Liguori e il giornalismo sono due rette parallele che non si incontreranno mai.

Nella puntata di ieri di “Live non è la D’Urso” il direttore del TGCOM24 è tornato a parlare di virus di laboratorio sostenendo con forza la validità della sua tesi e vantandosi di essere stato il primo a parlarne nel mondo.

Mi sembra il caso di ripercorrere l’intera vicenda sin dall’inizio, per verificare sulla base di cosa Liguori sostenga la sua teoria, come l’abbia modificata ad arte nel tempo e in che modo abbia ignorato i principi deontologici che stanno alla base della sua professione.

La prima denuncia

Paolo Liguori ha tirato fuori questa teoria per la prima volta il 25 gennaio 2020. Nel servizio che trovate a questo link, Liguori afferma di avere “una fonte certa e attendibilissima” che gli avrebbe riferito che il virus sarebbe uscito da un laboratorio, quello di Wuhan, dove vengono svolti “esperimenti militari“. In base alla sua fonte, uno dei ricercatori sarebbe stato infettato e nessuno se ne sarebbe accorto.

Attenzione: come vedete Liguori non si limita a paventare questa ipotesi in maniera generale, dandone atto per dovere di cronaca ma precisando di non avere prove a sue mani, come dovrebbe fare. La sua affermazione è invece molto ben circostanziata, in quanto riferisce di un fatto preciso, ossia un ricercatore che è stato infettato.

Conviene qui precisare che il Codice deontologico dei giornalisti afferma che:

Liguori ha diffuso con la maggiore accuratezza possibile ogni dato o notizia di pubblico interesse secondo la verità sostanziale dei fatti? No.

E questo non solo perché non è dato sapersi chi questo informatore sia e che prove abbia a supporto della sua affermazione, che il direttore del TGCOM24 ha subito diffuso senza alcuna verifica sostanziale; di più, se andiamo a spulciare nel dettaglio scopriamo che, alla data del 25 gennaio, l’unica “fonte” ad aver affermato questa ipotesi è tale Danny Shoham, membro dei servizi segreti israeliani esperto in armi batteriologiche che, pur non essendo mai stato a Wuhan in vita sua, in un’intervista rilasciata al Washington Times – giornale complottista – e uscita il 26 gennaio (coincidenze?) sosterrebbe che a suo parere il virus sarebbe in realtà un’arma batteriologica cinese. La coincidenza delle date ci fa presumere che in realtà la notizia Liguori l’abbia presa proprio dall’intervista di Shoham.

Questa circostanza ci porta a due conclusioni:

  • la fonte in questione parla proprio di arma batteriologica, ossia di un virus assemblato in laboratorio per finalità militari (come del resto pare sostenere anche Liguori, che parla di quello di Wuhan come di un laboratorio di esperimenti militari);
  • la fonte in questione non parla assolutamente di un ricercatore del laboratorio infettato, ma paventa solo una sua ipotesi personale senza prove, il che significa che Liguori muove un’accusa sulla base di un fatto del tutto falso di cui infatti non vi è traccia da nessuna parte, senza aver svolto alcuna verifica sulla validità della fonte ed anzi modificandone il senso a suo piacimento per rendere il suo scoop più sensazionalistico.

Peraltro, è bene fare anche notare che Liguori ritiene “attendibilissima” la sua fonte sulla base del fatto che in un’altra circostanza avrebbe detto la verità – si riferisce al caso dell’aereo ucraino precipitato in Medio Oriente -; quindi, secondo Liguori il giornalismo si fa così: una fonte che una volta ha detto una cosa vera allora qualunque cosa dica è vero…

La prima smentita

Mentre la tesi del virus di laboratorio inizia a farsi strada, i ricercatori di tutto il mondo iniziano ad indagare sul genoma del virus per capirne la provenienza e, già il 17 marzo 2020, sulla rivista Nature esce la prima pubblicazione in merito – poi confermata da questo studio e quest’altro -, che attesta che il virus ha avuto un’evoluzione naturale e quindi non può essere stato creato in laboratorio per scopi militari.

A quel punto, il codice deontologico dei giornalisti richiederebbe che:

Liguori ha provveduto alla smentita? Assolutamente no, ed anzi ha rincarato la dose.

Il 17 aprile 2020, Liguori esce con un nuovo annuncio su Facebook – questo – in cui muove nuove accuse alla Cina, in barba a qualunque evidenza contraria. Anzi, se badate bene alle sue parole, egli dice espressamente “lo sappiamo, ne abbiamo le prove, ne siamo certi“. Ricordate bene queste parole e ricordate che Liguori è un giornalista sottoposto a un codice deontologico che gli impone di “diffondere con la maggiore accuratezza possibile ogni dato o notizia di pubblico interesse secondo la verità sostanziale dei fatti“.

Quali sono le sue prove? Le avevo già analizzate in questo post:

  • Lo dice Trump (peccato però che le indagini della CIA abbiano escluso l’ipotesi, come risulta da questo articolo);
  • Lo dice Macron (peccato però che i servizi segreti francesi abbiano escluso l’ipotesi, come racconta questo articolo);
  • Lo dicono altri paesi come Israele, il Canada e l’Australia (peccato che non esiste alcuna fonte che attesti queste affermazioni, a parte il Canada, che però ha escluso l’ipotesi come risulta da questo articolo);
  • Parla addirittura di un “testimone oculare” senza ovviamente poter dimostrare chi sia (salvo anche capire di cosa dovrebbe essere stato testimone…).

Quindi, di fatto Liguori, a fronte della smentita scientifica della sua tesi basata sul niente, anziché fare marcia indietro rafforza la sua convinzione diffondendo fatti e circostanze totalmente false, senza svolgere alcuna verifica sulle fonti (nonostante io ci abbia messo appena 10 minuti). Liguori e il giornalismo sono due rette parallele.

Riadattamento della tesi

E qui veniamo all’intervista di ieri rilasciata nel programma della D’Urso (qui il link).

Di fronte alle palesi smentite scientifiche della sua tesi, che dimostrano inconfutabilmente che il virus non è artificiale, quindi non può essere un’arma batteriologica in quanto la sua evoluzione è perfettamente naturale, ecco che Liguori modifica la sua tesi per girare intorno alle obiezioni fattuali che lo smentiscono: ricorre cioè alla fallacia logica detta “supplica speciale“, che consiste nel cercare di ottenere ragione inventando eccezioni o cambiando il senso della propria tesi iniziale.

Liguori, infatti, ora non sostiene più che il virus sia stato creato in laboratorio per scopi militari, ma dato che l’evidenza scientifica rende impossibile questa tesi, lui la modifica, e ora dice che il virus è un virus naturale, frutto di analisi di ricerca e non militari, fuggito però per errore dal laboratorio di Wuhan.

Questa forma di riadattamento, oltre ad essere il contrario di quello che Liguori e il giornalismo dovrebbero fare, equivale alla famosa metafora del Drago.

Sostengo che c’è un drago nel mio garage; tu vai in garage, accendi la luce e mi fai vedere che non c’è, e allora io dico che il drago è invisibile. Tu prendi un rilevatore di calore e mi mostri che non c’è nessun drago, allora io dico che il drago è magico ed è in grado di abbassare la sua temperatura corporea, ecc…

Insomma: con questo stratagemma, oltre a fare tutto tranne che giornalismo, avrò sempre ragione io, perché ogni volta che la mia tesi viene confutata io la modificherò in modo da superare la confutazione. Questo è Antimetodo allo stato puro, altro che giornalismo.

Ma non è finita. Vi ricordate il video del 17 aprile, in cui Liguori diceva espressamente di “avere le prove, di saperlo, di essere certo“? Ecco, di fronte alla D’Urso, magicamente, sembra non essere più così: afferma infatti espressamente che “la verità non la sapremo mai“, che lui “non ha prove, ma solo indizi ed è suo dovere diffonderli“. E le prove? E i testimoni oculari? E la fonte attendibilissima? Spariti nel nulla?

Liguori non ha alcun dovere di diffondere indizi non verificati, ma ha bensì il dovere, e la decenza, di far uscire una smentita rispetto alla sua ipotesi iniziale, essendo la stessa basata su fonti che non ha mai verificato, essendo la stessa stata smentita dalla scienza e consistendo la stessa in una precisa accusa verso il governo cinese, nonostante il suo codice deontologico gli imponga, tra le altre cose, di:

Lodevoli poi le argomentazioni da “arrampicata olimpica sugli specchi” usate per giustificare la sua tesi e soprattutto il suo diritto a diffonderla; di fronte all’epidemiologo che gli fa notare che “la scienza si fa con le prove, non con gli indizi“, lui risponde “ma io sono un giornalista, e per un giornalista 3 indizi fanno una prova“. Peccato però che se il giornalista parla di scienza non può modificare le regole del metodo scientifico e considerare plausibile ciò che scientificamente non lo è.

Infatti, come visto, il codice deontologico gli impone non solo di verificare adeguatamente le notizie, di rettificare anche senza richiesta ciò che si riveli sbagliato e di non muovere accuse senza fonti certe, ma anche di specificare se una determinata ricostruzione non è suffragata da prove certe ed è solo la personale ricostruzione del giornalista che la propone.

E’ solo la sua convinzione, quindi la tenga per sé!

E in effetti, in questi mesi evidentemente qualcuno queste cose deve avergliele fatte notare, al punto che Liguori ha aggiustato il tiro proprio ieri sera, smettendo di parlare di certezze e di prove ma di meri indizi, smettendo di accusare pubblicamente la Cina parlando di eventuale “errore” e non più di arma di laboratorio, e soprattutto ha finalmente precisato che questa è solo la “sua personale convinzione“.

Caro Liguori: cosa ce ne facciamo della personale convinzione di uno che verifica le notizie in questo modo? Nulla, quindi le racconti al bar con gli amici, non nelle TV nazionali.

Liguori e il giornalismo sono due rette parallele.

P.T.

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