Il prossimo 12 giugno 2022 si terrà il Referendum sulla giustizia. In questo articolo cerchiamo di illustrare il contenuto dei quesiti ma anche le questioni principali che vi ruotano attorno, per aiutare gli elettori col voto su questioni effettivamente molto complicate.

L’opportunità di un referendum sulla giustizia?

Cominciamo con una importante considerazione preliminare prima di verificare nel dettaglio i singoli quesiti sul referendum sulla giustizia. In generale, la necessità di riformare diversi aspetti della giustizia italiana è sicuramente presente ed opportuna. Ciò non significa, però, che una qualunque modifica, purché sia tale, sia altrettanto opportuna.

Nel caso specifico, più che i contenuti delle modifiche mi interessa valutare il contesto di contorno nel quale queste modifiche sono state decise.

In primo luogo, abrogare singole norme sulla giustizia attraverso un voto popolare può non essere la strategia più efficace. Questo perché i referendum in generale hanno senso quando toccano argomenti sensibili e percepibili dalla popolazione, ossia materie sulle quali, pur senza competenze, ognuno di noi può farsi un’idea: si pensi all’eutanasia, alla legalizzazione delle droghe leggere, all’uso dell’energia nucleare, o come è stato per il divorzio; sono certamente materie complesse per chi non ha competenze specifiche, ma si tratta comunque di questioni che incidono direttamente sulle libertà e le scelte quotidiane dei cittadini e quindi ognuno di noi può farsi almeno un’idea generale della questione; ma soprattutto, ognuno di noi matura un certo interesse nel dire la sua sulla materia e quindi è certamente invogliato a recarsi alle urne.

Per quanto riguarda il referendum sulla giustizia, invece, le cose non stanno esattamente così: per quanto anche la procedura della giustizia interessi direttamente il cittadino, si tratta di normative tecniche, complesse, fondate su determinati principi di carattere strettamente giuridico che si studiano all’università, e quindi sono in pochi a conoscerli davvero. Io stesso, che ho studiato diritto, ho dovuto valutare con molta attenzione i singoli quesiti, perché chiamano in causa concetti giuridici, più che valori e ideali che fanno parte di ognuno di noi. E diventa difficile prendere una posizione su argomenti del genere. Sarebbe come votare su come eseguire al meglio un intervento chirurgico.

Di conseguenza, i quesiti appaiono estremamente complessi e di difficile comprensione per chi non ha studiato quelle materie specifiche (e le vostre insistenti – e legittime – richieste di fare questo articolo esplicativo lo dimostrano). Pertanto, si rischia solamente di confondere la maggior parte degli elettori, facendogli fare la scelta sbagliata su un argomento che sarebbe invece più opportuno che fosse trattato e discusso nelle più opportune sedi istituzionali. O addirittura di allontanare i cittadini dal voto, dato che non comprendendo il senso dei quesiti sarebbe spinto a disinteressarsi del voto.

In secondo luogo, ma decisamente importante, buona parte di quelle stesse materie oggetto del referendum sulla giustizia sono in effetti già al vaglio del Parlamento, che sta in questi mesi discutendo una riforma, la riforma Cartabia, che sta appunto emendando alcune normative sul processo civile e penale ed anche sul CSM. L’assurdo che si è venuto a creare è quindi che la riforma Cartabia sta modificando, tra le varie cose, anche quelle oggetto dei quesiti dell’attuale referendum sulla giustizia, creando di fatto due canali paralleli di modifica delle stesse normative (una attraverso il referendum, una attraverso il Parlamento).

Perché è un “assurdo”? Perché di fatto c’è il rischio che le scelte prese dal popolo in sede di referendum vengano poi poste nel nulla dalla successiva approvazione della riforma Cartabia, rendendo il referendum del tutto inutile.

Detto banalmente: mettiamo che il referendum si proponga di abrogare la legge che dice A, creando una nuova situazione legislativa che chiamiamo B; il popolo vota contro, ossia decide a maggioranza che deve restare la situazione A. Un mese dopo, la Riforma Cartabia interviene su quello stesso punto dicendo che la situazione A sia sostituita dalla situazione B. A quel punto, il Parlamento avrebbe confermato ciò che il popolo avrebbe appena negato. E allora, a cosa sarebbe servito il referendum?

Non ha cioè molto senso proporre un referendum per una materia che è già al vaglio del Parlamento, perché se quella nuova legge dovesse modificare in toto la normativa attuale, di fatto ci troveremo a decidere con un referendum su una disciplina che è già destinata ad essere abrogata dal Parlamento.

Queste sono ragioni che mi spingono a ritenere che, in realtà, il referendum sulla giustizia non raggiungerà il quorum e che se anche lo facesse potrebbe rivelarsi comunque del tutto inutile.

Ma votare è un diritto-dovere del cittadino, quindi al di là di queste considerazioni, cerchiamo comunque di esaminare i singoli quesiti del referendum.

#1. L’abrogazione della legge Severino

Il primo quesito del referendum sulla giustizia riguarda la legge Severino.

La legge Severino prevede l’ipotesi di incandidabilità per le cariche pubbliche per chi abbia riportato reati che prevedono una pena superiore ai due anni di reclusione. L’incandidabilità opera anche retroattivamente ossia: se la condanna arriva dopo aver ottenuto l’incarico, questo ti viene revocato.

Il problema della legge è che prevede due ipotesi distinte: per Deputati e Senatori, l’incandidabilità avviene solo a seguito di condanna definitiva, mentre per gli amministratori locali essa prevede la sospensione dall’incarico fino a un anno mezzo anche a seguito di una semplice condanna in primo grado. La proposta di abrogazione è stata formulata a causa della disparità di trattamento, in quanto spesso gli amministratori locali sono stati sospesi dall’incarico per una condanna in primo grado poi diventata assoluzione in appello. Votando sì (cioè favorevolmente all’abrogazione… ricordate che i referendum sono “abrogativi”, quindi se si vuole cancellare una legge bisogna votare sì, e viceversa), questa disparità verrebbe meno e sarebbe compito del giudice, caso per caso, valutare la sospensione dalla carica.

Tuttavia, il quesito mira ad abrogare l’intera legge, quindi la vittoria del sì eliminerebbe anche l’ipotesi di incandidabilità per i Deputati e i Senatori, anche in presenza di condanna definitiva.

Mi sembra una di quelle solite ipotesi in cui il quesito appare eccessivamente sbrigativo e netto; avrebbe avuto più senso, a mio avviso, che la legge non fosse abrogata per intero con referendum, ma emendata in Parlamento, aggiungendo semplicemente anche per gli amministratori locali il requisito della condanna definitiva. Insomma: io su questo quesito sarei per il no, con riserva che il Parlamento si preoccupi di aggiustare la disposizione parificando le due posizioni, e non di abrogare la legge per intero ed eliminare una ipotesi di incandidabilità che ritengo dettata non solo dal senso di giustizia, ma dal buon senso.

#2 Limite alle misure cautelari

Il secondo quesito afferisce alle misure cautelari, ossia quelle misure che il Giudice può prendere nei confronti dell’imputato prima che sia definitivamente condannato. Attualmente, se l’imputato, in alcune circostanze, si pensa che potrebbe approfittare del processo per darsi alla fuga, inquinare le prove o reiterare il reato, il Giudice può disporre che per la durata del processo, anche se non c’è ancora una condanna, l’imputato resti agli arresti domiciliari o in custodia cautelare in carcere.

Il problema di questa misura, in generale, è che di fatto si priva della libertà personale – perché incide sull’habeas corpus, non come la quarantena… a buon intenditor… – un soggetto non ancora condannato e che quindi potrebbe poi essere assolto. Non si tratta di un mero problema concettuale, in quanto un soggetto poi rivelatosi innocente, se è stato privato della libertà personale in attesa di sentenza, dovrà essere risarcito dallo Stato. Solo nel 2021, ad esempio, la detenzione ingiusta ha provocato risarcimenti per 24 milioni di euro.

Il referendum però non mira ad abrogare del tutto l’ipotesi di custodia cautelare (e ci mancherebbe), ma solo nello specifico caso di rischio di reiterazione del reato (salve le ipotesi di reato contro lo Stato, criminalità organizzata e utilizzo di armi), restando possibile solo nelle altre 2 ipotesi di inquinamento di prove e pericolo di fuga.

In effetti, spesso si abusa della custodia cautelare anche per reati meno gravi come piccoli furti, e questo contribuisce ad affollare le carceri e causare il rischio di risarcimenti. D’altra parte, però, non vedo francamente in che modo l’eliminazione di quel singolo requisito possa contribuire a risolvere il problema, anche perché sussistono alcuni reati, non legati all’uso di armi e alla criminalità organizzata, che restano pericolosi per i cittadini: si pensi al caso di violenza sessuale del fidanzato sulla fidanzata; la fidanzata lo denuncia, lui viene processato, e siccome non c’è rischio di inquinamento di prove né di fuga – né c’entrano le armi o la mafia – l’imputato non può essere messo ai domiciliari. Così lui, a piede libero e rancoroso verso la fidanzata che l’ha denunciato – e che lui sa dove abita, che posti frequenta, che orari fa – un bel giorno la adesca, la violenta e la uccide. Non era forse il caso di tenerlo in carcere?

#3 La separazione delle carriere

Veniamo ora ai requisiti specifici sulla Magistratura.

Il terzo quesito riguarda l’annosa questione della separazione delle carriere dei Magistrati. In generale, per chi non lo sapesse, la Magistratura è divisa in due: i magistrati “giudicanti“, cioè quelli che fanno propriamente i giudici, dirigono il processo ed emettono le sentenze, e i giudici “inquirenti“, cioè i PM, ossia quelli che fanno la parte dell’accusa nei processi penali (il processo penale, infatti, non è strutturato, come quello civile, secondo una parte contro l’altra, ma a fare da accusa è lo Stato). Si tratta chiaramente di due funzioni diverse, che possono comportare anche un certo conflitto di interessi.

Attualmente, la legge in vigore prevede che il Magistrato possa scegliere di modificare la sua funzione – e quindi passare da inquirente a giudicante e viceversa – per non più di 4 volte nella carriera.

Abrogando la legge, il Magistrato sarà invece costretto a scegliere da subito quale ruolo ricoprire e non potrà più cambiarlo.

Io ritengo personalmente opportuna la separazione delle carriere, ma è anche vero che un limite così ferreo potrebbe anche creare problemi di organico – se vi fosse un surplus di inquirenti e una carenza di giudicanti, i magistrati non potrebbero mutare ruolo e “coprire i buchi”, intasando una giustizia già lenta di suo -. Del resto, anche abrogando l’attuale legge, la separazione sarebbe solo sul piano operativo, perché il percorso formativo che porta alla Magistratura resterebbe comunque il medesimo per entrambi i ruoli.

Ma la cosa che più mi lascia perplesso di questo specifico quesito è che, come anticipato, tale questione è proprio una di quelle già al vaglio del Parlamento nella Riforma Cartabia, che oggi, al netto di eventuali ulteriori emendamenti, si propone di modificare la situazione stabilendo che il Magistrato possa scegliere di cambiare carriera, ma solo per una volta. Il paradosso che si crea è dunque che il referendum abroghi la legge e quindi veti ai Magistrati di mutare carriera, e qualche mese dopo la Riforma Cartabia entri in vigore e faccia rientrare dalla finestra quello che il popolo ha fatto uscire dalla porta. Ha davvero senso scomodare il popolo per abrogare una legge che potrebbe essere reintrodotta a breve dal Parlamento?

#4 La valutazione dei Magistrati

Il quarto quesito del referendum sulla giustizia riguarda invece la valutazione dei Magistrati. In breve, i Magistrati vengono valutati nel loro operato ogni 4 anni dal Consiglio Superiore di Magistratura; tale organo è composto per 2/3 da Magistrati eletti dai Giudici stessi e per 1/3 da Professori di Diritto e Avvocati eletti dal Parlamento in seduta comune.

Nella procedura di valutazione dell’operato dei magistrati, però, l’attuale legge prevede che il voto sia esclusivo solo dei componenti togati del CSM, cioè i giudici, e siano quindi esclusi professori e avvocati.

Per chi ha proposto l’abrogazione, il fatto che il giudizio sull’operato dei giudici sia affidato unicamente a colleghi giudici potrebbe minarne l’imparzialità e sarebbe dunque più equo se anche gli altri componenti potessero intervenire nella valutazione. Chi è contrario all’abrogazione, invece, sostiene che gli avvocati abbiano un ruolo in conflitto con quello dei giudici e questo potrebbe influenzarne il giudizio.

C’è che chi lamenta che in realtà i magistrati sono l’unico ordine professionale ad essere sottoposto ad un giudizio periodico da parte del suo Ordine, cosa che ad esempio non accade altre professioni altrettanto delicate come i medici; il che è vero, ma non bisogna dimenticare che un medico, se fa un errore che comporta un danno alla vostra salute, può essere portato in giudizio e letteralmente rovinato, mentre un giudice no, salvo non si dimostri il dolo (probatio diabolica). Ma anche un giudice può rovinarvi la vita con una decisione sbagliata. Nella mia esperienza ho visto giudici integerrimi, preparatissimi, intelligenti, arguti; ma anche alcuni giudici che francamente non capisco come abbiano fatto a superare l’esame, che hanno emesso sentenze ridicole, che per sciogliere una riserva ci mettono 8 mesi, che scrivono ordinanze contrarie al diritto, che fissano udienze che non esistono nel codice di procedura civile. Tutte cose che possono fare danni ai poveri clienti.

Per questo ritengo che una forma di controllo sia necessaria. Allargare questa forma di controllo agli avvocati sarebbe un problema? Forse sì, e non sta a me decidere dato che tra l’altro faccio parte della categoria degli avvocati. Il problema però è un altro, e cioè che anche questa questione è in realtà parallelamente al vaglio della riforma Cartabia, che sul punto ipotizza la totale riforma del sistema di valutazione, che prevedrebbe la formazione di uno schedario nel quale verrebbero raccolti i dati statistici sull’attività di ciascun magistrato e andrebbe a sostituire il sistema attuale della valutazione periodica quadriennale.

Insomma: al di là del merito del quesito, anche in questo caso l’eventuale allargamento della valutazione anche agli avvocati potrebbe restare senza effetto, dato che a breve una nuova legge potrebbe stravolgere totalmente l’attuale sistema e porre il voto referendario nel nulla.

#5 Il sistema di elezione dei Magistrati al CMS

L’ultimo punto del referendum sulla giustizia riguarda il sistema di elezione dei magistrati al CSM. Attualmente, il sistema prevede che per candidarsi a membro del CSM sia necessario per ogni giudice essere supportato da una lista di firme di altri magistrati che vanno dalle 25 alle 50.

Il problema di tale sistema, secondo alcuni, è che esso favorisca la nascita di correnti all’interno della Magistratura, un po’ come la formazione di veri e propri partiti per supportare un determinato candidato, il che non sarebbe coerente con un potere che, per definizione, dovrebbe essere estraneo e indipendente da influenze di carattere politico.

Abrogando la legge, quindi, basterà presentare la propria candidatura senza l’appoggio di una qualche corrente che ti garantisca un certo numero di firme.

Personalmente, non credo che la semplice abrogazione del sistema di raccolta firme possa cancellare il sistema delle correnti; del resto, è inevitabile che le correnti politiche si formino, anche tra i magistrati, e non è certo abolendo le firme che i giudici smetteranno di parteggiare per una certa parte politica. Quindi, anche annullando le firme, i candidati manterrebbero una più o meno velata posizione politica e verrebbero votati dai colleghi, inevitabilmente, anche sulla base di essa. Mi pare dunque un referendum piuttosto ininfluente e soprattutto poco interessante per la popolazione.

Del resto, anche in questo caso è in cantiere una possibile modifica da parte della riforma Cartabia. Si legge nell’articolo di “Pagella Politica” che:

“In origine, per limitare l’influenza delle varie correnti della magistratura nelle elezioni per il Csm, l’ex ministro Bonafede e il M5s avevano proposto di sostituire l’elezione dei membri del Csm con un sorteggio. Questa idea è però tramontata e si è quindi optato per aumentare il numero dei collegi, diminuendone la grandezza. Il governo Draghi e la ministra Cartabia, attraverso due emendamenti al testo del disegno di legge presentato da Bonafede, hanno proposto (art. 29.21 e 33.2) di eleggere i “consiglieri togati” attraverso un sistema misto di otto collegi, due nazionali e sei territoriali. Nella riunione con la ministra Cartabia del 9 aprile, i capigruppo della maggioranza in Commissione Giustizia hanno concordato che gli otto collegi in cui si eleggeranno i venti consiglieri togati saranno determinati sulla base di un sorteggio tra i 26 distretti di Corte d’Appello presenti in Italia”

Quindi, anche in questo caso la scelta degli elettori potrebbe venire frustrata dal successivo intervento legislativo, ponendo anche questo quesito nel nulla.

Il referendum sulla giustizia: considerazioni conclusive

Per concludere: il vero problema di questo referendum è, a mio avviso, che tocca un argomento estremamente tecnico e complesso, al punto da frustrare l’interesse della popolazione e la sua capacità di comprenderlo, e quindi presentando il rischio che non si raggiunga neppure il quorum.

Oltre a questo, c’è il problema che il referendum, soprattutto nei tre quesiti finali sulla Magistratura, si sovrappone di fatto ad una riforma già in cantiere in Parlamento, che potrebbe porre totalmente nel nulla il voto popolare, rendendo di fatto inutile votare.

Si salvano solo i primi due quesiti: essi restano però piuttosto tecnici e comunque troppo sbrigativi, andando ad agire su questioni che andrebbero invece affrontate in maniera organica e non con un’abrogazione totale che imporrebbe comunque al Parlamento un successivo intervento correttivo.

Personalmente – ma questa è solo la mia opinione personale – la mia idea è:

  • votare no al quesito sulla legge Severino, e lasciare le cose come stanno sperando che sul problema degli amministratori locali intervenga il Parlamento e non una abrogazione totale che permetterebbe anche a criminali passati in giudicato di diventare parlamentari;
  • votare no al secondo quesito sulle misure cautelari, perché ci sono situazioni come la violenza di genere nelle quali il rischio che il reo reiteri il reato – anche solo come vendetta per l’avvenuta denuncia – magari arrivando anche all’omicidio, mi pare più che concreto;
  • astenermi agli ultimi tre quesiti, che sono questioni tecniche lontane dal cittadino ma che soprattutto saranno già oggetto di una modifica legislativa oggi al vaglio del Parlamento; e mi pare corretto, al limite, attendere la modifica e poi, eventualmente, fare un referendum per abrogarla.

Mi auguro di esservi stato utile a chiarire le idee e, quale che sia la vostra scelta, buon voto a tutti.

P.T.