Socrate diceva che se alla fine di una discussione i due interlocutori non hanno cambiato di una virgola il loro pensiero, quella discussione è stata completamente inutile.
La sua affermazione sembra una premonizione di quello che accade al giorno d’oggi: nessuno discute più per capire, ma solo per affermare le proprie ragioni.
Fateci caso: quando c’è da interpretare un avvenimento si creano subito due correnti di pensiero opposte e di conseguenza due “etichette” sotto le quali ci obbligano a rientrare.
Si parla di immigrazione? Devi scegliere: o la difendi ad ogni costo, e allora sei un “buonista del PD“, o la combatti come se fosse il male assoluto, e allora sei un “fascista razzista“.
Non c’e’ possibilità di intraprendere una via di mezzo, fuori da queste etichette; se dici “ma l’immigrazione ha anche aspetti positivi” sei per forza un buonista; se dici “comunque l’immigrazione crea anche dei problemi” sei per forza un razzista.
La conseguenza è che non ci interessa più sapere come siano andati i fatti, ci interessa solo trovare le argomentazioni che confermino la nostra idea di base per difenderla e diffonderla a prescindere.
In questo modo, finiamo per prendere per vero, per seguire e per ascoltare solo le voci che confermano il nostro pensiero, tacciando automaticamente di falso qualunque argomento contrario. Senza fare le dovute verifiche, ma usando come unico criterio quello di capire se quell’argomento conferma o meno la nostra idea.
Questa distorsione cognitiva è definita in psicologia “bias di conferma” ed è uno dei maggiori problemi della società dell’informazione contemporanea.
L’esempio del Sindaco di Riace è stata solo la più recente prova di ciò. Arrestano un soggetto pro immigrati e inizia la battaglia: chi è contrario all’immigrazione parte subito con le accuse di favoreggiamento, di finto buonismo e di aiuto agli scafisti e alla mafia; chi invece è favorevole, parte subito con manifestazioni di protesta, paventando un nuovo regime fascista che elimina le opinioni contrarie e inneggiando alla “disobbedienza civile”.
Ma in tutto questo, nessuno di loro, da una parte e dall’altra, ha verificato cosa sia davvero successo, perché a nessuno interessa davvero capirlo: a tutti interessa solo avere ragione e allo scopo ognuno si fa scudo di tutte le affermazioni e le opinioni simili alla sua, poco importa se fondate su prove ed argomentazioni valide o meno.
Questo è il principale fattore che porta all’incapacità della gente comune di verificare le fonti: e questo non soltanto per una endemica “ignoranza dei mezzi” per poterlo fare, ma per un vero e proprio disinteresse nel farlo.
Nessuno vuole verificare le fonti, nessuno vuole sapere la verità, per un motivo principale: perché questo rende necessario accettare il rischio di riconoscere di avere torto e dover cambiare idea, un’ipotesi vista come un vero e proprio spauracchio da rifuggire come la peste, come se ammettere di aver sbagliato fosse sinonimo di stupidità o di resa.
Al giorno d’oggi il problema non sta tanto nel fatto che la gente non sia capace di verificare le fonti, ma nel fatto che sia disinteressata a farlo.
E invece, sono proprio gli stupidi quelli che non cambiano mai idea e si arroccano piuttosto sulle loro posizioni, tappandosi occhi e orecchie.
Finché non arriviamo a capire questo, non possiamo definirci un “Paese civile”.
P.T.