Cosa si intende per metodo scientifico?

Supponiamo di non avere alcuna conoscenza del gioco del calcio ma di essere catapultati allo stadio a vedere una o più partite e di dover capire come funzioni il gioco senza conoscerne le regole.

Logicamente parlando, il modo migliore per farlo non è formulare ipotesi a casaccio o trarre conclusioni prima che inizi la partita, ma osservare quello che accade e cercare di estrapolare delle regole. Potremmo ad esempio
annotare su un taccuino quello che vediamo nel tentativo di ricostruire un modello che ne definisca il regolamento almeno in generale.

Per quanto molte di esse siano impossibili da ricavare subito, già dal primo minuto possiamo verificare qualche dato di base: ad esempio che il calcio si gioca tra due squadre avversarie, composte da 11 giocatori a testa, e che si usa un pallone. Altre cose le potremmo invece evincere osservando lo svolgimento del gioco: ad esempio, che ogni qual volta il pallone esce dal rettangolo di gioco, l’arbitro fischia un “fallo” e interrompe momentaneamente la partita. In questi casi, l’osservazione di fenomeni che si ripetono uguali a se stessi ci permette di elaborare un “modello” di regole di base che possiamo dare per certe, proprio perché si verificano immancabilmente. Fino a questo istante, abbiamo ricavato le seguenti:

  • “nel gioco del calcio si gioca in 11”
  • “nel gioco del calcio si gioca con una palla”
  • “nel gioco del calcio non si può mandare la palla oltre al rettangolo di gioco”

Tuttavia, non per tutte le regole può risultare così semplice, ma potrebbe essere necessario formulare delle possibili ipotesi e poi verificarle osservando la partita.

Supponiamo ad esempio che, dopo diversi minuti, ci accorgiamo anche di un altro “fenomeno” che appare essere consueto: i giocatori toccano la palla con qualunque parte del corpo, ma mai con le braccia; anzi, quando un giocatore tocca la palla con le braccia, l’arbitro fischia un fallo. Annotiamo dunque sul taccuino una nuova possibile regola:

“nel gioco del calcio nessuno può toccare la palla con le braccia”.

Supponiamo allora che per diversi minuti questa regola appaia assolutamente confermata, fino a che un giocatore calcia verso la porta avversaria e il portiere, con un colpo di reni, si lancia verso la palla e la afferra con le mani: ma l’arbitro in quel caso non fischia alcun fallo, nessuno protesta, tutto sembra essere assolutamente normale.

Tale accadimento mette in crisi la regola che abbiamo messo nel nostro modello: infatti, quel giocatore ha toccato la palla con le mani e non è stato fischiato alcun fallo. Quindi la regola del divieto di usare le braccia è una regola completamente sbagliata, e va cancellata dal taccuino? Da un lato ci verrebbe da dedurre che sia così, ma dall’altro continuiamo ad osservare, anche nei minuti successivi, che nessuno tocca la palla con le braccia e che quando lo fa, l’arbitro fischia un fallo.

Ciò ci suggerisce che quella regola non sia totalmente sbagliata, ma che piuttosto esista un qualcosa che manca nella nostra comprensione dello svolgimento del gioco, una qualche applicazione o eccezione che ci sfugge.

Tutto quello che possiamo fare, allora, è provare ad elaborare delle possibili ipotesi alternative che tengano in piedi la regola generale, ma che aggiungano degli elementi in più:

forse solo in determinati minuti è possibile toccare la palla con le braccia

Per confermarlo dobbiamo verificare: ci segniamo il minuto in cui abbiamo visto quel giocatore toccare la palla con le mani senza commettere fallo e andiamo allo stadio a vedere anche altre partite; così facendo, ci accorgiamo non solo che in quel preciso minuto non è affatto detto che qualcuno tocchi la palla con la mano, ma anche che, in realtà, capita anche in altri minuti che qualcuno lo faccia senza commettere fallo. La nostra ipotesi è pertanto errata.

Concentrandoci maggiormente su quello che accade nel tentativo di elaborare una nuova ipotesi, ci accorgiamo poi di un elemento ulteriore: solo uno dei giocatori della squadra tocca la palla con le mani senza commettere fallo, mai due o più.

Scartiamo dunque l’ipotesi precedente e ne formuliamo un’altra:

“nel gioco del calcio, a ogni squadra è concesso di scegliere un giocatore che possa toccare la palla con le mani durante la partita”.

Per essere sicuri che sia effettivamente così, decidiamo allora di fare degli “esperimenti”: ci improvvisiamo allenatori e ordiniamo al nostro attaccante, e solo a lui, di usare liberamente le mani. Quando inizia la partita, però, notiamo che l’arbitro ferma il gioco ogni volta che il nostro attaccante afferra la palla con le mani, segno che la nostra ipotesi non era corretta.

Tentiamo allora di dare lo stesso ordine ad un centrocampista o a un difensore, ma otteniamo sempre lo stesso risultato: l’arbitro fischia un fallo. Infine, proviamo a dare quell’ordine al portiere e a quel punto accade finalmente qualcosa di diverso: in alcuni casi l’arbitro lascia proseguire, in altri casi fischia un fallo. Questo inizialmente ci manda in confusione, perché da un lato ci impedisce di formulare una regola universale del tipo “solo il portiere può toccare la palla con le mani” perché, a quanto pare, non “sempre” può farlo. Dall’altro, dagli esperimenti svolti abbiamo comunque potuto dedurre che solo il portiere ha questa facoltà, perché non accade mai che un altro giocatore tocchi la palla con le mani senza commettere fallo. Abbiamo acquisito una conoscenza in più, ma ancora incompleta.

Dimostrato che questa facoltà spetta unicamente al portiere, non resta allora che capire a quali condizioni possa effettivamente usare le mani.

Per farlo, è di nuovo necessario avviare delle verifiche: in particolare, potremmo annotare sul taccuino tutte le circostanze collaterali che si verificano quando il portiere tocca la palla con le mani (il minuto in cui accade, il risultato del momento, la posizione in campo, ecc…), distinguere tra quelle circostanze quelle in cui è stato fischiato un fallo da quelle in cui invece il gioco è proseguito e cercare di capire quali di quei fattori mutino nelle due ipotesi, nel tentativo di individuare delle correlazioni che ci permettano di trovare il fattore discriminante tra il “fallo di mano” e il “gioco regolare”.

Verifichiamo poi i risultati: quel che rileviamo è che il minuto in cui avviene il tocco con le mani è indifferente per stabilire quando sia fallo e quando no (ad esempio, nello stesso minuto una volta è stato fischiato il fallo, in un’altra no); quanto al risultato momentaneo della partita, anch’esso sembra essere indifferente rispetto alla possibilità per il portiere di usare le mani o meno (osservo infatti che può farlo indipendentemente dal fatto che la sua squadra stia vincendo o perdendo). Infine, valutiamo la posizione in campo e notiamo finalmente qualcosa di interessante: tutte le volte che il portiere afferra la palla con le mani all’interno della propria area il gioco prosegue; quando invece lo fa al di fuori dell’area, l’arbitro ferma il gioco. Abbiamo individuato il fattore discriminante.

A seguito delle numerose verifiche e ipotesi formulate, ecco che arriviamo finalmente a elaborare una regola definitiva:

“nel gioco del calcio nessuno può usare le mani con la sola esclusione del portiere, purché lo faccia all’interno della sua area di rigore”.

Ebbene: il lungo procedimento che ho descritto in questa metafora, fatto di osservazioni, ipotesi, esperimenti, confutazioni, nuovi esperimenti e conferme empiriche, è quello che chiamiamo “metodo scientifico”. Osservo un fatto, elaboro un’ipotesi per interpretarlo, la verifico sperimentalmente e controllo i risultati; se essi non confermano la mia ipotesi, ne elaboro un’altra e ripeto l’iter dall’inizio. Come potete vedere, non si tratta di un sistema che presuppone particolari regole “scientifiche”, dogmi pre-imposti o assunti non verificati: si tratta di una semplice procedura logica per cercare risposte alle nostre domande.

Per questo, è assolutamente normale che la scienza diffonda teorie che restano valide finché nuove osservazioni o nuovi esperimenti non dimostrino che sono sbagliate, migliorandole e rendendole più precise; infatti, anche nel caso di teorie “inesatte” non si può parlare di fallimenti o di errori “assoluti”: anche quando la scienza sbaglia, cioè, non fa altro che aprire la strada per nuove verifiche e permettere ai successivi ricercatori di fare un passo avanti ulteriore, offrendo la possibilità ad un nuovo scienziato, sulla base di quegli errori, di formulare una nuova ipotesi più corretta e provare a verificarla.

Il fatto cioè che la mia iniziale ipotesi basata sul metodo scientifico si riveli inesatta non significa che allora possiamo elaborare l’ipotesi che ci pare, perché quella ipotesi deriva dall’osservazione del fenomeno e non può essere ignorata del tutto (il fatto che si giochi su un campo in erba e a piedi continua a restare valido, quindi la teoria per cui si giochi in piscina a bordo di un cavallo di gomma non può essere presa in considerazione).

Fuor di metafora, il metodo scientifico è quello che ha permesso ad Einstein di superare la legge di gravitazione universale di Newton: senza Newton molto probabilmente non avremmo mai avuto Einstein, che è giunto alle sue conclusioni proprio rilevando delle incongruenze nelle equazioni del suo predecessore; equazioni che erano comunque frutto dell’osservazione e della sperimentazione e che di per sé non possono definirsi “errate” ma solo incomplete perché mancanti di altri dati a Newton ancora sconosciuti. Allo stesso modo, la regola “uno dei giocatori può usare le mani” non è sbagliata in assoluto, manca solo di alcuni dettagli fondamentali, come appunto che quel giocatore è sempre e solo il portiere e che può farlo solo dentro l’area di rigore. Considerazioni che sarebbe stato impossibile formulare se si fossero ignorati i dettami del metodo scientifico e la logica corretta per produrre risposte valide.

La scienza non è una dottrina: è una procedura logica per trovare risposte. per questo tutte le domande hanno una risposta scientifica e solo scientifica.

P.T.