Con l’articolo di oggi intendo specificare ulteriormente l’applicazione pratica dei principi della logica dei troppi, come già fatto in quest’altra occasione, analizzando un altro complotto vero: le finte armi chimiche in Iraq.

In particolare, analizzare il tentativo dell’amministrazione Bush di dimostrare il possesso da parte di Saddam Hussein di armi chimiche, così da giustificare l’intervento armato in Iraq, ci è utile non solo per esaminare i presupposti di un complotto vero in base alla logica dei troppi, ma anche per fare un immediato paragone con un altro presunto complotto, inscenato dalla stessa amministrazione e per ottenere lo stesso risultato, così da mostrarne le evidenti differenze: l’attentato alle Twin Towers.

Gli “Stati Canaglia”

Ripercorriamo bervemente le vicende che hanno preceduto l’attacco armato all’Iraq di Saddam nel 2003.

armi chimiche in Iraq
Mappa degli “Stati canaglia”

A seguito dell’attentato dell’11 settembre, di cui pure parleremo, l’amministrazione Bush ha messo sul piatto una nuova strategia di Guerra al terrorismo che non si limitasse all’utilizzo dei servizi segreti e dei consueti canali internazionali – come le Risoluzioni ONU -; elaborando la nota dottrina degli “Stati canaglia” intendeva invece colpire, prima ancora dei terroristi, i vari Stati che li proteggevano, finanziavano e supportavano, nel tentativo di fargli “terra bruciata” intorno.

Naturalmente, l’elaborazione di una simile etichetta non bastava, da sola, a giustificare l’intervento armato in uno qualunque di quegli Stati prescelti arbitrariamente dagli USA; servivano invece prove specifiche che potessero consentire all’ONU di votare il ricorso alla forza.

Negli obiettivi geopolitici di Bush, l’Iraq era chiaramente un nemico della pax americana e dunque andava invaso. Tuttavia, se per l’Afghanistan le evidenze c’erano – proteggevano Bin Laden, finanziavano Al-Quaida e lo Stato era già stato colpito da ben 3 Risoluzioni ONU – per l’Iraq non era così. Per quanto Saddam fosse dichiaratamente anti-americano e di certo supportasse – almeno moralmente – il terrorismo islamico, queste non erano considerazioni sufficienti a divenire “prove” materiali da usare per convincere l’intera comunità internazionale ad approvare l’intervento armato.

Che fare, allora? Semplice: se le prove non le abbiamo, ce le inventiamo.

Le armi chimiche in Iraq: antefatti

In realtà, a seguito delle prime accuse di parte degli USA, portate avanti soprattutto dal vice-presidente Cheney, l’ONU si attivò ed inviò in Iraq degli ispettori per la verifica dei luoghi, che furono rispediti al mittente da Saddam.

Usando questa circostanza come prova della mala fede del Raìs, gli USA riuscirono ad ottenere un impegno dell’ONU – stilato nella famosa Risoluzione 144 – ad infliggere sanzioni all’Iraq fino a che non di fosse adeguato alle politiche di disarmo e non avesse permesso l’ingresso degli ispettori.

A quel punto, Saddam acconsentì alle ispezioni e in effetti le verifiche svolte non diedero prove concrete del fatto che l’Iraq possedesse un arsenale bellico di natura chimico-batteriologica, né emersero chiare prove del loro tentativo di riarmo nucleare.

Insomma: non c’era materiale a sufficienza per giustificare il conflitto.

Dalle prove false all’intervento armato

Fu così che Colin Powell, il 5 febbraio 2002, si presentò al Consiglio di Sicurezza con una serie di presunte prove di detenzione da parte di Saddam di armi chimiche, cercando di convincere l’ONU a disporre l’intervento armato.

Si trattava tuttavia di prove deboli, incapaci di convincere la comunità internazionale e per lo più prese da fonti inaffidabili, come peraltro ammetterà lo stesso Powell 3 anni dopo in un’intervista; inoltre, molte di quelle affermazioni erano basate su delle “soffiate” fornite da un tale Rafid Ahmed Alwan al-Janabi che, nel 2011, ammise di essersi inventato la stragrande maggioranza delle sue affermazioni.

Insomma: il tentativo degli USA di inscenare un complotto, con tanto di prove false, fallì miseramente.

armi chimiche in Iraq

Per questo gli USA – forti del loro potere di veto in seno al Consiglio si Sicurezza che avrebbe impedito ogni sanzione da parte della comunità internazionale – modificarono il loro piano e si decisero per l’invasione armata senza consenso dell’ONU, insieme agli UK, in quella che fu una vera e propria azione militare in violazione del diritto internazionale.

Armi chimiche in Iraq e logica dei troppi

Cosa ci insegnano le circostanze narrate sin qui?

Facciamo prima le dovute considerazioni in base alla “logica dei troppi” e inseguito paragoniamo questi avvenimenti a quelli del presunto complotto dell’11 settembre.

1. Soggetti coinvolti

Nel caso del complotto delle armi chimiche in Iraq il numero di soggetti coinvolti era estremamente esiguo; si limitava infatti ai membri di vertice dell’Amministrazione Bush e quella di Tony Blair, e pochi altri. Si trattava dunque di un complotto che nasceva sotto i migliori auspici, dal momento che il numero di persone a conoscenza dello stesso non superava – tenendosi larghi tra vari addetti, familiari, esponenti, ecc… – qualche migliaio. E in effetti, se guardiamo al grafico della formula di Grimes scopriamo che un complotto conosciuto da un migliaio di persone potrebbe venire svelato in una decina d’anni. Guarda caso, come visto, i primi dubbi e le prime ammissioni della falsità di quelle prove sono emerse appena 3 anni dopo, sino alla smentita “ufficiale” di 9 anni dopo.

2. Complessità e costi

Ma andiamo avanti: il complotto delle armi chimiche in Iraq ha altre due caratteristiche, correlate tra loro, che rispettano i “limiti” imposti dalla logica dei troppi: la semplicità e la relativa economicità del complotto.

Per inscenare la falsa esistenza di armi chimiche in Iraq, infatti, è stato sufficiente redigere e stampare un centinaio di pagine di word riportanti dati fasulli o alterati; una delle cose più semplici del mondo.

Come tale, anche il costo non poteva che essere irrisorio, pari cioè al prezzo di qualche fotocopia.

I complotti si strutturano così: il massimo risultato col minimo sforzo.

3. Nessun nemico all’altezza

Vi è poi un ultimo punto di interesse per il paragone che intendiamo verificare in questo articolo: nel 2002 gli USA avevano un potere e un’influenza tale nella comunità internazionale da potersi permettere di fare ciò che volevano, consapevoli che non avrebbero subito conseguenze.

Non le avrebbero subite intanto perché, in quel periodo, gli USA erano ancora lo “sceriffo del Mondo” e detenevano l’arsenale militare di gran lunga più potente del pianeta; neppure i russi – in faticosa ripresa dalla crisi – o i cinesi – ancora indietro militarmente – avevano la forza e i mezzi per opporsi allo strapotere americano.

Inoltre, non le avrebbero subite perché detenevano il potere di veto in seno al Consiglio di Sicurezza; sapevano cioè che qualunque nefandezza non sarebbe stata punita, perché il veto avrebbe impedito qualunque sanzione a loro carico.

Sono proprio queste condizioni di evidente vantaggio ad aver spinto gli USA ad inscenare un complotto che, ricordiamo, voleva solo fornire una giustificazione alla comunità internazionale e non certo costituire una “conditio sine qua non” per l’intervento militare; infatti, l’attacco armato è avvenuto lo stesso, anche se il complotto è fallito miseramente.

Armi chimiche in Iraq e 11 settembre: paragoni

Sulla base di questi elementi, proviamo allora a mettere in rapporto i due famosi complotti del periodo che hanno portato all’invasione dell’Afghanistan e poi dell’Iraq.

Partiamo dai punti comuni. Siamo nello stesso periodo storico – 2001 e 2002 – quindi le condizioni geopolitiche, strategiche e militari sono le stesse; agli americani servono delle scuse per invadere gli Stati canaglia, in particolare Afghanistan e Iraq.

Notate ora le profonde differenze di approccio nei due complotti.

1. Semplicità

Mentre il complotto delle armi chimiche in Iraq era estremamente semplice – un centinaio di fotocopie e qualche affermazione falsa rivolta al Consiglio di Sicurezza, salvo preparare l’attacco comunque, a prescindere dall’esito del complotto – per l’11 settembre le dinamiche sarebbero state completamente diverse.

Avrebbero inscenato un finto dirottamento aereo di ben 4 aerei; avrebbero piazzato cariche esplosive su due torri di più di 80 piani; si sarebbero scomodati testimoni falsi per l’aereo sul Pentagono; sarebbero stati ingaggiati soggetti che avrebbero sparso resti di aereo sul prato del Pentagono; si sarebbero zittiti tutti i testimoni contrari; avrebbero corrotti ingegneri, piloti, periti, giudici, avvocati, addetti agli aeroporti per sostenere la versione ufficiale; si sarebbe accettata la morte di migliaia di compatrioti solo come giustificazione per la guerra in Afghanistan; sarebbero poi state alterate le prove della presenza di Bin Laden in Afghanistan, corrompendo tutta la comunità internazionale per approvare ben 3 Risoluzioni ONU contro il paese afghano pur senza alcuna giustificazione.

1.1. Complessità non necessaria

Si sarebbe costruita insomma una messa in scena epocale, con due aerei lanciati contro le torri gemelle adeguatamente caricate di esplosivo di nascosto per farle crollare davvero, dato che a quanto pare l’impatto aereo non potrebbe fisicamente provocare il crollo. Un altro aereo sarebbe stato dirottato verso il Pentagono ed anzi no; ci si sarebbe piuttosto adoperati per far sparire nel nulla quell’aero, dicendo che è andato contro il Pentagono. Ma siccome quella manovra sarebbe stata impossibile, gli hanno lanciato un cruise contro, di nascosto da tutto e da tutti.

Un quarto aereo sarebbe poi stato abbattuto in Pennsylvania facendo credere a tutti che fosse diretto contro la Casa Bianca.

Insomma: la cospirazione più complessa della storia dell’umanità. Da notare peraltro come, da un lato, gli USA siano stati in grado di intervenire comunque, anche contro il parere di tutto il mondo; dall’altro si fosse rivelato invece necessario corrompere l’ONU – lo stesso ONU bellamente ignorato nell’altro caso – oltre che inscenare una farsa di proporzioni epiche. Il tutto a distanza di appena un anno l’una dall’altra.

2. Soggetti coinvolti

Veniamo invece alla Formula di Grimes.

Nel caso delle armi chimiche in Iraq, come visto, la cospirazione aveva un migliaio di complici al massimo, se consideriamo amministrazione Bush, amministrazione Blair, eventuali parenti, addetti ai lavori e delegati vari.

Per invadere l’Afghanistan, invece, non si sarebbe scelta una via rapida e “ristretta” solo a quei vertici, ma si sarebbero coinvolti e/o corrotti:

  • i rappresentanti dell’ONU;
  • milioni di architetti, fisici e ingegneri;
  • tutti i periti, i giudici e gli avvocati che hanno partecipato alle indagini;
  • tutti i piloti che direttamente o indirettamente si sono occupati del caso;
  • i dipendenti del Pentagono;
  • almeno 3 compagnie aeree;
  • il NORAD e tutti i suoi dipendenti;
  • i vertici militari;
  • i vertici di Al-Quaida, che hanno accettato di fare da “capro espiatorio”;
  • una ditta di demolizioni per piazzare le cariche nelle torri;
  • un sacco di altre categorie e persone che indirettamente potevano accorgersi del complotto.

Stiamo parlando di milioni di persone, a fronte di qualche migliaio coinvolte nell’altro complotto. Perché adottare strategie così diverse? E perché coinvolgere così tanta gente, quando tanto l’Afghanistan si poteva invadere lo stesso e poi porre il veto di fronte al Consiglio di Sicurezza?

Corrompere le persone ha un costo, come stiamo per vedere.

3. Costi

Infatti, abbiamo visto come per le armi chimiche in Iraq i costi del complotto siano stati pressoché pari a zero: quelli per fare delle fotocopie.

Per l’Afghanistan, invece, l’amministrazione Bush ha scelto di spendere miliardi per corrompere milioni di persone; dirottare aerei; piazzare cariche esplosive; alterare prove; spingere persone al silenzio. Come si spiegano due scelte così opposte da parte della stessa amministrazione nello stesso periodo storico?

4. Rischi

Chiudiamo con un altro aspetto importante: i rischi.

Il complotto delle armi chimiche in Iraq era sostanzialmente a rischio zero. L’ipotesi – poi verificatasi – che la falsificazione non andasse in porto, infatti, era annullata dal potere degli USA di agire lo stesso sfruttando il diritto di veto; il che rendeva l’invasione comunque praticabile a prescindere dai soggetti coinvolti e dalla “tenuta” del complotto.

Nel caso dell’11 settembre, invece, l’amministrazione Bush si sarebbe esposta ad una quantità di rischi inenarrabili, che è difficile anche elencare esaustivamente. Proviamoci almeno in via indicativa:

  • enorme rischio che il complotto fosse svelato da qualcuno dei milioni di soggetti coinvolti/corrotti (appena 9 anni dopo, per il caso dell’Iraq, è stato lo stesso tizio che ha messo in giro quelle false informazioni ad ammettere la verità; figuratevi se tra milioni di persone coinvolte solo indirettamente dal complotto dell’11 settembre non ce n’è almeno una che avrebbe confessato);
  • altissimo rischio che le cariche esplosive fossero individuate prima del crollo;
  • elevato rischio che i piloti, all’ultimo e per rimorso di coscienza, evitassero l’impatto;
  • altissimo rischio che alcuni dei corrotti non fossero disponibili a farsi corrompere o che cambiassero comunque idea negli anni successivi;
  • alto rischio che nelle torri di controllo qualcuno si accorgesse delle anomalie o dell’inesistenza dell’aereo sul Pentagono;
  • evidente rischio che, in ogni caso, la verità venisse fuori durante le indagini;
  • rischio che comunque emergessero prove che non si è riusciti a nascondere in tempo;
  • altissimo rischio che Bin Laden e Al-Quaida dichiarassero di non c’entrare nulla con l’attentato.

4.1. Rischi non necessari

Peraltro, preme ancora rilevare che nel caso delle armi chimiche in Iraq, proprio perché gli USA avrebbero avuto “mano libera” di intervenire senza conseguenze, la mistificazione era finalizzata soprattutto a convincere il popolo americano ad appoggiare l’intervento armato, e che comunque se anche la falsità delle prove fosse stata accertata la reazione del popolo sarebbe stata sì di sdegno, ma senza particolari conseguenze elettorali sul medio termine.

Immaginate invece cosa sarebbe successo se ad essere svelata fosse stata la falsità dell’attentato dell’11 settembre; ossia, se fosse venuto fuori che quelle migliaia di persone fossero state deliberatamente ammazzate per ordine di Bush. Come avrebbe reagito il popolo americano? Avrebbe fatto finta di niente o avrebbe appeso Bush a testa in giù?

La differenza tra un complotto è una baggianata

Come potete constatare, il paragone appena riportato è molto indicativo della differenza tra un complotto vero e uno finto. Parlando degli stessi soggetti, dello stesso periodo storico e delle stesse finalità, è possibile fare emergere le profonde differenze tra due strategie che, nonostante quelle similitudini, si mostrano enormemente diverse l’una dall’altra.

La prima rispetta pedissequamente tutti i requisiti della logica dei troppi (e nonostante questo è stata svelata lo stesso); la seconda mette in crisi ogni logica prima ancora che ogni verifica scientifica.

E nessuno è in grado di spiegare per quale motivo per poter invadere un Paese bastavano delle fotocopie e un discorso convincente, ed anzi nemmeno quelli visto che tanto l’invasione è stata fatta lo stesso; ma allo stesso tempo per invadere un altro Paese, nello stesso periodo, si sia inscenata la farsa più complessa e rischiosa della storia dell’umanità.

A dire il vero la spiegazione c’è: il primo era un complotto, il secondo una baggianata.

P.T.