In questi giorni si parla molto del rischio di un nuovo lockdown. Chiaramente, emergono anche le solite polemiche sulla dittatura sanitaria, sul terrorismo mediatico per un virus che ormai non fa più paura a nessuno, sull’errata gestione del problema da parte delle autorità italiane.

Nell’articolo di oggi quello che vorrei fare è riuscire a mettere un punto fermo sulla questione, riassumendo quelli che sono i termini della questione – che troppi continuano a non capire -, a valutare i dati e le statistiche e verificare concretamente l’operato degli italiani in vista di un possibile nuovo lockdown.

Covid: perché è pericoloso?

Cominciamo dalla questione principale: perché si fa tanto baccano per un virus con letalità bassissima, che colpisce principalmente gli anziani e che attualmente ospedalizza e uccide così poco? Perché tanto terrorismo, perché tanto allarme?

Pur avendolo già ribadito centinaia di volte – e non solo io, ovviamente – il problema è questo: il Covid è un virus a bassa letalità. Il problema di questo virus non è il fatto che uccida, bensì il fatto che si tratta di un virus molto contagioso che, essendo nuovo per l’uomo, il sistema immunitario fa estrema fatica a riconoscerlo e contrastarlo.

Questo, come detto, incide relativamente sulla mortalità, ma incide parecchio sulla curva epidemica. Rimandando a questo articolo per un approfondimento su questo essenziale aspetto – irrinunciabile se si vuole capire davvero la questione – in questa sede possiamo riassumere brevemente il problema così.

I virus hanno una propria capacità di contagio, che varia a seconda di numerosi fattori, espressa dall’epidemiologia con il cosiddetto fattore r0 o rt: un virus – come il Sars-Cov-2 – che ha una capacità media di contagio pari a 5, significa che per ogni persona che infetta riesce a contagiarne altre 5. Questo comporta che la crescita dell’epidemia sia esponenziale, ossia diventi sempre più veloce man mano che il tempo passa.

ESEMPIO: il paziente zero contagiato oggi, entro la settimana successiva avrà contagiato 5 persone. La seconda settimana quelle 5 persone ne contagiano 5 a testa, quindi 25. La terza settimana quei 25 ne contageranno 125, poi quei 125 altri 625, quei 625 ne contageranno 3.215, e così via.

Questo significa che il virus ci mette diverse settimane a raggiungere un numero ragguardevole di contagiati, ma da quando arriva a quel numero la crescita sarà sempre più esponenziale: se ci vogliono infatti almeno 5 settimane per raggiungere i mille contagi, ne basteranno solo altre due per far arrivare il numero a quasi ottantamila infetti.

Questo è il problema del Covid: al di là della letalità bassa, lasciar correre questo virus in una popolazione non immunizzata significa consentire il contagio di milioni di persone in poco tempo. Certamente, molti di loro saranno asintomatici, molti paucisintomatici e solo una piccola percentuale finirà in terapia intensiva o addirittura morirà. Ma si parla, appunto, di percentuali, che dipendono dal numero assoluto: è ovvio che se l’ospedalizzazione è del 20% e la letalità appena l’1%, su 100 infetti abbiamo solo 20 ricoverati e un morto; ma se gli infetti sono un milione i ricoverati saranno 200 mila e i morti 10 mila. Ed è esattamente questo che bisogna evitare, anche perché i morti potrebbero sensibilmente aumentare a causa del fatto che la capienza delle terapie intensive – che in Italia è di qualche migliaio di posti – renderebbe impossibile, in quei mesi, curare anche altri malati in maniera efficiente e tempestiva.

Come si evita la crescita esponenziale?

Come precisato nell’articolo che vi ho linkato più sopra – qui di nuovo – per evitare la crescita esponenziale è necessario abbassare l’rt della malattia. Come? Essenzialmente, riducendo il numero di persone che potrebbero essere infettate, perché questo renderebbe ancora più lungo il periodo necessario a raggiungere il picco dell’epidemia. Esistono almeno 3 modi per farlo:

  • immunizzazione naturale: avere un buon numero di soggetti con gli anticorpi per il virus, consente a questi di non prendere di nuovo il virus, facendo in modo che di quei “cinque” infettati dal paziente 0 solo 2 siano suscettibili al virus;
  • immunizzazione artificiale: ottenere quello stesso risultato attraverso un vaccino;
  • limitare la circolazione del virus con misure concrete, quali utilizzo di dpi, distanziamento sociale, divieto di assembramenti e in estrema ipotesi quarantena: se una persona in condizioni normali incontra 100 persone e ne infetta 5, se facciamo in modo che ne incontri solo 10 chiaramente non riuscirà a infettarne 5 ma magari solo 1, e questo abbasserebbe l’rt della malattia.

Bene: dal momento che il vaccino non esiste, abbiamo a disposizione solo la prima opzione e la terza.

Qual è il problema della prima opzione? Essenzialmente che per raggiungere un’immunizzazione sufficiente a fermare il picco epidemico – la cosiddetta “soglia di gregge” – serve un numero cospicuo di immunizzati, che dipende dall’rt della malattia (nel caso del Sars-Cov-2 è del 60%). Se raggiungere il 60% di immuni con un vaccino è molto più rapido (basta vaccinare in massa), raggiungerla con l’immunizzazione naturale è tutt’altro problema, perché è necessario lasciare circolare il virus per diverso tempo prima che 40 milioni di italiani lo prendano e sviluppino gli anticorpi. Oltretutto, per fare una cosa simile si dovrebbe passare per milioni di ospedalizzati e centinaia di migliaia di morti.

Infatti, come è risultato dall’indagine nazionale di sieroprevalenza fatta proprio al fine di stimare il numero di attuali infettati – trovate i risultati qui – pare che la percentuale media delle persone infettate sia intorno al 2,5%, con picchi al nord del 7,5% e numeri intorno all’1% al sud. Siamo quindi molto lontani dal 60% necessario, e solo per raggiungere il 2,5% abbiamo dovuto accettare 36 mila morti.

nuovo lockdown

L’unica opzione che ci resta è quindi la terza, ossia le misure di distanziamento sociale: misure che, badate bene, non hanno lo scopo – né potrebbero averlo – di debellare il virus: quello che con queste misure si cerca di fare è semplicemente rallentare il più possibile l’evoluzione dell’epidemia, al fine di impedire di raggiungere una quantità di infettati in uno stesso lasso di tempo che finisca per intasare le terapie intensive e aumentare il picco di morti. Lo scopo, insomma, è quello di spalmare milioni di contagi su un intero anno anziché concentrarli in qualche mese, così da riuscire ad affrontare l’epidemia in maniera efficace, non saturare il sistema sanitario ed eventualmente prendere più tempo per individuare una terapia efficace e infine un vaccino, che velocizzerebbe l’immunizzazione ponendo definitivamente fine alla curva epidemica.

Sulla base di queste considerazioni, possiamo ora rispondere alle principali obiezioni degli scettici.

Perché abbiamo fatto un lockdown a marzo?

Se bastavano queste misure, allora perché ci hanno chiuso in casa per 45 giorni? Il motivo è molto semplice: a marzo eravamo già nel pieno del picco epidemico, e non c’era più tempo di spalmare i contagi. Le terapie intensive erano stracolme, non eravamo in grado di tracciare i contagi, c’era difficoltà a reperire i tamponi e non si era minimamente affrontata la questione degli asintomatici. Non sapevamo che pesci pigliare, e per evitare una catastrofe abbiamo dovuto prendere misure drastiche. Chiuderci in casa e abbattere immediatamente l’rt, portandolo sotto il valore 1 e fermare così l’epidemia.

E ci siamo riusciti, infatti è stato possibile riaprire tutto – pur con le dovute cautele – e farci le vacanze tranquilli, perché il virus aveva arrestato la sua folle corsa.

Perché preoccuparsi ancora se i numeri non sono quelli di marzo?

Un’obiezione comune si basa poi sul fatto che, stando ai dati, il numero di nuovi contagiati di oggi è simile a quello di marzo, ma il numero delle terapie intensive è decisamente più basso, così come quello dei morti; questo dovrebbe significare che il virus è indebolito, che non fa gli stessi danni di prima e che quindi è molto più gestibile. Quindi perché tanto allarmismo? Perché ci costringono ancora a usare le mascherine?

Anche qui il motivo è molto semplice: come risulta proprio dall’indagine di sieroprevalenza citata più sopra, il punto è che i dati di marzo erano sbagliati. Proprio a causa del difficile approvvigionamento dei tamponi – qui un articolo di allora sul problema -, dell’indifferenza verso gli asintomatici e in generale della difficoltà di capire esattamente la situazione, il numero di contagiati rilevato nei giorni di marzo era fasullo, ossia parziale. In verità, quel numero doveva essere almeno 10 volte superiore.

In sostanza, quando a marzo si diceva “oggi mille nuovi contagi” in realtà i contagi erano almeno 10 mila. Ecco perché oggi ci sono meno terapie intensive e meno morti: non perché il virus sia indebolito, ma perché il virus è semplicemente più indietro sulla curva epidemica.

Del resto, ad oggi non abbiamo alcuna conferma sull’attenuazione della carica virale di Sars-Cov-2, e anche gli studi che hanno cercato di verificare questo aspetto – come quello citato dal Prof. Zangrillo mesi fa, lo trovate qui – in realtà concludono che non è accertata questa inferiore carica virale.

Perché usare ancora le misure di distanziamento e i dpi?

Di conseguenza, qualcuno potrebbe ancora obiettare: ma se siamo così lontani dalla situazione di marzo, perché tanto allarmismo? Perché costringerci ancora a usare le mascherine e il distanziamento?

Il motivo è in realtà già stato spiegato: fare in modo che l’rt della malattia continui a stare sotto l’1, o che comunque non salga eccessivamente sopra l’1.

Le misure prese in questi mesi, dati alla mano, hanno dimostrato ampiamente l’efficacia del lockdown e del distanziamento.

nuovo lockdown

Come potete vedere dal grafico, al 26 settembre l’Italia aveva 51 casi su 10.000 abitanti. In confronto, altri Paesi che hanno utilizzato misure più blande e che non hanno insistito sull’uso dei dpi come da noi presentano percentuali ben più alte della nostra: 92/10.000 la Svezia, 64/10.000 l’Inghilterra, 77/10.000 la Francia, 154/10.000 la Spagna, addirittura 222/10.000 in USA e 226/10.000 in Brasile. Il successo delle misure è quindi un’evidenza matematica.

Perché un nuovo lockdown?

E veniamo al punto finale. Se le cose stanno così, perché continuano a terrorizzarci con un possibile nuovo lockdown?

La verità è di nuovo semplice: come abbiamo visto, la curva epidemica cresce in modo esponenziale, quindi parte lenta e diventa sempre più rapida. Oggi, infatti, abbiamo circa mille casi rilevati al giorno, che come detto sono molti meno dei 10.000 circa di marzo. L’utilizzo dei dpi e delle misure di distanziamento, come possiamo vedere nel grafico qui sotto, stanno riuscendo a contenere l’rt del virus intorno a 1, lasciando cioè che l’epidemia cresca – è inevitabile – ma in modo lineare, non esponenziale.

nuovo lockdown

Se tuttavia smettessimo di adottare queste misure, l’rt della malattia tornerebbe a salire, perché abbiamo solo il 2,5% di immunizzati e non adotteremmo alcuna altra misura per evitare la ripresa della curva. In tal caso, possiamo ipotizzare che il virus tornerebbe a un fattore rt pari a 5, con la conseguenza che i 1000 casi giornalieri diventerebbero 5000 fra qualche settimana e poi 25.000 entro novembre. Se così fosse, a novembre saremmo ben oltre la situazione di marzo, e sarebbe necessario un nuovo lockdown.

Come evitare un nuovo lockdown

La conclusione di questo ragionamento è semplice: le misure che stiamo adottando funzionano, ma dobbiamo continuare ad usarle se vogliamo evitare di vanificare tutto. Il virus non è meno pericoloso di prima e non abbiamo ancora una immunizzazione sufficiente a garantire una qualche copertura di gregge. Se vogliamo evitare un nuovo lockdown, l’unica soluzione è continuare su questa strada, che sta dimostrando ottimi risultati, almeno fino a che non avremmo a disposizione uno strumento – un vaccino – che sia capace di fornirci un’immunizzazione di gregge senza dover correre i rischi della malattia e le conseguenze di un’altra ondata epidemica.

Sia chiaro che qui nessuno vuole un nuovo lockdown, tantomeno il Governo: chiudere di nuovo tutto per due mesi sarebbe un disastro economico che nessuna economia mondiale può permettersi, men che meno la nostra. Ma anche un nuovo picco epidemico sarebbe un disastro, sia sanitario che economico, perché milioni di persone a casa malate non producono, e vanno mantenute, e anche la spesa sanitaria schizzerebbe alle stelle per sostenere i reparti con uomini e mezzi.

Forse, i giornali e le tv fanno troppo “terrorismo”, come alcuni di voi obiettano: ma in certi casi è un terrorismo necessario, perché la stragrande maggioranza della gente si limita a guardare dati senza capirli, a fidarsi dei ciarlatani che lucrano sulla loro ignoranza, a ipotizzare complotti improbabili e a non capire come stiano veramente le cose. Quindi, a sottovalutare il problema.

Se la seconda ondata ci sarà o no, e se quindi ci sarà un nuovo lockdown, dipende solo da ognuno di noi.

P.T.

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