Una delle nuove tesi “giuridiche” emerse negli ambienti “negazionisti” è quella riguardante esibizione Green Pass e rifiuto atti d’ufficio. A parere di alcuni, infatti, l’obbligo di esibizione del Green Pass nei luoghi nei quali si svolgono servizi pubblici, con conseguente divieto di ingresso per chi non lo possiede, integrerebbe almeno due reati previsti dal nostro codice penale: il rifiuto di atti d’ufficio di cui all’art. 328 c.p. e l’interruzione di pubblico servizio ex art. 340 c.p.

La convinzione di questa correlazione tra esibizione Green Pass e rifiuto atti d’ufficio è tale che sta circolando sui social un’immagine di un volantino che i negazionisti stanno diffondendo in giro, richiedendo che sia affisso in tutti gli uffici comunali, le banche e le poste.

Esibizione Green Pass e rifiuto atti d'ufficio

E’ davvero così? Come al solito, per capirlo sarebbe sufficiente leggere gli articoli citati senza limitarsi alla rubrica (cioè al “titolo” dell’articolo, tipico atteggiamento dell’analfabetismo funzionale, non a caso…).

Esibizione Green Pass e rifiuto atti d’ufficio: l’art. 328 c.p.

Iniziamo dall’art. 328 c.p., che disciplina proprio il rifiuto di atti d’ufficio.

Esibizione Green Pass e rifiuto atti d'ufficio

Come potete leggere, l’articolo dice che “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblicao di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni“.

Il reato in questione si sostanzia cioè quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio rifiuti indebitamente un atto del suo ufficio, ma non uno qualunque: solo quello che, per le ragioni individuate nella norma, deve essere compiuto senza ritardo.

Dalla lettura della norma notiamo quindi che il reato sussiste solo per atti urgenti e non procrastinabili (ergo, mandare una raccomanda non è un atto un urgente), ma soprattutto sussiste solo se il rifiuto è indebito, ossia non dovuto, ingiustificato. Nel caso del Green Pass, invece, il rifiuto è imposto da una norma imperativa, ed è quindi impossibile qualificarlo come “indebito”; anzi, essendo un vero e proprio obbligo di legge, ad essere indebito sarebbe semmai il contrario, ossia consentire l’ingresso nell’ufficio al soggetto senza Green Pass nonostante il divieto di legge.

Quindi no: il rifiuto di atti d’ufficio non c’entra niente con la normativa sul Green Pass.

Banche e poste sono incaricati di pubblico servizio?

C’è poi un altro problema: il discorso appena fatto avrebbe senso per quanto riguarda il Comune, che è in effetti un ufficio pubblico; ma il discorso non sarebbe comunque valido per le banche, in quanto le stesse non sono considerate istituti incaricati di pubblico servizio ma istituti privati, quindi non soggetti alla disciplina di cui all’art. 328 c.p.

E le poste? Per le poste il discorso è più complesso. Come potete leggere dall’analisi di questa sentenza della Corte di Cassazione, dopo una serie di orientamenti oscillanti sulla qualificazione dei dipendenti postali quali “dipendenti privati” o “incaricati di pubblico servizio”, la Suprema Corte ha stabilito dei distinguo sulla base del tipo di attività che viene concretamente svolta.

In breve, il dipendente postale è un dipendente privato in generale, salvo che nello svolgimento dell’attività di raccolta del risparmio, in quanto quella specifica attività è finalizzata alla tutela di un interesse pubblico. Quindi, la posta può considerarsi incaricata di un pubblico servizio, e quindi eventualmente integrare il reato di cui sopra, solo per lo svolgimento di attività di raccolta del risparmio e comunque, come visto, solo per atti improcrastinabili e salvo che non sussista una giustificazione tale da rendere quel rifiuto non indebito, come appunto il rispetto di una legge.

Se dovete mandare una raccomandata o ritirare allo sportello, invece, la Posta non è un ufficio pubblico quindi non rientra nella disciplina dell’art. 328 c.p.

Infatti, la sentenza ha condannato per peculato – ossia sottrazione di denaro pubblico – il dipendente postale per aver sottratto denaro finalizzato alla raccolta del risparmio, mentre “annullava senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo A,  trattandosi di appropriazione di somme di denaro non riguardanti la raccolta di risparmio postale ma attinenti al normale sistema di pagamento di Poste Italiane S.p.a. e come tali, qualificabili giuridicamente come condotte integranti gli estremi del delitto di appropriazione indebita“, cioè un reato non connesso con lo svolgimento di un’attività di carattere pubblico.

Esibizione Green Pass e interruzione di pubblico servizio

Veniamo ora all’art. 340 c.p., ossia l’interruzione di pubblico servizio.

L’articolo dice espressamente che:

Chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge, cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, è punito con la reclusione fino a un anno.

Art. 340, comma I, c.p.

Come potete leggere, l’articolo fa espressamente salve eventuali altre disposizioni di legge che lo consentano; di conseguenza, se esiste una legge che impone di interrompere il servizio nei confronti di chi non esibisce il Green Pass, siamo fuori dai casi disciplinati da questo articolo.

Del resto, è lo stesso codice penale, all’art. 51 c.p., a disciplinare esplicitamente una forma di scriminante, affermando che:

L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità.

Art. 51, comma I, c.p.

Questo significa che, in ogni caso, qualunque eventuale reato che sia stato commesso nell’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica non può essere punito: ed è proprio il caso in specie, dal momento che, se anche esibizione del Green Pass e rifiuto atti d’ufficio, o interruzione di pubblico servizio, rientrassero in quelle due fattispecie, comunque il tutto sarebbe imposto da una norma giuridica (il decreto che impone il Green Pass per accedere agli uffici pubblici) e dunque vigerebbe la scriminante dell’art. 51.

…E la Costituzione?

Ci terrei infine a rilevare, dato che il volantino parla di Costituzione, che il cherry picking degli articoli della Costituzione è poco onesto per sostenere una tesi. Posto che l’articolo 3 non c’entra niente, perché la “discriminazione” è tutt’altra cosa (se questa fosse discriminazione, allora anche consentire di guidare solo a chi h la patente lo sarebbe), chi sostiene questa tesi dimentica che la Costituzione ha anche un articolo 16, che dice espressamente:

“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.

Art. 16 Costituzione

Pertanto, è proprio la Costituzione a consentire questo tipo di limitazione, purché sia fatta con legge e per motivi di sanità pubblica. Che guarda un po’, è proprio il caso in cui ci troviamo noi.

E quindi, per concludere, anche oggi la dittatura sanitaria la svelate domani. Se nel frattempo, invece di piazzare volantini a caso, vi metteste a studiare diritto, certamente fareste più bella figura.

P.T.

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