uno studio randomizzato e controllato – ossia l’unico che abbia valore scientifico – che ne dimostrerebbe l’efficacia.

Analizziamolo.

Lo studio sulle terapie domiciliari precoci

Lo studio in questione è stato condotto dall’Istituto Mario Negri, e potete trovare una sua sorta di abstract a questo link e lo studio vero e proprio a quest’altro link.

Terapie domiciliari funzionano

Al momento non c’è altro, ed è questa la prima cosa da considerare, in quanto lo studio in questione costituisce ancora un pre-print, ossia non è stato sottoposto a peer review. Peraltro, lo stesso articolo specifica, alla fine, che la pubblicazione in assenza di peer review è stata una scelta voluta “al fine di velocizzare la disponibilità dei risultati“. Peccato che però sarebbero preferibili dei dati attendibili, non dei dati qualunque purché arrivino subito. Non ha dunque molto senso, ed anzi può produrre convinzioni fuorvianti, pubblicare uno studio prima che sia stata fatta la peer review diffondendo così risultati non sottoposti a verifica.

Comunque, questi dati sono attendibili? Valutiamo cosa è stato fatto.

In primo luogo, e mi preme precisarlo per tutti coloro che da mesi sostengono di avere prove certe che le terapie domiciliari funzionano “ma non cielo dicono“, sottolineo che lo stesso articolo, all’inizio, afferma che questo è il primo studio randomizzato che sia stato condotto riguardo le terapie domiciliari. Il che significa che prima di questo non sussisteva alcuna prova che le terapie domiciliari funzionassero. Quindi no, prima di adesso non avevate uno straccio di prova (e mi dovete tutti 50 mila euro…).

Ma entriamo nel merito. Si legge che lo studio ha preso ad esame 180 persone, 90 delle quali nel gruppo raccomandato (ossia quelle sottoposte alla terapia domiciliare) e 90 nel gruppo di controllo (ossia quelle sottoposte a “niente”).

Si trattava di persone, abbinate nei due gruppi per età, sesso e comorbidità, tutte con sintomi lievi. L’utilizzo di terapie domiciliari solo in un gruppo aveva la finalità di verificare se chi usava le terapie finiva effettivamente in ospedale meno di chi non le usava.

In effetti, i risultati in assoluto sembrano positivi: l’ospedalizzazione nel gruppo raccomandato era inferiore addirittura del 90%. Numeri molto promettenti, ma che vanno considerati anche alla luce dell’entità del campione considerato.

Stiamo infatti parlando di appena 180 persone, delle quali nel gruppo raccomandato solo 2 sono poi finite ricoverate in ospedale mentre nel gruppo di controllo sono state 14. Considerando però l’esigua entità del campione di riferimento, che può alterare anche di molto gli esiti statistici, dobbiamo considerare che, in Italia, l’ospedalizzazione è intorno al 4,5% dei contagiati rilevati. Se consideriamo 180 persone, come nello studio, i ricoverati totali avrebbero dovuto, in media, essere 8.

Nell’esperimento in esame sono stati 16, il che è anche possibile proprio perché il campione è troppo piccolo per assicurare una media corretta. Nonostante questo, guarda caso, se si fa la media tra i ricoveri nei due gruppi (appunto 2 + 14) e la si divide per due, il risultato è esattamente 8.

terapie domiciliari funzionano

Peraltro, lo stesso studio afferma che la guarigione post ricovero dei soggetti del gruppo al quale hanno somministrato la terapia domiciliare è risultata più lunga di 4 giorni rispetto a quella del gruppo di controllo, il che dovrebbe significare che la terapia domiciliare allunga il ricovero rispetto a chi non ha preso nulla. Quasi a dire che, se sei a rischio ricovero – magari perché categoria a rischio – ti conviene evitare la terapia domiciliare. Un dato abbastanza insolito, direi.

Anche in questo caso, è però un dato non rilevante, perché simile risultato è certamente dovuto all’esiguità del campione statistico. Ma è proprio per questa assurdità statistica che lo studio non può ragionevolmente essere preso in considerazione.

La statistica in base all’Intention to Treat

Un’altra cosa importante, che mi ha lasciato molto perplesso dello studio in questione, è il fatto che si specifichi all’inizio dello studio che l’esperimento è stato condotto secondo le regole dell’Intention to Treat. Cos’è? Non sapendolo, sono andato a verificare.

Come potete leggere dalla pagina Wikipedia che ne spiega i principi, questo tipo di esperimento assume i dati a prescindere dall’effettivo trattamento, cioè tiene conto, nel fare le statistiche, anche dei soggetti che, pur avendo partecipato all’esperimento, poi lo hanno abbandonato prima della fine, e sui quali quindi non abbiamo più i dati.

Non mi pare, a mio modesto parere, un sistema valido dal punto di vista statistico, soprattutto in un esperimento fatto appena su 180 persone: basterebbe infatti, come spiega la stessa pagina Wikipedia nella sezione “issues“, che appena 12 dei soggetti del gruppo raccomandato siano finiti all’ospedale ma abbiano per qualche ragione abbandonato l’esperimento per falsare totalmente la statistica, dato che, se fossero stati considerati, l’ospedalizzazione sarebbe stata identica a quella del gruppo di controllo. E 12 soggetti, in un esperimento del genere, non sono poi così tanti. Più banalmente, basterebbe che buona parte dei pazienti del gruppo raccomandato poi declinasse dall’esperimento poco dopo aver iniziato per sballare totalmente il rapporto di dati tra i due gruppi.

Terapia domiciliare e vaccino: soluzioni alternative?

In ultimo, mi preme ancora considerare, alla luce di questo studio, le affermazioni di chi, sostenendo che le terapie domiciliari funzionano, concludano che allora il vaccino non sia più necessario. Ne siamo sicuri?

terapia domicliare funziona

Consideriamo che, come dice lo stesso articolo che spiega lo studio, l’algoritmo delle cure domiciliari analizzate preveda un costante intervento giornaliero del medico di base per monitorare dati, dosaggi e situazione in generale.

Senza un vaccino che possa fornire una copertura immunitaria capace di abbattere i contagi, dobbiamo aspettarci che, per raggiungere la soglia di gregge, e quindi fermare i contagi, è necessario raggiungere il 70% della popolazione (80% con la variante delta, che come già spiegato è decisamente più contagiosa e quindi la percentuale di immunità si alza, come avevo spiegato in questo articolo).

Quindi: su 60 milioni di italiani devono infettarsene (in breve tempo perché non utilizzeremmo alcuna misura per rallentare i contagi) circa 48 milioni.

I medici di base, quindi, si troverebbero a dover gestire, quotidianamente, migliaia di pazienti alla volta, tutti insieme. Certo, aiuterebbe ad alleggerire il sistema sanitario: ma sarebbe davvero gestibile?

Posto che, in ogni caso, l’impatto sul sistema sanitario sarebbe minimo anche al netto della validità statistica dei dati proposti, dato che mi chiedo quale ospedale decide di ricoverarti quando hai dei sintomi lievi come un po’ di febbre e la tosse… Avrebbe senso, secondo me, se le terapie domiciliari funzionassero davvero e in maniera risolutiva, ma non mi pare proprio che tale studio dimostri questo.

Infine, ponendo anche che questi dati siano veritieri e che quindi la terapia domiciliare abbatta del 90% l’ospedalizzazione, senza l’aiuto del vaccino si tratterebbe comunque di quasi 250.000 ricoverati in pochi mesi, comunque troppi per il sistema sanitario.

Questo non significa che la terapia domiciliare non sia utile, ma che comunque non può prescindere dal supporto di una campagna vaccinale che abbatta la curva epidemica.

Conclusioni: le terapie domiciliari funzionano?

Tanto premesso, non mi pare di poter dire che questo studio, così fatto e soprattutto unico nel suo genere ad oggi, sia in grado da solo di dimostrare che le terapie domiciliari funzionano. Il che non significa abbandonare il progetto delle terapie domiciliari o sancire definitivamente che esse non funzionano, ma che per capirlo servono studi seri, su campioni più grandi, con peer review e non in “Intention of Treat“, per avere dei dati certi e davvero utilizzabili.

Proprio perché la terapia domiciliare può essere molto utile, mi chiedo perché chi la sostiene non si prodighi in tal senso e invece produca studi fuorvianti che non fanno altro che creare maggiore confusione rispetto a quella che, purtroppo, già c’è.

Confido dunque nei prossimi studi, perché questo non dimostra affatto che le terapie domiciliari funzionano. Nell’attesa, continuo ad esigere il mio credito di 50 mila euro…

P.T.