Come promesso sulla mia pagina Facebook, ho ritenuto necessario approfondire e spiegare meglio la questione del “Referendum Eutanasia Legale”, a seguito della notizia che la Corte Costituzionale l’ha dichiarato inammissibile.

In effetti, la notizia ha scatenato molte polemiche e grandi delusioni tra i sostenitori del referendum e in generale tra i favorevoli alla legalizzazione dell’eutanasia, motivo per cui mi è sembrato il caso di fornire delle doverose precisazioni.

Premessa: io sono d’accordo al 100% con l’eutanasia e sono tra i primi a sostenere la necessità che tale fattispecie sia resa legale e disciplinata nel nostro ordinamento. Ma questo non significa che tale disciplina possa essere introdotta in qualunque modo, a prescindere dai fondamentali dettagli che serve valutare di fronte ad una questione così delicata e complessa.

Referendum Eutanasia: inquadramento della questione

La prima cosa da spiegare è il contesto di riferimento all’interno del quale è stato proposto il Referendum Eutanasia, in quanto tassello necessario per comprendere il problema nel suo complesso. In effetti, la questione è ben più complessa della semplice proposta di un referendum. Come sapete, sono ormai anni, per non dire decenni, che l’opinione pubblica discute dell’eventualità di legalizzare l’eutanasia nei casi, alcuni spesso divenuti famosi – il caso Welby e Fabo tra tutti, quest’ultimo tra l’altro sarà poi quello che spingerà Marco Cappato ad avviare la proposta referendaria -, di persone rimaste costrette a vivere come vegetali, attaccati a delle macchine, con pressoché nulle speranze di recupero e, purtroppo, spesso con insopportabili dolori fisici e in condizioni al limite della dignità umana.

La possibilità che, in questi casi, si possano superare gli ovvi limiti connessi con l’omicidio e il diritto alla vita, e quindi prevedere una disciplina organica sul fine vita di casi limite come quelli citati, è al vaglio della legislazione da tempo.

Il problema è sempre stato che tutte le proposte di legge in merito – peraltro sollecitate proprio dalla Corte Costituzionale nell’ordinanza sul caso Cappato e poi nella successiva sentenza – si sono sistematicamente ancorate in Parlamento o sono rimaste lettera morta, chiusa in qualche cassetto.

L’ingiustificabile inerzia del Parlamento ha così spinto i sostenitori dell’eutanasia, con Cappato al vertice, a tentare un’altra strada, l’unica consentita dal dettato Costituzionale: appunto, il referendum.

Referendum Eutanasia: perché abrogativo?

Prima di proseguire con l’analisi del quesito referendario, mi preme ancora fare una precisazione, importante per capire le criticità della questione: la Costituzione Italiana non prevede referendum propositivi, ma solo abrogativi.

In soldoni, attraverso un referendum non si può proporre di “aggiungere” una legge, ma solo chiedere di abrogarne – in tutto o in parte – una esistente. Per proporre una legge ad hoc si può solo formulare una proposta di legge popolare, che però il Parlamento non è obbligato a prendere in considerazione e quindi sarebbe stato un buco nell’acqua.

Questo è stato il motivo che ha spinto – o meglio costretto – Cappato e i suoi sostenitori a proporre un quesito “in negativo”, ossia che andasse a cancellare determinate disposizioni sull’omicidio del consenziente al fine di rendere “non punibile” il soggetto che, su richiesta del malato, ponesse fine alla sua vita.

Così facendo, però – e ripeto, non biasimo Cappato perché non aveva alternativa – si è finiti per proporre un quesito referendario che rischia di creare più problemi di quelli che vuole risolvere. Ed è in questo senso che, a mio avviso, la Corte lo ha dichiarato inammissibile. Vediamo perché.

Il quesito referendario

Tanto premesso, al fine di “legalizzare” il suicidio assistito si è scelto di andare ad agire sull’art. 579 del codice penale, che disciplina l’omicidio del consenziente. L’articolo attualmente dice così:

referendum eutanasia

Il Referendum Eutanasia pone invece il seguente quesito:

referendum eutanasia

Pertanto, in caso di approvazione del Referendum Eutanasia, l’articolo 579 c.p. sarebbe riformulato così:

Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con (…) le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso:

1) contro una persona minore degli anni diciotto;

2) contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;

3) contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.

Insomma: se il referendum fosse stato approvato, la nuova disciplina sull’omicidio del consenziente direbbe semplicemente che chi uccide una persona consenziente è punibile solo se la vittima è un minore, un infermo di mente o un soggetto il cui consenso sia stato estorto con la violenza o la minaccia. In tutti gli altri casi, non sarebbe più considerato omicidio.

Capite però che il quesito, posto così, non solo non ha nulla a che fare con la specifica disciplina del rifiuto di cure dei malati terminali e con l’eutanasia dei soggetti che si trovano nelle condizioni di Welby e Fabo, ma addirittura rischierebbe di legittimare altre fattispecie che con l’eutanasia non hanno nulla a che fare, creando una lacuna legislativa enorme e potendo dar luogo ad assurdi paradossi.

Pensate a un uomo che scopre il tradimento della moglie e ne rimane così colpito da andare in depressione e chiedere di morire; o allo studente che pur di non far sapere al padre severo di essere stato bocciato a un esame chiede a un amico di farlo fuori; o una qualunque situazione in cui un soggetto, in un momento di debolezza, stanchezza, stato psicofisico alterato non necessariamente dall’abuso di alcol o stupefacenti, possa perdere la ragione e ritenere la morte l’unica via di fuga dalla situazione in cui si trova. In tutti questi casi, l’eventuale omicidio perpetrato da qualcuno a suo danno rischierebbe di non poter essere punito. Di conseguenza, come detto dalla stessa Corte Costituzionale nel suo comunicato stampa:

Appunto: si rischia di non preservare la tutela minima del diritto alla vita, con particolare riguardo alle persone più vulnerabili. In attesa che esca la sentenza, ritengo che sia questa la motivazione della Corte. E se è questa non posso certo contestarla.

Perché, in effetti, un referendum così impostato avrebbe ben poco a che fare con l’obiettivo che vuole raggiungere, ossia una disciplina apposita che legittimi la possibilità di staccare la spina a chi versa in condizioni irrimediabili e in stato vegetativo, ma rischierebbe al contrario di esporre molte persone, soprattutto se psicologicamente più fragili, alla possibilità di non poter ricevere un’adeguata tutela del diritto alla vita.

Messo così, il referendum eutanasia non può assolutamente essere accettato, e lo sta dicendo uno che è favorevole all’eutanasia al 100%.

Referendum Eutanasia: pro e contro

Ma allora perché fare tanto trambusto per un referendum senza senso già in partenza? Come detto, data l’inerzia del Parlamento, non vi era altra strada. Una strada sbagliata, come visto, ma comunque utile a mio avviso per mobilitare di nuovo l’opinione pubblica sull’argomento, magari sfruttando proprio la delusione e lo sgomento della bocciatura da parte della Corte Costituzionale, al fine di continuare a premere sempre di più verso le istituzioni affinché facciano il loro lavoro, ossia accelerino l’approvazione di una disciplina organica, completa e specifica sul fine vita e sull’eutanasia, che preveda tutte le cautele e le regolamentazioni necessarie per disciplinare una questione così delicata e complessa. Perché, come aveva già detto la Corte, solo il Parlamento, con una legge ad hoc, può risolvere questo problema.

Quindi condiviso con voi la rabbia e lo sgomento; ma non prendetevela con la Corte, prendetevela col Parlamento.

P.T.

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