Come avremo modo di approfondire nelle prossime settimane, le distorsioni cognitive (oltre che gli errori di metodo e la generale ignoranza in determinate materie) sono i principali artefici della tendenza di alcuni esseri umani a credere a teorie antiscientifiche, credenze e complotti; con riferimento a questi ultimi, però, esistono tutta una serie di concause psicologiche specifiche, che spesso inducono alcuni soggetti a vedere cospirazioni in tutte le situazioni “ambigue” o comunque di difficile comprensione della società e della politica.

Tra queste, quelle che ho ritenuto essere più importanti sono certamente le 5 seguenti:

1- Intenzionismo: secondo lo studioso Micheal Shermer (in “Homo Credens”) ma anche in base ad alcuni studi avviati dallo scienziato Bruce Hoods (autore del libro “Il Supersenso”) gli esseri umani non hanno semplicemente la tendenza a creare schemi e correlazioni, ma anche quella di dare a quelle correlazioni un’intenzione: esiste cioè una


tendenza dell’essere umano ad attribuire un’intenzione e un senso volontario a qualunque accadimento della natura e in generale agli schemi creati dal suo cervello

In questo modo il cervello riesce ad interpretare un accadimento altrimenti troppo complesso e ricco di variabili per poter essere afferrato nel suo complesso: noi agiamo in base ad intenzioni e volontà, quindi è tutto più semplice da spiegare se anche la natura agisce nello stesso modo; di conseguenza eventi come epidemie, terremoti e catastrofi vengono ricondotti ad un agente intenzionale così da risultare più affini a lui e quindi più semplici da interpretare. Per questo motivo i complottisti tendono a vedere la “mano dell’uomo” dietro ogni accadimento, ipotizzando una cospirazione.

2- Proiezione: secondo un articolo degli psicologi K. Sutton e R. Douglas molti esseri umani tendono ad “interiorizzare” gli accadimenti inducendo ad interpretarli in base a come loro avrebbero agito in quella determinata situazione. Molti complottisti sarebbero dunque semplicemente dei soggetti che, messi in quella situazione, avrebbero inscenato una farsa per interessi personali.

3- Autogiustificazione: in una società complessa, nella quale tutto è deciso dall’alto e dove ognuno di noi si sente solo un piccolo granello di sabbia nel deserto, l’autostima e la convinzione di poter davvero condizionare la propria vita spesso scemano, soprattutto negli individui meno sicuri di sé o che hanno subito determinati eventi nella loro vita non controllabili che li hanno resi psicologicamente indifesi. Questo fattore finisce per diventare una sorta di autogiustificazione del nostro insuccesso, che il cervello inizia ad utilizzare per spiegare ogni nostro fallimento (non troviamo lavoro per colpa del sistema, non troviamo una ragazza per colpa di altri, non abbiamo soldi per colpa della società e dei politici che rubano, ecc…); questa auto-giustificazione ben si concilia coi complotti, che individuano sempre situazioni decise dall’alto, sulle quali nessuno di noi può fare nulla e che condizionano negativamente la nostra vita in modo irrimediabile.

4- Effetto Dunning-Kruger: anche l’effetto Dunning-Kruger favorisce la creazione di una mentalità complottista; se si osserva il grafico che lo rappresenta, si nota come la pendenza della linea indichi la variazione di autostima in rapporto alla variazione di conoscenza. Quando la pendenza è “positiva” significa che, apprendendo di più, la propria autostima sale. Quando ciò si verifica, la persona è incentivata ad aumentare la propria conoscenza, perché così facendo si procura una sensazione piacevole.

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Ma se uno è abbastanza incompetente e si trova dunque all’inizio della curva, andare avanti e diventare meno ignorante lo renderebbe più consapevole della propria ignoranza, e questo si tradurrebbe in uno stimolo spiacevole. In questa situazione esiste pertanto uno stimolo a non andare avanti, in modo che la disistima non aumenti.

Quando una persona è in questa situazione, è avvantaggiato uno stimolo parallelo a trovare spiegazioni alternative che depotenzino il suo senso di ignoranza. La narrazione più facile e immediata è che, citando Orwell, “l’ignoranza sia forza”: per esempio, perché la conoscenza in realtà non è tale, ma è un inganno. Se la conoscenza ufficiale è un inganno, l’ignoranza acquista valore e il senso di inadeguatezza scompare. Ecco che in questo senso l’effetto Dunning-Kruger spinge le persone ad avere sfiducia nella conoscenza e a preferire l’ipotesi dell’inganno, favorendo il complottismo.

5-Tendenza complottista: quasi sempre il complottista crede a tanti complotti e non solo a uno: ed è anche questo un fattore cognitivo comune. Di questa dinamica ci parla un altro studio, condotto da Koerth e Baker, che ha rilevato appunto che chi si è convinto che una delle teorie del complotto sia vera tenderà a trovare plausibili anche tutte le altre che spiegano lo stesso evento, nonostante molte di queste siano tra di loro in contraddizione. Ma non solo: lo stesso soggetto tenderà a credere alla versione complottista, quando esiste, di ogni evento conosciuto, e questo perché 


una teoria del complotto non è tanto la risposta a un singolo evento, quanto  l’espressione di una visione del mondo complessiva

Anche parlando di complotti, dunque, non è corretto additare l’ignoranza come unica colpevole: le distorsioni cognitive del nostro cervello ci inducono, nei modi analizzati, a maturare una spiegazione “complottista”, radicando in noi convinzioni che diventano impossibili da scardinare anche di fronte alle palesi confutazioni logico-scientifiche. Convincere un complottista di essere in errore è un’operazione quasi impossibile: messo di fronte alla realtà, questi tenderà infatti a cambiare versione, a riadattarla pur rendendola illogica, a tacciare di falso ogni argomento contrario e ogni interlocutore di essere un “servo del sistema” pagato per nascondere la verità. Tutto questo al solo fine di tenere in piedi l’impianto logico creato da suo cervello, che fa il possibile per non abbandonare gli schemi acquisiti per la paura di dover “resettare” la sua  scala di valori e dover ricominciare daccapo.

P.T.