La Conferenza sul Clima tenutasi al G20 di Roma per definire gli obiettivi degli Stati rispetto al cambiamento climatico è stata da molti definita un successo.

A dispetto di chi ancora nega il ruolo antropico sul cambiamento climatico, ignorando i dati oggettivi – come avevo ampiamente analizzato qui – o basandosi su teorie strampalate che dimostrano solo la poca competenza sulla questione – come avevo spiegato qui -, il fatto che il cambiamento climatico trovi nell’uomo e nelle emissioni di gas serra da questo causate negli ultimi 80 anni la sua causa, se non unica, almeno principale, è ormai un’evidenza che non può più essere ignorata. Ma soprattutto, non può più essere postergata. Secondo buona parte della Comunità Scientifica, il punto di non ritorno è in realtà già stato raggiunto, motivo per cui invece di trovare sistemi per evitare un disastro imminente dobbiamo piuttosto accontentarci di “limitare i danni”.

Danni che, forse vale la pena ribadirlo, riguardano l’uomo e la sua stessa esistenza, non il pianeta Terra; il nostro pianeta ha vissuto cambiamenti climatici frequenti nella sua lunga esistenza e sa adattarsi senza troppi problemi, a differenza della nostra specie.

L’impegno preso alla Conferenza sul Clima, e che sarà ulteriormente discusso nelle prossime settimane, è stato altisonante: non far crescere la temperatura media di un grado e mezzo entro la metà del secolo.

Sarebbe un grande risultato, se non ci fossero dei “ma”.

conferenza sul clima

Il primo “ma” è che in questa promessa – perché di mera promessa si tratta – non c’è nulla di vincolante né alcuna concreta misura sul tavolo, almeno per il momento.

Il secondo “ma” è che la promessa non è poi molto diversa da tutte le altre promesse già fatte in passato e sistematicamente ignorate. Perché questa volta dovrebbe essere diverso?

Il terzo “ma”, ben più importante, è che i Paesi emergenti – come Russia, India, Cina -, che sono i principali fautori odierni dell’aumento di gas serra nell’atmosfera per via della loro incontrollabile crescita industriale degli ultimi decenni, hanno manifestato non poche remore su questa promessa, facendo orecchie da mercante o pretendendo di posticipare la data al 2060, se non al 2070.

Sono popoli crudeli, insensibili alle sorti dell’umanità? Non proprio. In effetti, ascoltando la loro posizione, diventa difficile dare loro torto. Questo perché i Paesi emergenti, che proprio in questi anni sono entrati nel loro “boom” industriale, ponendo le basi per una enorme crescita economica e sociale, si sentono oggi dire dai Paesi occidentali, che quel boom lo hanno già vissuto secoli fa e che hanno inquinato come se non ci fosse un domani per decenni, che ora che è il loro turno devono porre un freno alla loro evoluzione.

“Ora che esplode la nostra crescita non potete imporre un vincolo che voi non avete mai dato a voi stessi”

E’ un po’ come se il padre che fuma in faccia al figlio tutti i giorni per 20 anni poi si lamenti che il figlio inizia a fumare. Per carità, ha ragione il padre, ma come può convincere suo figlio a razzolare bene, se ha sempre predicato male?

Inoltre, il grosso del problema, come per tutti i problemi che coinvolgono l’intero pianeta e tutte le nazioni, è che a dispetto delle promesse e degli impegni non esiste nel sistema internazionale alcun organo o procedura che possa costringere gli Stati ad adeguarsi a quanto promesso. Nessuna procedura che non siano quelle della Carta delle Nazioni Unite, dove due di quei Paesi emergenti hanno il diritto di veto, e quindi possono vanificare ogni sforzo con un semplice voto contrario, e che prevedono come unica vera “soluzione” il ricorso alla forza. Cioè la guerra. Una soluzione facile da intraprendere contro Stati poveri e non influenti; ben più difficile verso colossi del calibro di India, Cina e Russia.

E’ il problema della logica di potenza: gli Stati sono in conflitto tra loro, ognuno in lotta perenne per superare gli altri ed ottenere l’egemonia (sociale, economica, militare, tecnologica) che gli permetta di dominare sugli altri e di fare il buono e il cattivo tempo nel mondo. Quell’egemonia che l’Occidente ha sfruttato per secoli senza remore – ricordate gli USA “sceriffo del Mondo”? -, e che, ora che l’Occidente ha smesso di essere il “Primo Mondo”, pretende che non sia usata allo stesso modo dagli avversari geopolitici per ottenere gli stessi scopi già raggiunti da loro.

Una pretesa che, per quanto giusta possa essere in astratto, si rivela utopica nel mondo geopolitico regolato dalla logica di potenza.

La Conferenza sul clima, a mio avviso, più che un successo si è rivelata la cartina di tornasole del principale problema dell’umanità odierna: come ha già dimostrato la pandemia di Covid, anche sul piano dei cambiamenti climatici siamo in presenza di un problema globale che per essere risolto deve coinvolgere tutti, nessuno escluso, con uno sforzo coordinato e uniforme, e non ognuno per i fatti suoi, perché le scelte sbagliate di uno Stato si ripercuotono su quelle giuste degli altri. Non siamo più in una realtà frastagliata fatta di comunità isolate e indipendenti l’una dall’altra: siamo ormai una unica grande comunità, chiamata ad affrontare problemi comuni, che vanno risolti in comune con strategie necessariamente condivise e coordinate.

Le problematiche globali, sempre più impellenti, non fanno che dimostrare una cosa sola: l’umanità non sarà mai in grado di passare al successivo livello evolutivo, e quindi di affrontare concretamente problematiche di livello globale, finché non accetterà che il concetto di Stato e di logica di potenza sono obsoleti, e che è necessario assoggettarsi ad una autorità unica di livello mondiale, capace di coercire ogni nazione del Pianeta esattamente come può fare uno Stato nazionale verso i propri cittadini.

E’ il famoso “Governo Mondiale” tanto temuto dai complottisti, che costituisce invece oggi l’unica soluzione concreta a tutte le sfide del nuovo millennio.

Lo so, è un ragionamento utopico. Nello stato attuale non è un’opzione nemmeno ipotizzabile. Viviamo in un mondo in cui circolano ancora teorie arcane come il razzismo, il nazionalismo, l’omofobia, l’odio verso il diverso. L’idea di un Governo mondiale, in questo contesto, è come tentare un viaggio sulla Luna nel medioevo.

Ma è proprio per questo che, a mio avviso, l’umanità non è ancora pronta per questo passaggio evolutivo, è per questo che ne subirà tutte le conseguenze del caso e continuerà a subirle fino a che non prenderà atto di questa situazione.

Lo abbiamo visto per il Covid, e la situazione sarà molto peggiore per il tema dei cambiamenti climatici. Perché mentre per un virus abbiamo la scienza che può metterci le toppe, anche in ritardo, per i cambiamenti climatici le toppe non esistono.

Forse, prima di una conferenza sul clima, urge una conferenza geopolitica per stabilire le basi vincolanti di eventuali accordi futuri, di ogni tipo.

P.T.