Come ormai sapete, dopo l’interruzione causata dalla pandemia di coronavirus il 20-21 settembre 2020 saremo chiamati alle urne per votare il referendum sul taglio ai parlamentari.

Si tratta del quarto referendum costituzionale della nostra storia Repubblicana – dopo quelli del 2001, del 2006 e del 2016 -; i precedenti ci dicono che per due volte il popolo ha bocciato la riforma, mentre in un solo caso, nel 2001, l’ha approvata.

Vista l’imminente scadenza, ho pensato che potesse essere utile analizzare meglio la questione, non tanto per suggerirvi cosa votare – spoiler: sono indeciso anche io – ma piuttosto per chiarire i termini della riforma, analizzarne le conseguenze e fare qualche valutazione comparata.

Cos’è un referendum costituzionale

Cominciamo da un aspetto preliminare: cos’è un referendum costituzionale?

Ce lo dice l’art. 138 Cost:

Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.

Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.

Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

Come vedete, si tratta di una procedura costituzionale volta a garantire che ogni riforma della nostra carta fondamentale passi per il più alto consenso possibile: è prevista in fatti una doppia votazione, a distanza di 3 mesi, per consentire un tempo di “sedimentazione” della modifica che permetta alle parti politiche di “ragionarci su” ancora un po’, ed eventualmente confermarla a seguito di ulteriori valutazioni o degli effetti sull’opinione pubblica.

Inoltre, se i soggetti indicati nella norma lo richiedono, è possibile chiedere che la suddetta riforma, anche se approvata in Parlamento, passi al vaglio dell’elettorato attraverso, appunto, un referendum. Esso non è previsto solo nel caso in cui la doppia votazione ottenga la maggioranza dei 2/3 del Parlamento, poiché in tal caso la Costituzione la ritiene ampiamente condivisa e quindi non necessario sottoporla al giudizio dell’elettorato.

Taglio ai parlamentari: a cosa serve?

Superate le premesse didattiche, entriamo nel merito della questione: a cosa serve il taglio dei Parlamentari?

Il punto principale della questione è che una simile proposta, portata avanti come bandiera dai 5 Stelle, a prescindere dalla sua opportunità o meno ha una fortissima componente populistica: infatti, molti la intendono come una misura rivolta a ridurre i costi della politica e a diminuire il numero dei parlamentari che sono spesso visti dal popolo come dei “parassiti” che prendono uno stipendio pubblico per non fare praticamente niente. Una legge, insomma, che va a colpire la “casta” dei farabutti che si approfittano del troppo elevato numero di poltrone per sistemare se stessi e la propria famiglia.

Ora, non è mio intento smentire questo assunto; sicuramente ci sono parlamentari che entrano in politica per questi motivi e quindi approfittano delle poltrone disponibili e del potere che ne consegue per sistemare le proprie famiglie senza avere una reale vocazione verso la politica. Il taglio ai parlamentari, dunque, dovrebbe contribuire ad ostacolare questa prassi e soprattutto a garantire un certo risparmio per le casse statali.

Il punto che intendo sottolineare è che questa conseguenza, anche a volerla considerare reale, è solo una infinitesima percentuale delle conseguenze che la riforma del taglio dei parlamentari causerebbe al nostro sistema costituzionale.

Quanto costa il Parlamento?

Infatti, se volessimo fare dei conti ci accorgeremmo che la riduzione del parlamentari comporterebbe un risparmio di spesa di circa 51 milioni di euro l’anno; una cifra che può sembrare enorme, ma che di fatto costituisce lo 0,007% della spesa pubblica, che farebbe risparmiare ai cittadini l’equivalente di un caffè all’anno. Non molto efficace come misura per un Paese in grave crisi economica come il nostro, dove solo la corruzione in ambito pubblico brucia più di 50 miliardi di euro ogni anno.

“, si potrebbe dire, “non sarà molto, ma è pur sempre qualcosa. E’ un inizio!“; certamente sì, perché ogni più piccolo risparmio può essere importante. Un milione di euro qui, un milione di euro lì, e si finisce per risparmiare cifre importanti.

Il problema, di nuovo, non è questo, ma il prezzo da pagare per questo risparmio perché, come vorrei provare a spiegare, il risparmio di qualche milione non è l’unica conseguenza connessa con la riduzione del numero dei rappresentanti. E nemmeno la più importante.

Rappresentatività dei parlamenti: uno sguardo al mondo

Tralasciamo infatti la questione meramente economica e concentriamoci sull’aspetto più importante per un Parlamento: la sua capacità di rappresentare il popolo.

Ovviamente, il numero di parlamentari incide sull’effettiva rappresentatività del Parlamento, poiché più parlamentari ci sono, più il Parlamento sarà potenzialmente rappresentativo delle istanze popolari: mi pare evidente che se il nostro Parlamento fosse composto da 2 persone appena, ognuna di esse rappresenterebbe 30 milioni di persone circa, rendendo l’organo fortemente non rappresentativo di numerose istanze diverse che finirebbero per confluire sotto l’egida di un unico rappresentante.

Il numero dei parlamentari non è dunque solo una questione di spesa pubblica, ma è anzitutto una questione di rappresentatività.

Quanto è rappresentativo il nostro Parlamento?

Entriamo nel merito. Il Parlamento italiano è composto da 945 soggetti – 630 deputati e 315 senatori -; stimando la popolazione italiana in 60 milioni di persone circa, significa che ogni parlamentare rappresenta circa 63.000 persone.

Sono tante, sono poche? Paragoniamolo ad altri parlamenti, prendendo come riferimento l’Unione Europea, i cui paesi hanno una storia costituzionale più simile alla nostra.

referendum sul taglio ai parlamentari

Se controllate il grafico che trovate a questo interessante articolo, rileverete che il Parlamento italiano, per rappresentatività, è al secondo posto tra i più importanti e popolosi paesi Europei – ossia Spagna, Francia, Germania e Regno Unito – ed anzi il primo, dal momento che oggi il Regno Unito – che domina questa classifica con un rappresentante ogni 42 mila cittadini circa – è ormai fuori dall’Unione Europea.

I parlamentari francesi rappresentano più di 70 mila persone ognuno; quelli spagnoli 72 mila e quelli tedeschi addirittura 105 mila. Per darvi un’idea più globale, considerate che i parlamentari americani rappresentano circa 600 mila elettori ognuno. Insomma: l’Italia ha una struttura costituzionale estremamente rappresentativa, il che potrebbe suggerirci che il taglio ai parlamentari non dovrebbe essere così traumatico.

Quanto deve essere rappresentativo un Parlamento?

A questo punto, sarebbe bello poter avere una formula matematica che ci dica in assoluto quale sia la percentuale di rappresentatività perfetta e capire se il nostro attuale assetto vada modificato o meno. Purtroppo questa formula non esiste, perché la rappresentatività non può essere ridotta al mero rapporto tra rappresentati e rappresentanti; ci sono infatti numerose altre variabili che vanno ad incidere, come fattori culturali, sistemi partitici, realtà geografiche e ideologiche.

L’Italia, infatti, è meno popolosa della Germania ma presenta una realtà geografica e culturale molto più frastagliata, e un sistema multipartitico decisamente più divisivo di quanto non accada nel paese tedesco. Per questo, è impossibile stabilire l’opportunità o meno di una simile riforma semplicemente mettendo in rapporto i numeri assoluti con quelli di altri Stati.

Referendum sul taglio ai parlamentari: cosa dice?

Veniamo a noi. Il referendum sul taglio ai parlamentari ci chiede di decidere se siamo d’accordo o meno sulla riduzione del numero dei parlamentari dagli attuali 945 – 630 deputati e 315 senatori – a 600 – 400 deputati e 200 senatori.

Così facendo, la rappresentatività del nostro parlamento sarebbe ridotta a circa 100 mila elettori per ogni rappresentante, ossia pressapoco quella tedesca (nella foto qui sotto trovate la percentuale riferita ai soli deputati).

referendum sul taglio ai parlamentari

E’ meglio? E’ peggio? Come detto, non è il numero preso in assoluto a potercelo dire, motivo per cui non è possibile stabilire a priori se al referendum sul taglio dei parlamentari sia opportuno o meno votare sì o no. Quello che conta, e che intendo sottolineare a chi legge, è che sono questi i parametri su cui ragionare per poter esprimere un giudizio razionale e informato su questo delicato tema, e non l’aspetto – del tutto marginale – relativo ai costi della politica. Quest’ultimo è solo un argomento populista, dato in pasto all’opinione pubblica per racimolare consenso. Non usatelo per esprimere il vostro voto!

Il referendum sul taglio dei parlamentari NON e’ un referendum di carattere economico, finalizzato a stabilire o meno un taglio alla spesa pubblica; è un referendum COSTITUZIONALE, finalizzato a modificare sensibilmente la struttura del nostro Parlamento e la sua effettiva capacità di rappresentare le istanze sociali.

Referendum sul taglio ai parlamentari e legge elettorale

C’è poi un ultimo aspetto, non meno importante, da considerare.

Ridurre il numero di parlamentari non ha come conseguenza solamente una maggiore o minore rappresentatività del corpo elettorale: la diminuzione dei parlamentari comporta anche una diminuzione dei seggi. I nostri voti politici, cioè, finiranno per assegnare un numero minore di seggi durante le elezioni, che evidentemente dovranno essere diversamente ripartiti. Avevo già affrontato superficialmente tale aspetto in questo articolo, ma in questa sede è opportuno soffermarsi meglio sulla questione.

Parallelamente a questa riforma, infatti, sarà necessario – ed è già in cantiere, non a caso – anche modificare la legge elettorale. Questo significa che non solo i nostri singoli parlamentari rappresenteranno più persone (cioè saranno meno rappresentativi), ma anche che saranno eletti secondo criteri differenti.

referendum sul taglio ai parlamentari

La scelta sul voto al referendum sul taglio ai parlamentari deve quindi essere presa anche alla luce del tentativo in itinere di rendere il nostro sistema elettorale meno proporzionale e più maggioritario, ossia assegnare un numero di seggi al partito o alla coalizione che prenderà più voti superiore a quello che avrebbe sulla base di un mero calcolo proporzionale (il cosiddetto “premio di maggioranza“).

E’ evidente che se queste due riforme, prese singolarmente, sembrano creare modifiche non determinanti, messe insieme sono capaci di stravolgere in modo sensibile il nostro sistema politico.

In che modo? E’ presto per dirlo con certezza e di certo non sono io a doverlo stabilire.

Quello che vorrei, però, è che dal momento che il vostro voto vale come il mio, teneste a mente questi aspetti ed eventualmente approfondisse queste dinamiche prima di recarvi alle urne, e non vi basiate unicamente sul fatto che votando “” si risparmiano 50 milioni di euro.

Perché è vero che se rottamate la vostra auto poi risparmiate sulla benzina; ma è anche vero che poi, per muovervi, dovete prendere un taxi. I costi valgono i benefici?

P.T.