In questi giorni, l’avv. Sandri ha pubblicato su suoi canali un’intervista nella quale sostiene che il TAR Milano ha dichiarato illegittimo il licenziamento degli OSS che hanno scelto di non vaccinarsi. Una “sentenza epocale”, come da lui definita, resa alla fine di una causa gestita da lui stesso.

Ci ho messo un po’ a trovare la sentenza per poterla analizzare perché l’avv. Sandri non ha fornito alcun riferimento né alcun link dove poterla scaricare e leggere. Ora che, grazie ad alcuni di voi, sono riuscito a trovarla, credo di aver capito il perché…

il TAR Milano ha dichiarato illegittimo il licenziamento degli OSS

Prima di analizzare la sentenza, che trovate a questo link, mi preme anzitutto partire dalle parole dello stesso avv. Sandri, che afferma appunto che il TAR Milano ha dichiarato illegittimo il licenziamento degli OSS che non si vaccinano, per dimostrarvi che non una singola parola delle sue affermazioni corrisponde al vero.

L’avv. Sandri ha dichiarato espressamente che:

“con questa sentenza epocale, chi sospende o licenzia dovrà rimborsare tutti gli stipendi arretrati con gli interessi più il risarcimento danni per stress emotivo avendo avuto ripercussioni psicofisiche e se il dipendente è stato costretto a sottoporsi alla vaccinazione per mantenere il posto di lavoro, ci saranno danni sostanziali che dovrà pagare il datore di lavoro”

Avv. Mauro Sandri

Cominciamo dal primo punto: innanzitutto la sentenza non è del TAR, come molti canali hanno riportato, ma del Tribunale Civile di Milano, Sezione Lavoro. Diamo comunque atto che l’errore non è dell’avv. Sandri ma delle pagine che hanno fatto da eco alla notizia (cosa che già dimostra quanto tali pagine abbiano davvero verificato la fonte…).

A parte questo, entriamo nel merito e verifichiamo cosa la sentenza dica veramente.

Il vero contenuto della sentenza

In primo luogo, il fatto non parla di alcun licenziamento: la ricorrente, dipendente di una RSA, era infatti stata messa in aspettativa non retribuita perché aveva rifiutato di sottoporsi al vaccino Covid.

La sospensione del lavoratore sottoposto all’obbligo vaccinale è assolutamente legittima per il nostro ordinamento e lo afferma la stessa sentenza: infatti per questi casi, oltre alla specifica normativa Covid (d.l. 1 aprile 2021, n. 44, convertito con modificazioni in legge 28 maggio 2021, n. 76), che prevede espressamente tale ipotesi, viene in rilievo anche

“l’istituto della sopravvenuta impossibilità della prestazione (artt. 1463 e 1464 c.c.), risultando il lavoratore in ambito sociosanitario, che rifiuti di sottoporsi alla vaccinazione, temporaneamente inidoneo, in quanto potenziale maggior veicolo di diffusione del contagio, allo svolgimento della prestazione tipica, prevedente il contatto con soggetti fragili, potenzialmente attingibili dalle gravi o fatali conseguenze della patologia da Covid-19, sino alla sottoposizione ad un ciclo vaccinale completo o, alternativamente, alla cessazione dell’emergenza epidemiologica”

Il problema, secondo il Tribunale, non è che la sospensione non sia consentita, ma che quando si procede con la sospensione del lavoratore,

“rappresentando la sospensione del lavoratore senza retribuzione l’extrema ratio, vi è un preciso onere del datore di lavoro di verificare l’esistenza in azienda di posizioni lavorative alternative, astrattamente assegnabili al lavoratore, atte a preservare la condizione occupazionale e retributiva, da un lato, e compatibili, dall’altro, con la tutela della salubrità dell’ambiente di lavoro, in quanto non prevedenti contatti interpersonali con soggetti fragili o comportanti, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”

Pertanto,

“L’onere probatorio che grava sul datore di lavoro in caso di sospensione del rapporto per impossibilità temporanea della prestazione è, dunque, analogo a quello previsto per il caso di licenziamento per impossibilità definitiva della prestazione (i.e. impossibilità del c.d. repechage)”

Tuttavia,

“L’onere di repechage non risulta nel caso di specie adeguatamente assolto dalla Cooperativa resistente. Il provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita a carico della XXXXX non considera, in alcun modo, l’eventualità che la stessa potesse essere distolta dalle mansioni di operatrice ASA ed adibita a mansioni, anche inferiori, compatibili con la tutela della salubrità dell’ambiente e della sicurezza degli ospiti della struttura”

Insomma: per poter sospendere il lavoratore non vaccinato dal lavoro, è necessario che il datore di lavoro fornisca prova specifica che il lavoratore non possa essere demansionato o non gli possa essere affidata un’altra mansione che non comporti il contatto stretto con i pazienti, onde evitare di perdere la retribuzione. Nel caso in specie, il datore di lavoro non lo ha fatto, quindi la sospensione, che in generale è consentita dalla legge, nel caso in specie risulta illegittima in quanto non adeguatamente motivata.

Quindi: leggete da qualche parte che il TAR Milano ha dichiarato illegittimo il licenziamento degli OSS che non si vaccinano? No. Nessun divieto di licenziamento, dunque, né alcun diritto al risarcimento di danni psicologici derivati dall’obbligo di sottoporsi la vaccino; tutte cose di cui non esiste traccia nella sentenza. Semplicemente, la struttura deve pagare le mensilità non pagate perché la sospensione non era adeguatamente motivata, in quanto la dipendente ben poteva essere affidata ad un’altra mansione che non comportasse il contatto stretto coi pazienti della struttura.

Non solo. La sentenza prosegue e chiarisce che non sussiste comunque alcun obbligo per il datore di lavoro di riammettere la lavoratrice sul suo originario posto di lavoro; anzi:

“L’accertata illegittimità del provvedimento non può, tuttavia, in alcun modo condurre alla riammissione in servizio della XXXXX per lo svolgimento delle mansioni di ASA innanzi svolte, in conformità alla richiesta della difesa di parte ricorrente. È fatto incontestato che la stessa non abbia, alla data della decisione, ancora aderito alla campagna vaccinale, incorrendo nella preclusione normativa di cui all’art. 4 comma 1 d.l. cit. che accompagna l’introduzione dell’obbligo vaccinale, per determinate categorie di lavoratori, alla previsione secondo cui “la vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati”

Quindi, la sentenza conferma al contrario che la legge espressamente consente al datore di lavoro di allontanare dalla mansione l’operatore sanitario che rifiuta il vaccino, per scongiurare i rischi di contagio verso i pazienti. Infatti, non impone al datore di lavoro di reintegrare la dipendente, ma anzi rigetta la relativa richiesta formulata dall’avv. Sandri.

Il colpo di genio dell’avv. Sandri

Infine, mi preme analizzare l’ultimo punto della sentenza, che trovo estremamente esilarante perché qui c’è davvero del genio. Immagino che molti di voi, nel leggere la sentenza, non l’abbiano colto, quindi ve lo spiego io.

Come leggete nella sentenza, il Tribunale ha respinto la richiesta dell’avv. Sandri di condannare controparte ex art. 96 cpc. Cos’è? Trattasi della cosiddetta “lite temeraria“, ossia la previsione si una sorta di “multa” per chi apre una causa in modo del tutto pretestuoso, sapendo perfettamente di essere nel torto, o si difende usando prove e argomenti palesemente falsi: punisce insomma chi agisca in giudizio in malafede, al solo scopo di far perdere tempo ai giudici.

Lo trovo esilarante perché, come dice lo stesso Tribunale:

Risulta, difatti, incompatibilità, sotto il profilo logico giuridico, tra la formulazione di tale domanda nel ricorso introduttivo ed il presupposto della resistenza in giudizio in mala fede posto che, all’atto del dispiegamento della domanda giudiziale, le modalità ed i contenuti della resistenza del convenuto non possono essere conosciuti all’attore.

Insomma, il Tribunale dice all’avv. Sandri: sei tu che hai fatto causa a loro, e loro hanno tutto il diritto di difendersi; non ha quindi alcun senso minacciare preventivamente la controparte di lite temeraria per il semplice fatto che tenterà – ovviamente – di difendersi in giudizio. Di più: pretendere una condanna per la malafede della controparte già nel ricorso introduttivo, ossia prima ancora di sapere come la controparte si difenderà e cosa scriverà nel suo atto, non ha alcun senso logico prima che giuridico…

Comunque, devo ammettere che la richiesta di condanna per “lite temeraria preventiva” è una genialata, d’ora in poi la userò anche io (ti cito in giudizio per il motivo “x” e segnalo che se ti azzardi a difenderti sei sicuramente in malafede quindi vai condannato… Perché non ci ho mai pensato prima!).

Il TAR Milano ha dichiarato illegittimo il licenziamento degli OSS che non si vaccinano?

In definitiva: il TAR Milano ha dichiarato illegittimo il licenziamento degli OSS che non si vaccinano? Assolutamente no: intanto perché non è il TAR, ma soprattutto perché la sentenza conferma al contrario il diritto di sospensione dell’operatore sanitario che non si vaccina, purché il datore di lavoro dimostri adeguatamente che l’operatore non può essere adibito ad altra mansione. Ma se questa altra mansione esiste, il datore di lavoro deve demansionarlo, perché per legge non può stare a contatto coi malati o coi soggetti a rischio. Infatti, la sentenza al contrario rigetta la richiesta di reintegra del lavoratore, in quanto contraria alla legge, e concede al più il pagamento delle mensilità non retribuite.

L’esatto contrario di ciò che sostiene l’avv. Sandri.

Del resto, tale impostazione è ormai stata confermata da numerose sentenze, dalla CEDU al TAR Lazio, fino al TAR Sardegna – a breve un articolo – e al TAR del Friuli.

E anche questa volta, la dittatura sanitaria la svelate domani…

P.T.