Ieri la Consulta ha bocciato il referendum elettorale, o meglio il quesito referendario proposto dalla Lega – da 8 consigli regionali di colore verde – sull’attuale legge elettorale, il cosiddetto “Rosatellum” – qui un articolo in merito – il cui scopo era sostanzialmente quello di trasformare l’attuale sistema proporzionale in un maggioritario puro.

L’intento era chiaramente quello di favorire il centro destra alle prossime elezioni, ed è per questo che il no è stato subito tacciato di “complotto“, di “favoritismo per PD e 5 Stelle attaccati alle poltrone” e le solite accuse che sempre si sentono quando dei giudici dicono no alle strategie di qualche parte politica.

Consulta ha bocciato referendum elettorale

Non mi interessa però in questa sede sviscerare i motivi che possono aver indotto la Lega a sostenere questo referendum e le ragioni che avrebbero invece spinto gli avversari politici – PD e 5 Stelle, appunto – ad ostacolarlo. Quello che invece mi interessa è tralasciare tutte le questioni di contorno e soffermarmi sull’unica che conta: ossia il perché la Consulta ha bocciato il referendum elettorale.

Si tratta infatti di una questione giuridica, che inevitabilmente viene politicizzata da tutte le parti politiche impedendo al cittadino di comprendere le ragioni di quella scelta, che di politico come vedremo ha ben poco.

Come funziona il referendum elettorale

Partiamo da un presupposto: il referendum in questione consiste – come tutti – in un quesito che prevede una risposta “sì/no nel quale si chiede se il cittadino sia favorevole o meno all’abrogazione di determinate parti di una legge – in questo caso quella elettorale -; l’eventuale vittoria del sì, quindi, cancellerebbe in automatico le disposizioni inserite nel quesito, lasciando sostanzialmente della legge solo ciò che ne rimane; la cosiddetta “normativa di risulta“.

In soldoni: se c’è un articolo con 4 commi, e il quesito chiede se si è disposti ad abrogare il secondo comma, l’eventuale vittoria del sì renderebbe quella legge composta dal primo, dal terzo e dal quarto comma.

Bisogna poi chiarire un’altra questione legata a questa: ovviamente, se da una legge cancello tutta una serie di commi, articoli e disposizioni, non è affatto detto che quello che ne rimane – ossia la normativa di risulta – sia abbastanza completa e coerente da poter essere applicata senza opportuni completamenti. Pertanto, potrebbe essere necessaria emendarla ulteriormente per renderla applicabile.

Questo costituisce un problema di non poco conto, dal momento che per giurisprudenza costante – e per buon senso – una legge come quella elettorale deve poter essere immediatamente applicabile, altrimenti non serve a niente e uno Stato democratico non può permettersi – vista anche l’endemica lentezza del Parlamento italiano – di stare senza una legge elettorale nemmeno provvisoriamente (se infatti domani cadesse a sorpresa il Governo, come farebbero i cittadini a votare?).

Consulta ha bocciato referendum elettorale
Roberto Calderoli

Come risolvere il problema? Ricordiamo che il Governo ha per le mani una legge delega con la quale, a seguito della riduzione dei seggi parlamentari ottenuta con la legge voluta dai grillini, ha la possibilità di ridisegnare i collegi elettorali per adeguarli alla nuova conformazione del Parlamento – se cambia il numero dei seggi, cambia anche il modo di eleggerli, chiaramente -; orbene: l’idea di Calderoli, organizzatore materiale del referendum, era quella di sfruttare questa delega per “completare”, potremmo dire, le parti della legge mancanti a seguito di abrogazione delle singoli disposizioni indicate nel referendum stesso.

Chiarito il quadro, andiamo a vedere cosa dice la sentenza della Corte Costituzionale.

La decisione della Corte Costituzionale

Perché la Consulta ha bocciato il referendum elettorale? Lo possiamo evincere da questo passaggio:

Per garantire l’autoapplicatività della ‘normativa di risulta’ – richiesta dalla costante giurisprudenza costituzionale come condizione di ammissibilità dei referendum in materia elettorale – il quesito investiva anche la delega conferita al Governo con la legge n. 51/2019 per la ridefinizione dei collegi in attuazione della riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari. In attesa del deposito della sentenza entro il 10 febbraio, l’Ufficio stampa della Corte costituzionale fa sapere che a conclusione della discussione la richiesta è stata dichiarata inammissibile per l’assorbente ragione dell’eccessiva manipolatività del quesito referendario nella parte che riguarda la delega al Governo, ovvero proprio nella parte che, secondo le intenzioni dei promotori, avrebbe consentito l’autoapplicatività della normativa di risulta”

Detto altrimenti, la Consulta ha bocciato il referendum elettorale perché

gli autori del quesito, nel tentativo di rendere direttamente applicabile la legge – condizione richiesta per i referendum in materia elettorale – si sarebbero sbilanciati pronunciandosi anche sulla legge delega scritta per la revisione dei collegi elettorali legata alla riforma costituzionale del taglio dei parlamentari. Hanno cercato cioè di far valere quella delega anche per la revisione dei collegi resa necessaria da un eventuale sì al referendum.

Articolo “La Repubblica”

Per questo, a parere della Corte il quesito sarebbe “eccessivamente manipolativo” in quanto, come detto, dal momento che la cancellazione di quelle disposizioni avrebbe reso la normativa di risulta del tutto inapplicabile, la pretesa del Governo di poter colmare quel gap in forza della legge di delega che gli consente di ridisegnare i collegi elettorali sarebbe eccessiva, perché andrebbe oltre le facoltà richieste dalla procedura. Infatti, consentirebbe di fatto al Governo una manipolazione successiva della legge elettorale che andrebbe oltre la decisione del popolo espressa nel referendum, sia perché avverrebbe necessariamente dopo il referendum stesso, sia perché avverrebbe nell’ambito di una delega che non pare direttamente connessa con la modifica della legge elettorale.

Separate la giurisdizione dalla politica

Insomma: la Consulta ha bocciato il referendum elettorale perché non è così che si fanno le cose secondo la giurisprudenza, i principi costituzionali e la prassi.

Con questo, intendo chiarire che quando si parla di interventi della Corte Costituzionale – ossia il garante della Costituzione, l’organo più importante del nostro sistema – è necessario ricordare bene di tenere separate le conseguenze e le ideologie politiche dalle decisioni giuridiche (come avevo già fatto in questo articolo).

E’ perfettamente normale che le varie parti politiche trasformino la decisione in qualcosa di politico – Salvini per denunciare una presunta collusione della Consulta con gli avversari politici, PD e 5 Stelle per elogiare la Consulta come “protettrice dello Stato di diritto” – perché questo è lo scopo della politica: dare interpretazioni politiche a ogni cosa per polarizzare il dibattito dell’opinione pubblica e orientare il consenso popolare.

Ma come visto, le decisioni del nostro organo costituzionale si basano sulle leggi, sui principi costituzionali, sulle prassi e sulle procedure, e non hanno finalità politiche anche se tutti fanno il possibile per farcelo credere.

Così facendo, infatti, la politica ha cura di evitare in ogni modo che la gente vada ad analizzare il merito della decisione – spesso difficile da capire per chi non ha gli strumenti giuridici per farlo – offrendogli una soluzione più facile: dire che la Corte è collusa con qualcuno/sta difendendo i tuoi diritti, senza che ciò abbia nulla a che fare con la decisione stessa. In questo modo spostano l’attenzione dell’opinione pubblica su qualcos’altro di più facile da percepire e soprattutto che sia più utile a polarizzare lo scontro politico, facilitando l’acquisizione di consenso.

Quando si parla di Costituzione, dunque, toglietevi la casacca e giudicate con la testa.

P.T.