L’articolo di oggi è piuttosto controcorrente: l’intento è quello di dimostrarvi che uno dei principali problemi della democrazia odierna è che i Governi sono troppo brevi.

Mi rendo conto che molti di voi potrebbero rabbrividire all’idea di avere a capo dell’esecutivo certi personaggi – soprattutto in Italia – per una decina di anni o più ininterrottamente; ma oggi cercherò di spiegarvi perché, per quanto possa sembrare assurdo, averli al governo per soli 5 anni costituisce un problema ben più grave.

Bravi politici e bravi statisti

E’ molto conosciuta la frase erroneamente attribuita ad Alcide De Gasperi – in realtà detta da James Freeman – in base alla quale:

Un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista guarda alla prossima generazione

James Freeman

Ed è proprio da questa considerazione che prenderò le mosse.

In effetti, le riforme strutturali e gli interventi concreti sulla società, l’economia e la legge in generale necessitano di decenni per poter essere portate a compimento. Una buona riforma strutturale è tale se è capace di produrre effetti sul lungo periodo e se può garantire una certa solidità, ma per fare questo è necessario impostarla con i dovuti criteri; peraltro, molto spesso riforme del genere comportano necessariamente un sacrificio iniziale, nel senso che, sul breve termine, comportano investimenti, perdite economiche, stallo sociale.

Come sempre ho cura di dire, situazioni complesse necessitano di soluzioni complesse, che ben difficilmente sanno offrire risultati tangibili immediati.

Durata delle riforme vs durata dei governi

Pertanto, una riforma strutturale che possa dirsi davvero efficace e quindi utile per il Paese ha bisogno di almeno una decina d’anni per poter dispiegare i suoi effetti. E per poterlo fare, è chiaramente necessario che sia sempre lo stesso governo ad occuparsene, perché solo mantenendo un’unica visione politica – quale che essa sia – è possibile portare quelle riforme a compimento. Il continuo ricambio dei governi, invece, ostacola fortemente questa strategia, perché, per ovvie ragioni, ogni governo ha la tendenza a smontare i progetti avversi per ristrutturarli daccapo secondo la propria visione politica.

In Italia i governi sono troppo brevi

Quanto durano i governi in Italia? In base alla normativa costituzionale – art. 60 Cost. – il Parlamento, e di conseguenza il Governo da esso nominato, resta in carica 5 anni.

Inoltre, come ben sappiamo, l’Italia è caratterizzata da una particolare instabilità dei Governi, dovuta principalmente alla grande varietà di forze politiche – multipartitismo – che difficilmente consente di individuare una maggioranza stabile e duratura. Di conseguenza, in Italia sono stati molto pochi i governi che sono riusciti a concludere la loro legislatura.

i governi durano troppo poco

La tabella qui a fianco mostra infatti quanti siano stati i governi che si sono avvicendati sulla scena politica italiana e quanto poco essi siano durati; non solo, ma valutando la posizione politica di ognuno, emerge come la storia dei governi italiani sia caratterizzata da una quasi totale altalenanza delle ideologie politiche: ad ogni governo di un colore politico se ne è sostituito uno di colore avverso.

Questo, molti diranno, è proprio il fulcro centrale dei principi democratici, che consentono questa altalenanza e quindi la possibilità che tutte le forze politiche possano dare la loro impronta ideologica al Paese, come garanzia di quel fondamentale principio giuridico che è il pluralismo. Non è certo mia intenzione contestare questo assunto, quanto rilevare come esso si porti dietro una serie di conseguenze di tutto rilievo alla luce dell’efficienza della politica, non solo nella sua capacità di risolvere i problemi del Paese ma soprattutto nella scelta delle priorità che la politica stessa si prefigge.

Il principale problema derivato dal fatto che i governi sono troppo brevi riguarda infatti gli obiettivi che la politica finisce per prefiggersi, a discapito del bene comune.

i governi durano troppo poco

Durata dei governi e manipolazione dell’opinione pubblica

Strategie controproducenti…

Immaginiamo infatti lo scenario che ci troviamo di fronte in queste condizioni.

Poniamo che il partito salito al Governo avvii una riforma strutturale. Essa sarà in grado di produrre effetti molto benefici sull’economia del Paese e di ristabilire un equilibrio sociale a partire dal settimo anno, per poi manifestare tutti i suoi effetti vantaggiosi in modo definitivo a partire dal decimo; tuttavia, essa necessita di alcuni investimenti e modifiche normative che causeranno un aumento delle tasse e una iniziale stagnazione economica per i primi 5 anni.

Cosa accadrà a livello elettorale? Chiaramente, il popolo manifesterà la sua fiducia o meno al Governo in carica in base ai risultati che potrà percepire alla scadenza del mandato; ciò che percepirà alla scadenza dei primi 5 anni – ossia a fine legislatura – sarà che le politiche del Governo hanno portato alla stagnazione economica e a un aumento della pressione fiscale. Ben difficilmente la maggioranza del popolo comprenderà che si tratta di una semplice fase di una strategia più lunga, e quindi non accetterà di rinnovare la fiducia a quella fazione per gli ulteriori 5 anni necessari a verificare i risultati della manovra.

Il popolo vuole risultati tangibili e li vuole subito.

Pertanto, strategie da buon statista, che possano produrre effetti più stabili e duraturi, non faranno altro che farti perdere le successive elezioni.

…E strategie più efficaci

Poniamo invece che il Governo salito in carica agisca non per il bene comune ma al solo fine di vedersi rinnovata la fiducia elettorale: cosa farà?

Certamente avvierà delle manovre di facciata, dei meri palliativi che non avranno alcun effetto utile sul lungo termine ma che sapranno, nell’immediato, dare al cittadino una percezione di miglioramento delle sue personali condizioni. Perché, ovviamente, i cittadini giudicano sulla base della loro esperienza specifica e non su un ragionamento complessivo.

Per questo, i partiti in generale tenderanno a evitare strategie di lungo periodo – dannose dal punto di vista elettorale – per preferire dei “contentini” immediati e fini a se stessi: penso ad esempio agli 80 euro di Renzi o al Reddito di Cittadinanza del M5S; soluzioni che non solo non favoriscono, sul lungo periodo, l’aumento effettivo del potere d’acquisto del cittadino né favoriranno una maggiore occupazione, ma anzi alla lunga costringeranno lo Stato ad aumentare le tasse per colmare quelle spese, causando cioè un peggioramento generale.

Ma ciò non avrà importanza per i partiti in questione, perché fornendo un apparente miglioramento sul breve termine si assicureranno la vittoria alle future elezioni e avranno sempre tempo di “tappare” i buchi creati da loro stessi nella seconda legislatura, spostando in avanti il problema potenzialmente all’infinito.

Durata dei governi e populismo

Come ho cercato di chiarire, il fatto che i governi sono troppo brevi favorisce quindi il populismo. Le strategie populiste, infatti – ne avevo parlato qui – puntano a soluzioni semplicistiche e immediate, che siano facilmente comprensibili al popolo e possano fornire almeno un’apparente efficacia. In questo senso, tali strategie si adattano perfettamente all’odierna democrazia rappresentativa che prevede scadenze di legislatura molto ravvicinate.

Si tratta di una dinamica molto semplice, di cui ha avuto modo di parlare anche il famoso geopolitico Parag Khanna nel suo libro “La rinascita delle città Stato“; le odierne democrazie occidentali si reggono su un obiettivo principale, costituito dalle elezioni. Se lo scopo dei partiti è quello di vincere le elezioni, va da sé che ogni partito cercherà di utilizzare la migliore strategia possibile per poter arrivare alla scadenza con la più alta fiducia possibile.

Non sarà dunque di alcuna utilità improntare riforme che non produrranno effetti positivi – ed anzi ne produrranno di negativi – sul breve termine, perché questo significa perdere credibilità agli occhi del pubblico in vista delle elezioni. I partiti tenderanno così a governare per palliativi e a giustificare ogni effetto negativo durante la loro legislatura come un problema “dei governi precedenti“. Mantenere la fiducia dell’elettorato è più importante dei risultati concreti ottenuti nell’ottica del gioco politico, e le scadenze elettorali ravvicinate di fatto spingono le parti politiche ad adottare soluzioni populiste.

Se i governi durassero 10 anni…

Per queste ragioni, quando all’inizio dicevo che governi di dieci anni non favorirebbero i partiti populisti intendevo esprimere un simile concetto: è vero che oggi la politica italiana è caratterizzata da una forte tendenza populista, e che quindi l’idea che i partiti odierni – penso a Lega e M5S su tutti, ma non solo – possano restare al governo per 10 anni potrebbe farci storcere il naso; tuttavia, se davvero la fiducia elettorale andasse rinnovata non ogni 5, ma ogni 10 anni, i partiti non avrebbero alcun interesse a fornire soluzioni immediate, che operano sul breve termine, perché sul breve termine non ci sarebbe necessità di ottenere un rinnovo di fiducia.

Al contrario, il popolo sarebbe chiamato a pronunciarsi sul medio periodo – 10 anni in ipotesi – e quindi i partiti saprebbero che la loro opera dovrà mostrare i propri risultati a quella scadenza e non prima. Anzi, misure che producono risultati positivi sui 5 anni non sarebbero affatto opportune, perché il popolo dimentica facilmente effetti lontani negli anni e si concentra inevitabilmente su ciò che percepisce sul momento presente. Meglio sarà, dunque, adottare strategie che possano dare effetti sui 10 anni e non sui 5, così che i cittadini si ritrovino a dover rinnovare la fiducia al Governo proprio quando i risultati del suo operato si stanno concretamente manifestando.

Insomma: se i governi durassero 10 anni, le strategie populiste risulterebbero controproducenti e dunque l’uso ne sarebbe disincentivato.

E invece, allo stato attuale l’ossessione per la rappresentatività, in questo senso, finisce per sovrastare l’efficienza dei governi; col risultato che, pur di avere governi davvero rappresentativi, si finisce per avere amministrazioni inefficienti e disinteressate al bene comune.

I governi sono troppo brevi; per questo sono inefficienti.

P.T.