Nell’immaginario comune, gli alieni vengono quasi quotidianamente a farci visita a bordo dei loro dischi volanti: praticamente tutte le testimonianze, gli avvistamenti, le foto e i video che circolano sul web e che costituiscono prove dell’esistenza di visitatori alieni sul nostro pianeta, rappresentano le astronavi aliene come dei dischi.

Il che pare abbastanza strano, dal momento che nessuno dei mezzi volanti che sia mai stato costruito dall’uomo ha mai presentato una forma simile ad un disco, ritenuta non idonea aerodinamicamente parlando. Una circostanza che, a dire il vero, potrebbe confermare proprio l’autenticità di quelle prove: gli alieni sono più evoluti e quindi evidentemente conoscono tecnologie aerodinamiche a noi sconosciute, che gli permettono di costruire macchine volanti con modalità che con le nostre conoscenze non sarebbero idonee al volo. Del resto, se tutti gli avvistamenti parlano di dischi volanti nonostante in nessun modo quella forma sia mai stata pensata dall’uomo per il volo, ciò non può che significare che quei dischi non sono frutto di una qualche forma di bias o pregiudizio mentale, ma sono invece oggetti autentici.

Ma gli avvistamenti di UFO hanno sempre parlato di aeromobili a forma di disco? La risposta è no.

Anzi, siamo addirittura in grado di fissare una data molto precisa che segna la nascita e l’ingresso del “disco volante” nel senso comune: il 24 giugno 1947.

Kenneth Arnold

In quella data, un imprenditore chiamato Kenneth Arnold stava sorvolando il cielo con il suo aereo privato, quando fu testimone di uno stranissimo avvistamento: a circa 30 km da lui, sempre nel cielo, vide una serie di oggetti luminosi muoversi in modo strano. Quando rese pubblico alla stampa quel che vide, spiegò che si trattava di oggetti che volavano “come se fossero legati insieme” compiendo manovre repentine e quasi a zig-zag: per rendere l’idea, disse ai giornalisti che volavano quasi “rimbalzando”,

“come farebbe un disco lanciato sull’acqua”.

Come più volte ebbe modo di precisare anche in seguito alla diffusione della notizia, nella sua spiegazione metaforica si riferiva semplicemente al movimento e non alla forma, infatti specificò che quegli oggetti non avevano affatto la forma di un disco. Tuttavia, praticamente tutti i giornali che riportarono la notizia scrissero nel titolo la parola “dischi” per dare un’idea più immediata del contenuto dell’articolo. Da quel momento, il concetto e l’idea di “disco volante” si insinuò nell’immaginario comune e finì per diventare un’ancora per interpretare ogni avvistamento di UFO.

Che si tratti di un mero effetto ancoraggio del cervello è dimostrato dal fatto che, prima di quella data, non esiste alcun avvistamento che parli di dischi, mentre già solo nelle settimane successive al 24 giugno 1947, i giornali riportano centinaia di casi di avvistamenti di quel tipo, spesso non verificati ma diffusi dai giornali per seguire l’onda dell’opinione pubblica.

Il consolidamento di quell’idea nel senso comune è stato poi ulteriormente rafforzato dall’utilizzo di quell’immagine per film, serie tv e romanzi di fantascienza, fino a creare un vero e proprio stereotipo di UFO al punto che, salvo rarissime eccezioni, il disco è ormai la forma consueta per qualunque tipo di astronave aliena in tutta la letteratura sul tema.

Il potere dei bias cognitivi nel condizionare il nostro pensiero, le nostre percezioni e addirittura il senso comune della nostra comunità di appartenenza emerge da questo esempio in maniera lampante: quando pensate ai dischi volanti, a quanto ne sia diffusa la letteratura, quante siano le prove che circolano sul web e quante le testimonianze dell’esistenza di oggetti simili, ricordate che essi esistono nella nostra testa perché sono stati elaborati dal nostro cervello a causa di una errata interpretazione di una similitudine a cui le testate giornalistiche del tempo hanno dato forte eco, infilando nel nostro folklore un concetto prima inesistente e sprovvisto di qualunque evidenza ma diffusosi e consolidatosi a tal punto nei nostri schemi mentali attraverso un effetto congelamento che ha reso ormai la teoria dei “dischi volanti” quasi un’evidenza scientifica.

P.T.