Parte IV di IX


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Le Costituzioni come parametro di giustizia

Come sapete, con la caduta dei totalitarismi è arrivata l’era delle costituzioni, documenti coi quali il diritto è vincolato ai principi in essa stabiliti, i quali fondano la convivenza sociale e si pongono di sopra della  legge, fungendo da parametro di validità della stessa.

L’idea di Costituzione è conforme ai principi dell’ideologia neocostituzionalista.

Il neocostituzionalismo è infatti una corrente di pensiero giuridica che in qualche modo si pone a metà tra il giusnaturalismo e il positivismo giuridico: da un lato conferma la visione positivista, per cui una legge, per essere giusta, deve rispettare le procedure di emanazione previste e di conseguenza solo le statuizioni e i principi che rispettano quelle procedure possono essere definite leggi; dall’altro, però, esiste comunque un nucleo di principi più alto della legge, ai quali la legge stessa deve conformarsi per potersi definire giusta: un insieme di principi enucleato appunto nelle odierne costituzioni rigide.

Charles Louis de Secondat, Barone di Montesquieu

In questo senso, il Parlamento resta l’unico organo autorizzato a stabilire il diritto e la giustizia, ma il diritto che questo stabilisce è vincolato ai principi fondamentali che neppure una legge del Parlamento che ha seguito tutte le procedure previste può permettersi di violare: i principi costituzionali.

Infatti, nel sistema odierno abbiamo un diritto vincolato ai principi costituzionali: il Parlamento può infatti scrivere la legge che vuole, ma se essa contrasta coi principi della Costituzione verrà annullata da un organo, la Corte Costituzionale, che assurge a garante della Costituzione e di fatto costituisce il “quarto potere” del sistema, che si aggiunge ai tre originari della visione di Montesquieu.(legislativo, esecutivo e giudiziario)

I principi costituzionali: principi assoluti?

Ma che natura hanno questi principi? Tutti i neocostituzionalisti (corrente di cui fa parte anche il mio relatore, il prof. Zagrebelsky) hanno cercato di dare una risposta a questa domanda.

Herman Heller, esponente del neocostituzionalismo

Il filosofo Herman Heller, ad esempio, ha elaborato la teoria del “consenso per intersezione”: ogni società è divisa in classi (siano esse sociali, economiche o ideologiche) e ogni classe ha degli interessi specifici e peculiari spesso in contrasto con quelli delle altre; perché una società possa sopravvivere, dunque, è necessario che le varie classi si “accordino” su dei punti comuni condivisi, sui quali fondare la convivenza sociale. Quali che essi siano, questi saranno quei principi superiori alla legge di cui parlano i neocostituzionalisti, la cui condivisione è necessaria per poter tenere in piedi la società.

Altri neocostituzionalisti hanno dato ulteriori definizioni, ma tutte accomunate da un dato fondamentale: non si tratta di principi di giustizia assoluta, ma di principi cogenti, individuati come condivisi in quel preciso momento storico, in base a quella precisa morale di riferimento e valevoli solo per il periodo in cui sono condivisi. L’idea di giustizia assoluta sarebbe infatti pericolosa anche per i neocostituzionalisti, poiché sfruttabile per imporre una visione del mondo senza eccezioni capace di legittimare la cancellazione forzata di tutte le ideologie contrarie, come accaduto appunto con i totalitarismi, eventualità che proprio le costituzioni vogliono scongiurare.

Non si tratta cioè di principi immutabili, come ritenevano i giusnaturalisti, ma di principi che possono cambiare con il mutamento delle condizioni sociali, economiche, tecnologiche e culturali di riferimento. Quel che conta, per un neocostituzionalista, non è che quei principi restino sempre uguali, ma che in ogni luogo e in ogni tempo una società sia capace di individuare un nucleo di principi comuni e condivisi ai quali conformarsi.

Anche i neocostituzionalisti, insomma, negano l’esistenza di una “giustizia assoluta”.

Ed è qui che mi inserisco io.

I principi costituzionali hanno pretesa assoluta

Tra tutte le correnti analizzate, io mi ritengo sicuramente un neocostituzionalista; ma lo sono in modo estremista, nel senso che, per me, quei principi fondanti non sono affatto relativi, ma universali e valevoli per qualunque società della storia, in ogni luogo e a prescindere dalle condizioni sociali, economiche e culturali della società presa a riferimento.

Ma non solo: la mia posizione è che, in realtà, anche i neocostituzionalisti la pensino esattamente come me, anche se non vogliono ammetterlo o non l’hanno ancora capito.

Per dimostrarlo proporrò un esempio: il processo di Norimberga.

Come sapete, a Norimberga sono stati processati i gerarchi nazisti per i crimini commessi durante la Seconda Guerra Mondiale; ora, premettendo che io sono ovviamente d’accordo con quei processi e con quelle condanne, non posso non fare un’osservazione elementare: i gerarchi nazisti avevano agito nel rispetto delle regole e dei principi vigenti durante il nazismo, quindi hanno agito in maniera legittima.

Nell’ottica positivista, infatti, quei soggetti non potevano essere condannati di niente, dal momento che si sono limitati a obbedire a quelle che erano le leggi dello Stato; ma allo stesso modo, la condanna appare ingiusta anche nell’ottica neocostituzionalista, dal momento che quei soggetti hanno violato dei principi valevoli oggi, ma non quando quelle aberranti azioni sono state poste in essere, anzi: durante il nazismo la cultura, la tradizione, la visione ideologica e politica era favorevole allo sterminio degli ebrei e per questo quei gerarchi non dovrebbero meritare alcuna pena a posteriori.

Ma come mai, allora, proprio i neocostituzionalisti sono favorevoli a quelle condanne?

Perché anche loro, in realtà, credono nell’esistenza di principi assoluti di giustizia, valevoli in ogni tempo e luogo. Perché a mio parere questi principi esistono e inconsciamente lo sappiamo tutti.

Ed è proprio quello che cercherò di dimostrare con i prossimi articoli.

P.T.