Breve viaggio logico all’interno del metodo scientifico

Cenni su Kuhn e le rivoluzioni scientifiche (III di III)

«Sono fra coloro che pensano che la scienza abbia una grande bellezza. Uno studioso nel suo laboratorio non è solo un tecnico, è anche un bambino messo di fronte a fenomeni naturali che lo impressionano come una fiaba»

Marie Curie

In realtà non c’è alcun criterio oggettivo ed univoco in grado di distinguere una rivoluzione “vera e propria” da una “minore” e, in ultima analisi, neanche tra “scienza rivoluzionaria” e “scienza normale”.

Non a caso l’importanza di una rivoluzione può essere determinata solo prendendo in esame i risultati da essa prodotti in un tempo che non può essere stabilito a priori, nonché in base all’entità delle trasformazioni che produce alla nostra concezione del mondo, a patto che tale trasformazione sia realmente compresa e definita con i canoni propri di scienza e filosofia.

È chiaro che durante la sua formazione allo scienziato vengano forniti dei “paradigmi” (termine che non amo particolarmente – lo stesso Kuhn a volte lo utilizza come sinonimo esatto di teoria, altre volte come sinonimo di teoria ma non perfettamente coincidente, altre ancora in modo diverso -, ma che utilizzo per parlare in termini kuhniani) che egli accetta “fideisticamente”, ma ciò non significa che essi stessi siano stati accettati fideisticamente o arbitrariamente anche da coloro che lo hanno preceduto visto che, come già specificato, tali paradigmi sono stati accettati da loro stessi (o dai loro predecessori) proprio per via del processo di verificazione/falsificazione al quale sono stati sottoposti.

Lo scienziato li accetta conscio di questo fatto (ossia che quei paradigmi siano stati in qualche modo “accertati”) ma, dato che insieme ai paradigmi gli vengono forniti anche i mezzi per metterli in discussione, egli potrà farlo in qualunque momento.

Quando mettere in discussione un paradigma

Ovviamente, affinché sia scientificamente e logicamente corretto mettere in discussione un paradigma, è necessario che vi siano fenomeni, ad esso attinenti, che non si riescano a spiegare, oppure che vi siano delle contraddizioni insanabili al suo interno, o relativamente ad altre teorie consolidate. Non è sufficiente che vi siano delle “anomalie” (non ben identificate) o delle “discrepanze” poco chiare (che potrebbero dipendere da moltissime variabili) per decidere di cambiare un paradigma che permette di spiegare molte evidenze sperimentali, che è coerente con gli altri paradigmi, è in grado di fare predizioni accurate, ed è stato sottoposto a processo di verificazione/falsificazione (“scienza normale”).

Tra l’altro, lo stesso concetto di “cambio di paradigma” non sembra neanche corretto visto che, a ben vedere, sembrerebbe trattarsi più di una “estensione di paradigma” (che contiene il precedente), e anche quando si può parlare di “cambio” vero e proprio è possibile, in un secondo momento, trovare un paradigma che giustifica entrambi i precedenti (questo nel caso in cui consideriamo il paradigma come sinonimo di teoria).

Per quanto concerne l’attività degli scienziati, possiamo certamente affermare che essi, mentre sviluppano una teoria, possono essere influenzati dalle proprie credenze, ma da questo non possiamo dedurre che la teoria sviluppata non sia oggettiva. Infatti essa viene comunque sottoposta a controllo e verifica più volte, da più scienziati ed in modi diversi, quindi per quanto uno scienziato possa credere alla validità della propria teoria, alla fine essa dovrà fare inevitabilmente i conti con il processo di verificazione/falsificazione che ne decreterà la validità (“scienza normale”).

L’argomento kuhniano che la natura sia “carica di teoria” dei dati, ovvero che i fatti siano influenzati dalla teoria, non inficia il ragionamento: infatti, anche ammettendo che la teoria sia basata su un paradigma, esso non è figlio di una “accettazione incondizionata” o peggio ancora fideistica ma è frutto, come già specificato, di processo di verificazione/falsificazione che lo ha preceduto permettendone la sua accettazione.

Il fatto che anche la natura sia “carica di teoria” non ci permette neanche di dedurre che bisogna abbandonare la nozione di verità oggettiva; infatti, sostenere che la natura sia “carica di teoria” e che ciò rende difficile la conoscenza oggettiva della stessa, non equivale a sostenere che il concetto stesso di verità oggettiva sia incoerente, ed infatti non lo è.

Tutto ciò senza neanche considerare il fatto che affermare che la verità non può essere oggettiva, ma è relativa al paradigma, è in realtà autocontraddittorio. Infatti, l’asserzione: “la verità non è oggettiva ma è relativa al paradigma” è una verità oggettiva oppure no? Se è una verità oggettiva, allora il concetto di verità oggettiva è coerente ed esiste, e quindi non è vero che non può esistere una verità oggettiva; se invece non è una verità oggettiva, allora è possibile metterla in discussione, e quindi si potrebbe sostenere che la verità non sia relativa al paradigma. Notare che lo stesso Kuhn sosteneva che i paradigmi, per essere tali, dovevano presentare una serie di requisiti essenziali: coerente con le altre teorie, di ampia portata, empiricamente accurati nel loro dominio di applicazione e in grado di fornire una struttura di base che permette lo sviluppo delle successive ricerche.

Questi sono tutti criteri oggettivi e razionali, che non possono dipendere dalle credenze e dai pregiudizi dello scienziato di turno; ma allora questi stessi requisiti non proverebbero proprio che i paradigmi, contrariamente a quello che affermava Kuhn, non vengono accettati fideisticamente ed arbitrariamente?!

Λόγος