La differenza tra studi osservazionali e studi randomizzati è una questione molto importante per comprendere alcune delle incertezze che, in questo periodo, colpiscono le persone comuni, con particolare riguardo alla pandemia Covid e alle possibili terapie. Perché certe terapie, che alcuni studi stabiliscono essere efficaci, non vengono approvate? Cosa ci vogliono nascondere?

Ho pensato di chiarire la questione in questo articolo, parlando della differenza tra studi osservazionali e studi randomizzati; benché io non sia un divulgatore scientifico, come dico sempre – ad esempio nella mia “Guida al metodo scientifico” – il metodo usato dalla scienza non è altro che semplice logica. E sarà proprio affidandoci alla logica che spiegheremo la differenza tra studi osservazionali e studi randomizzati, e daremo così una spiegazione semplice del perché alcune terapie vengono approvate e altre no, nonostante vi siano studi che attestano l’efficacia anche di quelle che vengono rifiutate.

La birra cura il raffreddore?

Cominciamo con un esempio banale, che amo fare sempre. Voglio capire se per caso la birra abbia proprietà terapeutiche contro il raffreddore; per farlo, decido di fare un esperimento molto semplice: prendo 100 persone che si sono ammalate di raffreddore, e per 5 giorni di fila do loro una birra al giorno.

Alla fine dei 5 giorni, noto che 60 pazienti sono guariti e 40 no. Dal che, deduco che la birra ha un’efficacia terapeutica contro il raffreddore del 60%. Ecco: questo è uno studio “osservazionale” (somministro la sostanza e “osservo” cosa succede).

Sono certo che avrete tutti storto il naso, capendo da subito che ci sia qualcosa che non va. Tuttavia, il motivo per cui già ad un approccio superficiale avete compreso che nel mio esperimento c’è qualcosa di sbagliato deriva dal fatto che ho usato una sostanza – la birra – che è notorio non essere una medicina e che quindi è chiaro non abbia alcuna proprietà per curare il raffreddore, e questo crea in voi un preconcetto; però, se avessi usato come esempio “l’aspirina”, di certo molti di voi non ci avrebbero visto nulla di sbagliato nel modo in cui ho condotto lo studio, e lo avreste ritenuto un sistema plausibile per verificare l’efficacia di una medicina. Vero?

Invece, questo sistema è sbagliato a prescindere da quale sostanzia io stia verificando, e lo è per ragioni logiche semplici: ognuno di noi ha un suo sistema immunitario che cura le malattie, ognuno di noi può fare la malattia in modo più o meno grave, avere atre patologie che rendono più o meno difficile guarire, e potrebbero esserci altre concause non rilevate nell’esperimento che incidono sulla guarigione. Quindi, non basta dare una sostanza qualunque ai pazienti e vedere cosa succede, perché in fondo la gente di raffreddore bene o male guarisce già da sola in 5 giorni: come posso allora sapere se quei 100 pazienti sarebbero guariti lo stesso anche senza prendere nulla?

Come vedete, il problema di uno studio “osservazionale” sta nel metodo e non nella sostanza che scelgo di testare: che io somministri aspirina, birra o cioccolata calda, quel metodo non mi permetterà di stabilire davvero se i guariti siano davvero guariti per la sostanza che ho somministrato e non per qualunque altra ragione, come una guarigione spontanea.

E allora come fare?

Gli studi randomizzati e controllati

Affidiamoci di nuovo alla logica e, sulla base di quanto appena detto, formuliamo la premessa essenziale: la gente guarisce già di suo per il raffreddore, quindi lo studio che deve verificare l’efficacia del farmaco non deve limitarsi a vedere cosa succede alle persone alle quali lo somministro, e cioè limitarsi a valutare “quanti guariscono” in assoluto; devo invece cercare di capire “quanti guariscono rispetto alla media“, ossia se le persone che usano il farmaco guariscano di più di quelle che invece non lo usano.

Ecco allora cosa potrei fare: invece di prendere 100 raffreddati, ne prendo 200 e li divido in 2 gruppi: al primo do la birra, al secondo non do niente (un placebo o un omeopatico, che sono la stessa cosa).

A quel punto aspetto 5 giorni e verifico i risultati. Guardo innanzitutto nel gruppo del placebo (chiamato “gruppo di controllo“, proprio perché il suo scopo è capire quale sia la media dei guariti in condizioni standard, ossia senza assumere sostanze) e verifico che il 60% della gente è guarita. Passo poi al gruppo a cui ho dato la birra, e scopro che anche in quel gruppo a guarire è stato il 60% della gente.

Di conseguenza, la percentuale di guariti a seguito di somministrazione di birra è identica a quella di guariti senza aver preso niente. Ergo, la birra funziona tanto quanto il niente, ossia non funziona.

Questo metodo di esperimento è definito “randomizzato e controllato“: randomizzato perché le persone sono scelte e divise nei due gruppi assolutamente a caso (quindi a prescindere da età, malattie pregresse, abitudini, ecc…) e controllato perché, appunto, c’è un gruppo di controllo, con lo scopo di individuare la media normale dei guariti da paragonare a quella dei soggetti che hanno ricevuto la sostanza di cui sto sperimentando l’efficacia.

Potete ben capire, a questo punto, quale sia la differenza tra studi osservazionali e studi randomizzati e controllati, e perché i risultati dei secondi siano infinitamente più affidabili dei primi.

Come vedete, si tratta di pure e semplice logica e non serve scomodare grandi conoscenze in medicina.

Perché l’AIFA non autorizza l’idrossiclorochina?

Fatte le dovute spiegazioni, possiamo ora rispondere a una delle più frequenti domande sulle terapie Covid osteggiate dai “poteri forti”: come mai l’idrossiclorochina funziona, secondo centinaia di studi, nel 60% dei casi, ma nonostante questo non viene approvata dall’AIFA?

Perché quelle centinaia di studi sull’idrossiclorochina – ne avevo analizzati due qui – sono osservazionali, ossia si sono limitati a dare il farmaco a tot persone e vedere cosa accadeva.

Viceversa, tutti gli studi randomizzati e controllati sull’idrossiclorochina hanno al contrario rilevato che tra il gruppo di controllo e quello dell’idrossiclorochina la percentuale di guariti è pressoché identica. Quindi il farmaco funziona quanto un placebo. Perché, come visto, non basta dare la medicina a 100 persone e vedere che 60 guariscono per stabilire che l’idrossiclorochina è efficace.

Non solo: quegli stessi studi rilevano, spesso, anche la sopravvenienza di effetti collaterali con incidenza estremamente maggiore nel gruppo dell’idrossiclorochina rispetto al gruppo di controllo, il che significa che, oltre a non avere alcuna efficacia, è anche potenzialmente pericolosa.

Quindi l’AIFA non la approva, perché diffondere una cura che in base ai dati non funziona e fa pure male – magari sottraendo ai pazienti altre cure migliori – non è sta grande genialata. Non trovate?

P.T.