Sono in diversi a pensare che siccome mi occupo di sbugiardare i vari complotti globali che imperversano nel web, io sia convinto che le cospirazioni non esistano e che gli umani non abbiamo mai complottato per nessun motivo.

Ovviamente, questo non è affatto quello che penso; anzi, la storia umana è piena zeppa di complotti di ogni tipo, che hanno avuto come protagonisti i più svariati personaggi, Stati, organizzazioni e potenze mondiali.

Quello che intendo spiegare con la mia attività di “debunker” non è farvi diffidare da ogni complotto, ma illustrarvi come tutti i complotti, in un modo o nell’altro, rispondono alle dinamiche che ho già avuto modo di analizzare nella mia rubrica sulla “logica dei troppi“; più il complotto è vasto, più persone coinvolge, più rischi si corrono, più sarà complesso da realizzare, più attori internazionali avranno interesse a svelarlo e di conseguenza, inevitabilmente, verrà svelato in breve tempo, come dimostra la formula di Grimes.

Per questo, ho pensato che raccontarvi un complotto realmente verificatosi potrebbe aiutarci a comprendere meglio simili dinamiche, e quindi capire come si struttura e che fine fa un vero complotto.

La crisi di Suez

Parleremo della “crisi di Suez“, un avvenimento conosciuto – ma non troppo – che rispecchia – ovviamente in negativo, essendo un complotto vero – molti dei principi che ho indicato nella logica dei troppi.

Siamo nel 1956 e in Egitto al Governo c’è Nasser, che ha da qualche anno rovesciato militarmente la monarchia di Re Faruq.

Nasser era filo sovietico e mal tollerava la presenza occidentale nel suo Paese; in particolare, mal tollerava il controllo che Regno Unito e Francia esercitavano ormai da tempo sul Canale di Suez, una via economica e strategica di importanza vitale per le dinamiche della Guerra Fredda e lo scontro tra capitalismo e comunismo.

L’Avvicinamento dell’Egitto all’egida comunista non era visto affatto di buon occhio da inglesi e francesi, che paventavano il rischio di perdere il controllo del canale.

La nazionalizzazione del canale di Suez

Un rischio sentito a ragion veduta, dal momento che, il 26 luglio 1956, Nasser annunciò a sorpresa la nazionalizzazione del canale di Suez, assumendo il controllo della Compagnia che lo gestiva.

la crisi di Suez

La scelta apriva prospettive preoccupanti per inglesi e francesi e per l’intero blocco occidentale, che vedeva realizzarsi il rischio che il controllo delle merci e dei guadagni derivati dalle tariffe doganali finisse nelle mani egiziane e, di riflesso, in quelle sovietiche.

Urgeva pertanto trovare una soluzione drastica, immediata e che fosse capace di ristabilire lo status quo; una soluzione che però apparisse “legittima” agli occhi della comunità internazionale e che giustificasse un intervento armato occidentale altrimenti illegittimo, finendo per screditare le potenze europee sul piano internazionale. Insomma: bisognava inscenare un complotto.

Il complotto per riconquistare il canale

Il piano fu elaborato a Servés – luogo che diede il nome al celebre Protocollo – e coinvolse Regno Unito, Francia e Israele.

L’accordo era abbastanza semplice e, almeno sulla carta, ben congegnato.

In sostanza, secondo l’accordo che aprirà la crisi di Suez Israele avrebbe dovuto inscenare un’invasione del Sinai con il suo esercito, avanzando nel deserto proprio verso il Canale. Di fronte all’attacco, Nasser avrebbe presumibilmente mosso le sue truppe per difendere la penisola del Sinai e avrebbe risposto al fuoco israeliano.

Così, di fronte all’apertura delle ostilità, i Paesi occidentali, che ancora godevano del mandato internazionale per la gestione della zona, avrebbero avuto la “scusa” per intervenire, allo scopo dichiarato di separare i contendenti in attesa di un armistizio. Ma in realtà, il vero scopo sarebbe stato quello di cogliere l’occasione per spostare la flotta verso il canale ed occuparlo militarmente.

Il fallimento del piano

la crisi di Suez

All’inizio di novembre di quello stesso anno, la crisi di Suez era ufficialmente aperta.

Tuttavia, Nasser mangiò subito la foglia, data la stranezza di un attacco senza preavviso e dell’immediato intervento occidentale; era quasi come se britannici e francesi fossero già “preparati” a muoversi e quindi sapessero in anticipo dell’attacco. Pertanto, Nasser si comportò in modo diverso da quello previsto: evitò di muovere le sue truppe nella penisola del Sinai per andare incontro all’esercito Israeliano, ed anzi spostò tutte le sue truppe proprio all’altezza del canale, arroccandosi al di qua del Sinai e ordinando ai suoi uomini di non sparare un solo colpo ma di attendere inermi l’avanzata nemica.

Insomma, in questo modo si assicurava che gli occidentali non avessero alcuna ragione per intervenire contro l’Egitto, ma piuttosto contro Israele, che frattanto stava avanzando in territorio nemico senza autorizzazione.

la crisi di Suez

In realtà, i veri propositi di Regno Unito e Francia emersero in modo evidente sin dai primi istanti. Infatti, mentre i carri armati israeliani avanzavano indisturbati e gli uomini di Nasser restavano immobili, gli occidentali iniziavano a bombardare gli avamposti egiziani sul canale – per aprirsi la strada per l’occupazione da parte della flotta – ignorando del tutto le forze israeliane che intanto macinavano chilometri.

Così, senza alcuna ragione giustificatrice, inglesi e francesi occuparono il canale di Suez.

L’intervento sovietico

A quanto pare, però, Nasser non era stato l’unico a mangiare la foglia.

la crisi di Suez

Dopo appena qualche giorno dall’inizio delle operazioni, anche i sovietici si resero conto del complotto in atto e intervennero nella questione senza mezzi termini; l’allora Presidente Crushev inviò infatti una comunicazione ufficiale ai governi inglesi e francesi, che senza tanti giri di parole diceva sostanzialmente:

“Avete 8 ore per ritirare le vostre truppe dal canale; scaduto il termine, senza ulteriori preavvisi le città di Parigi e Londra subiranno un attacco atomico”

Gli occidentali si videro così costretti a ritirarsi con la coda tra le gambe, facendo anche una pessima figura di fronte a tutta la Comunità Internazionale.

Il complotto, così ben congegnato e così segreto – neppure gli USA, principali alleati e interlocutori degli europei nella questione medio-orientale, erano stati avvertiti del protocollo in atto – era stato svelato in appena qualche giorno. La crisi di Suez era rientrata.

Crisi di Suez e logica dei troppi

Come potete constatare, l’episodio della crisi di Suez dimostra la validità di buona parte dei principi indicati nella “logica dei troppi“. Analizziamoli uno per uno.

1. Troppi soggetti coinvolti

A differenza dei complotti globali che imperversano sul web al giorno d’oggi, la crisi di Suez prendeva vita da un accordo segreto che coinvolgeva una manciata di persone, ossia i vertici delle autorità politiche e militari di tre Paesi: Regno Unito, Francia e Israele. Non era infatti necessario coinvolgere altri soggetti; per questo, simile complotto rispondeva ai dettami della formula di Grimes per poter restare nascosto per il tempo necessario.

Tuttavia, la notizia dell’accordo sarà inevitabilmente trapelata tra i comandi dei tre eserciti e di conseguenza tra alcuni dei soldati coinvolti, che potrebbero avere avuto delle soffiate da “amici più in alto” o esserci arrivati da soli analizzando la situazione. Magari, alcuni di loro ne avranno parlato con amici e familiari e così la notizia ha iniziato a diffondersi finché, altrettanto inevitabilmente, non sarebbe giunta alle orecchie di qualche filo sovietico, se non proprio di qualche addetto ai servizi segreti russi.

Questa circostanza dimostra come anche un complotto “ristretto”, che coinvolge un numero esiguo di persone, sia estremamente difficile da tenere nascosto, perché inevitabilmente le notizie trapelano e possono finire nelle “mani sbagliate”. Immaginate allora, se la crisi di Suez è stata svelata, quante probabilità ci siano che ad essere svelati siano complotti che coinvolgono intere categorie di addetti come il finto allunaggio, le scie chimiche o i vaccini contaminati, che possono arrivare anche a milioni di complici.

2. Troppo complessi/troppi rischi

Un altro elemento che emerge dal complotto in analisi è la sua estrema semplicità. Un complotto, per funzionare, deve infatti essere semplice e durare il minor tempo possibile, perché ogni singolo giorno che passa e ogni operazione in più aumenta esponenzialmente i rischi di fallimento, come quelli che la cospirazione sia svelata.

Infatti, i vertici dei tre Paesi non hanno elaborato una strategia decennale che comportava una serie innumerevole di passaggi, perché ben sapevano che si sarebbero complicati la vita; la soluzione prescelta è stata semplice e immediata: inscenare un’invasione e cogliere l’occasione per intervenire.

Nessuno dei complotti globali di cui si parla oggi ha queste caratteristiche.

Anzi, se volessimo fare un paragone, è come se la crisi di Suez si fosse strutturata in questo modo: poniamo che il canale fosse stato colpito da un violento terremoto che ne avesse danneggiato la struttura. A quel punto, il complottista potrebbe dire che il terremoto fosse stato creato ad arte con la tecnlogia HAARP da inglesi e francesi apposta per danneggiare il canale, così da rendere necessaria la manutenzione; così le aziende occidentali (corrompendo qua e là e sfruttando le loro conoscenze) sarebbero riuscite ad ottenere gli appalti della manutenzione e, dopo 5 anni di lavori, gli occidentali avrebbero di fatto riottenuto il controllo del canale.

Un’operazione del genere avrebbe comportato dei rischi pazzeschi senza alcuna reale garanzia di riuscita, e il dilungamento dei tempi avrebbe reso estremamente più probabile svelare la cospirazione. Ciò che dimostra che le operazioni relative a un complotto non possono durare per anni o decenni, come pretendono i lunacomplottisti, gli scichimicari e i terrapiattisti, ad esempio.

3. Troppi nemici

Un ulteriore aspetto da considerare sulla base di questo complotto è l’inevitabile esistenza di controforze e nemici che in ogni modo cercheranno di sbugiardare il tuo complotto.

In geopolitica la supremazia sul nemico è una condizione essenziale, ed è dunque impensabile che il tuo più acerrimo avversario – soprattutto se potente come lo era l’URSS in quel periodo – non si attivi per ostacolarti.

Il controllo del Canale di Suez aveva un’importanza strategica, oltre che economica, di proporzioni pazzesche; dunque, mai i sovietici avrebbero accettato una simile azione militare occidentale senza battere ciglio. E infatti, come visto sono bastati alcuni giorni per vedere la rappresaglia, che peraltro non è stata affatto blanda, avendo Crushev minacciato addirittura l’uso di armi atomiche.

Un complotto di proporzioni epiche, volto a sterminare popolazioni intere (vedi scie chimiche e vaccini) o a consolidare la propria supremazia sul nemico (vedi l’allunaggio) non avrebbe dunque alcuna speranza di restare nascosto, perché i tuoi nemici si attiveranno immediatamente per fermarti, come la storia stessa dimostra.

4. Troppi errori

In ultimo, preme ancora precisare un altro aspetto importante: più un complotto è complesso, più probabilità ci sono di commettere errori che sveleranno il piano.

Ancora una volta, la crisi di Suez ne è l’esempio più chiaro; nella foga di riuscire ad ottenere il controllo del canale, infatti, gli occidentali non hanno badato ai dettagli ed hanno sottovalutato la possibile reazione russa; così facendo non si sono curati del fatto che il loro comportamento poteva apparire troppo scellerato e partigiano per non far sorgere nel nemico qualche dubbio sull’autenticità dell’intervento.

Infatti, la scelta di bombardare sistematicamente gli avamposti egiziani – che non stavano facendo nulla – ignorando l’avanzata dei tank israeliani che stavano di fatto invadendo il loro paese confinante, non è stata una scelta saggia da parte di inglesi e francesi, perché ha fornito ai sovietici la prova “definitiva” che quella fosse tutta una messa in scena.

Anche per un complotto apparentemente più facile rispetto a quelli tanto in voga oggi, è bastato un piccolo errore di valutazione ed una scarsa attenzione ai dettagli per farsi scoprire immediatamente e convincere il nemico ad adottare le contromisure necessarie.

Conclusioni

Insomma: l’esempio della crisi di Suez ci dimostra come i complotti, quelli veri, devono necessariamente rispettare determinati presupposti e requisiti se vogliono anche solo sperare di andare in porto. E nonostante questo, anche i piani apparentemente ben congegnati, immediati e semplici da realizzare sono perennemente sottoposti al rischio di essere svelati per via di un’innumerevole serie di variabili; talmente tante che è inevitabilmente impossibile riuscire a prevederle e gestirle tutte quante.

E se questo è accaduto per la crisi di Suez, figuriamoci se non sarebbe accaduto per falso allunaggio, terra piatta, scie chimiche o vaccini contaminati.

P.T.