La scorsa settimana ho scritto sulla mia pagina Facebook un post su Dubai. Al di là del fatto che è stato totalmente male interpretato dal 90% delle persone che hanno commentato, quel post mi ha dato lo spunto per affrontare 2 questioni insieme: il ruolo del bias di conferma – tema centrale di questo blog – e la tematica della violazione dei diritti umani – tema centrale del mio Master alla SIOI.

Che collegamento c’è tra le due cose? Il collegamento me lo avete suggerito voi nei vostri commenti, dimostrando le modalità di approccio del cervello nel tentativo di dimostrare una tesi.

Quel che molti di voi hanno fatto, infatti, è stato produrre, a supporto della tesi per cui gli Emirati Arabi Uniti non sono un Paese sicuro e bello come da me descritto – benché non fosse affatto quello il significato del mio post – un rapporto di Amnesty International dal quale si evincono alcune violazioni dei diritti umani nel Paese.

Le modalità di ricerca di informazioni del bias di conferma

So bene ciò che avete fatto: partendo dal presupposto che gli EAU fossero un Paese barbaro e arretrato, e che sicuramente avevate sentito parlare di violazioni di diritti umani nel Paese, siete andati su Google, avete scritto “Emirati Arabi violazione diritti umani“, e vi è uscito il rapporto che avete linkato. Giusto?

Bene. Questo approccio è condizionato dal pregiudizio di conferma, che vi ha portato a giudicare l’intera questione alla luce della vostra convinzione iniziale, operando una selezione di informazioni senza uno sguardo di insieme; anzi, usando una sola prova come onnicomprensiva e sufficiente a suffragare la vostra teoria.

Attenzione: non sto dicendo che quel report sia falso, né che quelle violazioni non esistano o che esista un complotto per screditare gli EAU. Come detto, è una questione di metodo.

Avete infatti provato a cercare “violazione di diritti umani” aggiungendo il nome di un altro Paese, uno qualsiasi, anche “Italia”? Se lo aveste fatto, avreste scoperto una cosa molto interessante, che rende il rapporto degli EAU del tutto non indicativo per dimostrare la vostra tesi. E qui veniamo al secondo argomento.

Quali Paesi violano i diritti umani?

paesi violano diritti umani

Piccola premessa: Amnesty International non è un’istituzione pubblica nè un’autorità politica e/o giudiziaria; essa è una Organizzazione Non Governativa (ONG) che si occupa di tutela dei diritti umani; per farlo, sfrutta le diverse strutture discolate in giro per il mondo per raccogliere informazioni dal territorio o attraverso i media locali su presunte o palesi violazioni dei diritti umani. Così facendo, ogni anno raccoglie quelle informazioni in dei rapporti dedicati ai singoli Paesi.

Questo significa che Amnesty International ha un rapporto praticamente per qualunque Stato del mondo. In particolare – lo potete verificare sul loro sito – Amnesty International nel 2017-2018 ha riscontrato violazioni più o meno gravi dei diritti umani nei seguenti Paesi:

  • Per l’Europa e l’Asia Centrale

Albania Armenia Austria Azerbaigian Belgio Bielorussia Bosnia ed Erzegovina Bulgaria Cipro Croazia Danimarca Estonia Finlandia Francia Georgia Germania Grecia Irlanda Italia Kazakistan Kirghizistan Lettonia Lituania Macedonia Malta Moldova Montenegro Norvegia Paesi Bassi Polonia Portogallo Regno Unito Repubblica Ceca Romania Russia Serbia Slovacchia Slovenia Spagna Svezia Svizzera Tagikistan Turchia Turkmenistan Ucraina Ungheria Uzbekistan

  • Per le Americhe:

Argentina Bolivia Brasile Canada Cile Colombia Cuba Repubblica Dominicana Ecuador El Salvador Giamaica Guatemala Haiti Honduras Messico Nicaragua Paraguay Perù Portorico Stati Uniti d’America Uruguay Venezuela

  • Per l’Asia:

Australia Bangladesh Brunei Darussalam Cambogia Cina Corea del Nord Corea del Sud Figi Filippine Giappone India Indonesia Laos Maldive Malesia Mongolia Myanmar Nauru Nepal Nuova Zelanda Pakistan Papua Nuova Guinea Singapore Sri Lanka Taiwan Thailandia Timor Est Vietnam

  • Per l’Africa:

Angola Benin Botswana Burkina Faso Burundi Camerun Ciad Costa d’Avorio Eritrea Etiopia Gabon Gambia Ghana Guinea Guinea equatoriale Kenya Lesotho Liberia Madagascar Malawi Mali Mauritania Mozambico Namibia Niger Nigeria Repubblica Centrafricana Repubblica del Congo Repubblica democratica del Congo Ruanda Senegal Sierra Leone Somalia Sud Sudan Sudafrica Sudan Swaziland Tanzania Togo Uganda Zambia Zimbabwe

  • Per il Medio Oriente:

Afghanistan Algeria Arabia Saudita Bahrein Egitto Emirati Arabi Uniti Giordania Iran Iraq Israele e Territori Palestinesi Occupati Kuwait Libano Libia Marocco e Sahara Occidentale Oman Palestina Qatar Siria Tunisia Yemen

Dunque: vi sfido a trovare dei paesi che non violano i diritti umani…

Prove fuorvianti

Cosa intendevo precisare con questo? Che non ogni indizio fa una prova. Il criterio di verificare l’esistenza di violazioni di diritti umani per giudicare la vivibilità di un Paese è privo di qualunque valore probatorio. Tuttavia, esso basta al bias di conferma perché egli ha già la conclusione del ragionamento e quindi gli basta un qualunque elemento, anche se parziale e scollegato da suo contesto, per confermare quella conclusione. Questa metodologia è perciò nient’altro che l’approccio confermativo, ottenuto attraverso il riadattamento delle prove, che sta alla base dell’Antimetodo.

Del resto, vi siete appena resi conto che, se doveste decidere dove andare a vivere basandovi sui rapporti di Amnesty International, e quindi trovare dei paesi che non violano i diritti umani, la vostra unica opzione sarebbe Marte

Quel che intendo dire è che non basta prendere un link a casaccio dal web che confermi la vostra posizione per poter esprimere un giudizio critico e informato su qualcosa che non conoscete, perché questo approccio cozza con ogni più basilare metodologia logico/scientifica; la fonte va invece contestualizzata, analizzata e interpretata.

La violazione dei diritti umani in EAU

E allora facciamolo, già che ci siamo.

1. La libertà di espressione

Come potete riscontrare dal rapporto, i problemi principali degli EAU riguardano certamente la libertà di espressione. In effetti, i social sono controllati – quando ero lì non riuscivo a usare le chiamate Whatsapp, per poi scoprire che ciò accadeva in quanto il Governo non può tracciarle quindi le blocca… – e il codice penale prevede una legge molto ferrea in argomento. Questo si porta dietro evidenti problemi anche in ambito carcerario, poiché i “dissidenti del regime” subiscono un trattamento particolarmente vessatorio.

Questo dunque, è assolutamente vero: non bisogna però dimenticare che stiamo parlando di una dittatura, e che questa situazione si verifica sistematicamente in tutte le dittature del mondo, come elemento fondamentale della gestione di un regime. Il che non significa ovviamente giustificare l’accaduto, ma contestualizzarlo.

Del resto – per ricollegarmi al post di Facebook che avevo fatto e che ha scatenato questa diatriba – il mio riferimento era alla convivenza pacifica tra molte etnie e alla normalità con cui a Dubai si vive il multiculturalismo, e non certo alle condizioni di libertà di espressione che, in una dittatura, sono chiaramente compromesse ma che non hanno a che fare con il rapporto interpersonale tra i cittadini, bensì con il rapporto gerarchico tra Governo e sudditi.

2. I diritti delle donne

Il secondo aspetto del report riguarda i diritti delle donne. Anch’essi risultano compromessi in base alle informazioni assunte da Amnesty International, in particolare in tema di matrimonio, eredità e diritto di famiglia in generale. Da notare, però, come non si parli di discriminazione delle donne sul lavoro; questo accade essenzialmente perché gli EAU restano comunque un paese di matrice musulmana, che in tema di diritto di famiglia applica la Sharia, che si fonda su una generale convinzione dell’inferiorità della donna sull’uomo. Si tratta cioè di un problema che affligge tutti i sistemi giuridici musulmani.

C’è poi un altro aspetto da considerare: il rapporto riguarda in generale tutti gli EAU, che ricordo essere uno Stato federale composto da 7 emirati. Tra essi, vi sono emirati più evoluti ed altri più conservatori e vi si possono quindi riscontrare sensibili differenze da un emirato all’altro. La questione dei diritti delle donne assume cioè un significato diverso tra gli emiri conservatori e quelli più occidentalizzati, quali sono appunto quello di Abu Dhabi e soprattutto quello di Dubai, il quale risulta anzi molto progressista sul punto e nel quale la normativa continua incessantemente e velocemente ad adeguarsi sempre più agli standard occidentali. Le discriminazioni riscontrate da Amnesty International, infatti, riguardano episodi accaduti degli altri emirati, non a Dubai.

3. Le condizioni di lavoro

Veniamo all’ultimo punto del rapporto: il diritto del lavoro.

Il rapporto lamenta che durante il 2017 vi sono stati abusi e sfruttamenti sui lavoratori migranti, in particolare per l’impossibilità di svincolarsi dal rapporto di lavoro, dovuto al sistema degli “sponsor”. Tuttavia, lo stesso rapporto fa presente che, a partire da settembre del 2017, è stata emanata una legge che prevede una serie di diritti ai lavoratori, fino ad allora negati. In particolare:

La legge n. 10 del 2017 poneva un limite all’orario di lavoro e prevedeva un riposo settimanale e 30 giorni di ferie annuali retribuite, oltre che il diritto di trattenere i propri documenti personali. La legge sembrava mettere i lavoratori nella condizione di chiudere un contratto, in caso di violazione da parte del datore di lavoro di uno dei termini contrattuali, e stabiliva che eventuali controversie sarebbero state di competenza di tribunali specializzati oltre che delle corti di giustizia

Il report fa quindi presente che c’è stato un sensibile miglioramento della situazione, pur precisando che permangono ancora dei problemi quali l’esistenza di lacune legislative ancora da colmare e la generale riluttanza e paura dei migranti di adire le Corti contro i loro datori di lavoro, per timore di perdere il lavoro e il visto.

Quel che emerge dal rapporto, dunque, non è che i lavoratori migranti a Dubai siano “schiavizzati”, ma anzi che, come per le altre questioni, il Paese sta cercando progressivamente di adeguare i propri standard a quelli europei, al fine di continuare ad attirare lavoratori ed investimenti. Nonostante, si ricorda, gli EAU siano a tutti gli effetti una dittatura.

Insomma, per concludere, il rapporto fa emergere sicuramente delle criticità, ma il fatto di poter annoverare gli EAU tra i Paesi che violano i diritti umani non ci dice assolutamente nulla di significativo su quel Paese, dal momento che violazioni del genere, più o meno gravi, si riscontrano tranquillamente anche in tutti i Paesi più civilizzati del mondo.

Non cercate solo informazioni a senso unico

Insomma, con questo articolo sui Paesi che violano i diritti umani volevo solo dimostrare che travisare le questioni a causa del bias di conferma è molto più semplice di quanto qualcuno possa pensare; la semplice esistenza di una prova che sia in linea col vostro pregiudizio non rende automaticamente valido il vostro pregiudizio (anche se il vostro cervello avrà la forte tendenza a convincervi che sia così); non dimenticate mai che le prove vanno approfondite, controverificate e contestualizzate; che le questioni complesse hanno necessariamente una spiegazione complessa che non può essere liquidata con una ricerca su Google, usando il primo link che esce fuori; soprattutto, che non bisogna cadere nella tentazione di riadattare le prove che leggiamo al nostro pregiudizio, perché si finisce per storpiarne il significato.

Non è la conclusione del vostro ragionamento a costituire il criterio di valutazione delle prove; sono le prove a dover costituire il criterio di validazione del vostro pregiudizio.

Dovete quindi analizzarle come se il vostro pregiudizio non esistesse.

P.T.